Il caso Weinstein, le donne contro le donne, le differenti reazioni tra l’Italia e gli Usa. Intervista a Stefania Tarantino, filosofa, femminista, ricercatrice all’Orientale
Ci affascina molto, dal punto di vista sociale e antropologico, lo ammettiamo, la vicenda Asia Argento versus Harvey Weinstein e soprattutto la diversa deriva che ha preso il dibattito in America – dove le parole dell’attrice hanno rotto gli argini per centinaia di denunce analoghe – e in Italia – dove il tutto è rimasto sottotraccia o si è trasformato in accuse verso la molestata. Sul punto abbiamo intervistato Stefania Tarantino, femminista, filosofa, musicista e ricercatrice in Filosofia all’Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’.
Il dibattito sullo stesso argomento tra Stati Uniti e Italia. Cosa ne pensa?
«È vero che in America, a differenza dell’Italia, si è aperto un dibattito, ma bisogna vedere se lì saranno disposti a lavorare fino in fondo sulla natura del potere e cioè sul nesso uomini, potere e sessualità, ad interrogarsi sui motivi per cui un uomo che detiene il potere può consentirsi certi atteggiamenti e a mettere in discussione una cultura patriarcale che produce forme di dominio sul femminile di questo tipo. L’Italia, dal canto suo, ha avuto una reazione nettamente diversa, che trovo di un bigottismo sconcertante e di una non comprensione di ciò che è successo ad Asia Argento, che ha trovato il coraggio di rendere pubblica la sua storia e di denunciarla. Non è importante il tempo della denuncia: c’è anche un processo di maturazione, c’è gente che dimentica di aver subito violenza, c’è il caso di chi crede che ne vada della sua stessa vita a denunciare».
Vent’anni di berlusconismo
Perché secondo lei c’è stata questa differenza di reazione?
«Perché in Italia veniamo da venti anni di berlusconismo che ci ha lasciato in eredità un’immagine della donna come ‘complemento di arredo’ gioioso, leggero, possibilmente silenzioso, che accompagna le feste, le cerimonie, le cene. Quando è venuto fuori tutto questo schifo, si è gettato discredito sulle donne che avevano parlato invece di interrogarsi sulla perversità o malattia di questa sessualità maschile che usa il potere a fini di dominio».
Angela Putino e le imprenditrici di sé
È solo colpa del berlusconismo?
«Gli effetti del berlusconismo in Italia sono stati devastanti. A questo bisogna aggiungere che siamo in un’epoca neoliberale in cui tutto è sottoposto a valore economico, anche il corpo femminile che è sempre stato oggetto di dominio del desiderio maschile. La filosofa napoletana Angela Putino ha fatto delle riflessione acute sulle soggettività trasformate in imprenditrici di sé: in un mondo dove è necessario lavorare e dove non c’è lavoro per tutti, bisogna usare qualsiasi mezzo per farcela. Il corpo, per una donna, può essere questo mezzo. La libertà, intesa come libertà di poter fare tutto ciò che si vuole quando si vuole, trasforma la società in una giungla dove funziona solo il “si salvi chi può”. Molte donne oggi hanno un carico doppio, anche triplo di lavoro, in un ambiente ostile che non le prevede come corpo femminile, con tutti i nessi e connessi. Pensiamo alla potenzialità generativa del corpo della donna e al fatto che questo corpo, una volta al mese, abbia le sue mestruazioni: è una cosa completamente invisibile nella scena pubblica, si fa come se non esistesse. Per avere una carriera, un successo, un semplice lavoro, devi far finta di non avere tutto questo, devi eliminarlo completamente».
Eva contro Eva
È per questo che in Italia sono state soprattutto le donne a scagliarsi contro Asia Argento in una sorta di Eva contro Eva?
«L’incredibile reazione delle donne contro le altre donne è una storia antica, fa parte dell’impianto stesso della struttura patriarcale. Il mettere una donna contro l’altra viene da molto lontano, ne parlano anche i più bei miti che fanno parte della nostra cultura. Si divide per regnare, per accaparrarsi sempre più potere. Il patriarcato riguarda uomini e donne: le donne patriarcali sono le peggiori nemiche delle donne e basta poco per capire perché. Ci sono donne che per essere riconosciute e valorizzate dall’uomo di turno, potente o meno che sia, si mettono l’una contro l’altra. Questa è una cosa tristissima che ci fa vedere come il parametro di riferimento resti il giudizio e lo sguardo maschile».
Il femminismo come percorso per liberarsi dal metro di misura maschile
Tanti anni di femminismo, allora, non hanno prodotto nulla?
«Il femminismo a me ha dato tanto. È una pratica politica a mio avviso essenziale. È quel percorso che ti consente di liberarti completamente da quel metro di misura solo maschile, di avere uno sguardo su te stessa autonomo e libero. Quando vivi in un mondo gestito e dominato ancora, nei suoi punti più strategici e decisionali, a tutti i livelli dagli uomini, ti rendi conto di quanto ci sia bisogno di femminismo. Oggi ci sono cose che sembrano andare da sé per molte donne, soprattutto per le più giovani. Ma è importante non dimenticarsi mai che quelle libertà, quei diritti conquistati, sono stati il frutto di lunghe battaglie e che bisogna sempre vigilare. Il femminismo in Italia ha prodotto e produce moltissimo sia in termini di pensiero che di pratiche. Basta affacciarsi e guardare, come da una finestra. Chi non lo vede o fa finta che non esista è in malafede».
Il potere dunque porta le donne a rifarsi sulle altre?
«Non sempre. Ci sono donne e donne. Non si può mai generalizzare. Quando una donna non “fa” la differenza è un vero e proprio peccato per lei e per tutte le altre donne. Simone Weil ha fatto una riflessione importante sulla natura del potere e ha scritto che il potere distrugge non solo chi lo subisce ma, in un certo modo, anche chi lo utilizza. Voleva dire che molto spesso, per la sua natura seduttiva, il potere diventa attraente anche per chi lo ha subito, che a sua volta lo farà subire anche agli altri».
Le accuse a Tornatore
In Italia si è smosso pochissimo sull’argomento molestie nel cinema. Qualche giorno fa Miriana Trevisan ha accusato Giuseppe Tornatore. A parte l’irritante reazione del regista quando dice di ricordare un ‘incontro cordiale’ e si dichiara lusingato del ricordo che ha di lui ‘una giovane donna’, fa impressione lo schierarsi compatto a suo favore delle attrici italiane, che giudicano quasi folli le affermazioni della Trevisan. Che ne pensa?
«Personalmente penso che dovremmo sempre ascoltare con grande attenzione le parole di una donna che denuncia. Forse tutto ciò non è capitato a quelle attrici, ma alla Trevisan sì: chi lo sa? Non accade anche che le peggiori tragedie che spesso leggiamo sui giornali succedano in famiglie da cui mai ce lo saremmo aspettati? Sembra che parlare di donne scateni sempre un putiferio. A me sembra che, comunque la mettiamo, c’è sempre un ‘buon’ motivo per attaccarle».
O la donna santa o la puttana
Cioè quando una donna è libera viene condannata perché scombussola un sistema?
«Non c’è mai fine alle giustificazioni che portano a denigrare una donna. Se si parla di donne che, ad esempio, non hanno mai denunciato le violenze subite, perché magari erano perfettamente consapevoli di ciò che facevano e che nonostante tutto hanno deciso di intraprendere quella strada per arrivare al successo, sono considerate malissimo. Se si tratta di donne che invece decidono di denunciare e di puntare il dito contro un sistema che le ricatta in tutti i modi possibili, comunque non va bene e sono attaccate lo stesso. Non è più tollerabile. O si resta nella dimensione della donna santa, la buona madre, quella che non smuove nulla rispetto allo status quo, oppure c’è la prostituta, la puttana… su questo c’è ancora tanto da lavorare perché libertà femminile significa invece rompere definitivamente con questi pregiudizi che non hanno alcun fondamento. Per me il punto è che quando una donna esprime la sua libertà femminile, rompe i parametri di una libertà intesa sempre a favore di un modo di essere maschile a cui, guarda caso, si perdona sempre tutto».
Il femminismo è fallito come dice la Soncini?
Sull’argomento molestie sessuali il New York Times ha scomodato la Soncini, che, in un articolo commissionato sul tema, ha parlato di fallimento del femminismo italiano. E’ davvero finita l’epoca del femminismo?
«L’analisi della Soncini è un’analisi più che pessima e, tra l’altro, senza nessun fondamento. Il femminismo è vivo e vegeto e ha sempre fatto e detto le cose che andavano fatte e dette. Il più grande problema è che non si dà mai voce, spazio (nei giornali, nei programmi televisivi, nelle commissioni che decidono di questo e quell’altro) alle femministe, a tutte quelle donne (e ce ne sono tante) che lottano, studiano, scrivono, leggono, agiscono nel tessuto sociale e politico. In ogni caso, ciò che più mi lascia perplessa è che il New York Times abbia chiamato a parlare una che nulla ha a che fare con il femminismo italiano».
Perché, secondo lei?
«Perché fa comodo tenere nell’invisibilità ciò che produce un pensiero diverso e si muove su parametri diversi. I ruoli decisionali, in tutti i settori, continuano ad averli nella stragrande maggioranza comitati di soli uomini. Perché mai dovrebbero fare spazio alle donne? Se lo devono creare “per forza” questo spazietto (il famoso cinquanta e cinquanta), meglio avere una donna patriarcale che lascia tutto com’è e che non mette in discussione proprio nulla».
Ma se al femminismo non viene data voce mediaticamente, come si fa?
«Si fa andando ovunque si riesca ad andare. Ogni occasione è buona per immettere nello spazio sociale elementi che portano a riflettere. Perché le cose non sono ineluttabili, possiamo sempre cambiarle. Certo, se ci fossero più donne nei luoghi strategici e decisionali, tutto sarebbe ovviamente più facile. Non è così? E allora si trovano strade alternative, anche se più marginalizzate».
E’ venuto il tempo in cui non si farà più così
Le denunce di Asia Argento servono alla causa?
«Si, servono molto perché portano alla luce del sole ciò che in fondo già si sapeva ma che non aveva acquisito una dimensione pubblica. In un recente intervento di Luisa Muraro sul caso Weinstein, pubblicato sul sito delle Libreria delle donne di Milano, lei dice che tutto già “si sapeva, che hanno sempre fatto così. Rispondiamo: viene il momento in cui non si farà più così. È venuto”. Vuol dire che se fino ad oggi questi uomini di potere pensavano di poter fare come volevano, dopo quello che è successo non possono più consentirselo. Lo penso anche io. Occorre cogliere la palla al balzo per ritornare su una riflessione seria sul rapporto tra uomini e potere e soffermarsi anche sulla considerazione che non è mai bene quando il potere è in mano di uno solo, che sia nel cinema, nella musica, o in altri campi: il potere, per la sua natura ambigua e così pericolosa, deve essere gestito sempre da una pluralità. Questa è la democrazia».
Elena Ferrante e il femminismo
La Soncini chiama in causa anche Elena Ferrante, dicendo che nei suoi romanzi viene fuori ‘il terribile amalgama di invidia’ che costituisce l’amicizia tra le donne. Secondo lei è così?
«Assolutamente no, anche perché la Ferrante è una donna che ama le altre donne. Lo dichiara lei stessa di avere avuto tanto dal femminismo. Poi, che una come la Ferrante, si interroghi sulle dinamiche che fanno parte anche della relazione femminile, nel bene e nel male, questa è un’altra storia! Anni fa Carla Lonzi scriveva che le donne devono innanzitutto lavorare a una ‘decolonizzazione’ dello sguardo e del giudizio maschile da loro profondamente interiorizzato. Attraverso la pratica ‘dell’autocoscienza’ si invita a scavare dentro e fuori di sé. Si mette in discussione tutto, a partire dal contesto in cui si vive, dalla cultura ricevuta, fino a staccarsi completamente dai modelli che storicamente sono stati incollati alle donne. Le donne devono partire dal loro vissuto e dalla loro storia. Dico sempre che in ogni casa dovrebbe esserci un manuale di storia delle donne: è importante conoscere la nostra storia, capire da dove veniamo. Gli uomini hanno sempre avuto vita facile, la storia è sempre stata una storia fatta apposta per loro, dove le donne sono sempre state il contorno. Non bisogna mai smettere di riflettere su questo».
Uomini: non sapete cosa vi perdete…
Dovrebbero farlo solo le donne o anche gli uomini?
«Gli uomini sono sempre titubanti a mettersi in discussione, ma non sanno che cosa si perdono! Però c’è il fatto che se fino a cinquanta anni fa gli uomini hanno potuto contare sulla loro supremazia, in una forma strutturata giuridicamente e storicamente, oggi non è più così e dunque si devono riposizionare su loro stessi nel rapporto con le donne, riconsiderare la gestione dei differenti piani di vita e prendersi la loro parte di vita materiale. Se non fanno questo e se non lo fanno urgentemente, rischiano di restare eterni fanciulli e di continuare a dare il peggio di sé. Quando tutto ti va liscio, senza difficoltà, quando puoi fare ed esprimere ciò che vuoi senza opacità, non cresci. L’atteggiamento ‘capriccioso’ di un uomo può essere molto pericoloso. Le donne hanno un’altra storia, meno lineare e meno liscia. Molte cose non erano loro consentite, non potevano sfuggire alle necessità della vita. Però, proprio per questo, le donne hanno secondo me una forza e una ricchezza inedita che deve trovare un suo posto nel mondo».
Chi è più debole: chi violenta o chi è violentato?
La vera rivoluzione, dunque, dovrebbe partire dagli uomini?
«Se parliamo di violenza, sì. È arrivato il momento che ogni uomo si decida a fare un’analisi su di sé e sul rapporto che ha con le donne, soprattutto con quelle più vicine a lui. Che capisca quali sono i meccanismi che scattano, anche se non ha commesso crimini, se non ha picchiato o molestato una donna, perché un uomo sa bene quali sono e sarebbe utile avere un’espressione maschile su questo. Detto tra parentesi, di certo non aiuta uno Stato che risponde con palliativi e non con azioni che siano realmente efficaci. Così si perde qualunque battaglia ben prima di cominciare. Si continua a non dare il giusto valore al risarcimento anche economico ai crimini, ai femminicidi, agli stupri che vengono commessi contro le donne. Ciò aggrava ancor di più una situazione già di per sé compromessa. In ogni caso, per chiudere, vorrei che ci lasciassimo su un’immagine di forza più che di debolezza. Tutto il male che le donne subiscono le riporta sempre in un ruolo di vittima, di soggetto debole, ma io vorrei che si parlasse della forza delle donne, che si riflettesse su ciò che dicono, pensano, scrivono. Sui gesti che immettono nel mondo dell’altro. Perché poi la domanda è: tra chi violenta e chi è violentata, tra chi uccide e chi è uccisa, tra chi tortura è chi è torturata, chi è il più debole?».