Il discorso del comandante Sarri nel centenario della presa del Palazzo d’Inverno contro le vittorie sporche e contro il realismo
Il centenario della presa del Palazzo d’Inverno
Solenne riunione del Politburo dell’Urss, Unione delle repubbliche socialiste sarrite – Sala della Purezza e della Napoletanità (ex bagno e antibagno del Chiattone a Castel Volturno) – Discorso del Compagno Comandante Maurizio Sarri sul centenario della presa del Palazzo d’Inverno, sulla necessità della rivoluzione permanente e sulla funzione guida del Capitano Marek Cernenko Andropov.
Compagno Presidente, compagni giocatori, compagni del popolo,
la preziosa ma incolore vittoria di Udine ci mette di fronte alle nostre responsabilità di rivoluzionari. Nel mese che si sta concludendo abbiamo festeggiato e ricordato i cent’anni della presa bolscevica del Palazzo d’Inverno e proprio questa fondamentale ricorrenza deve essere di stimolo per la conquista definitiva del potere. La stampa reazionaria dei padroni ci accusa di aver abbandonato i principi comunisti delle origini e di aver perso la spinta propulsiva del tiki-taka. Ci accusano di essere brutti e di conseguire vittorie sporche. Sono critiche spesso condivise anche dalla nostra base rivoluzionaria ed è per questo che è giunto il momento di fare chiarezza.
La storica riflessione di Stalin sull’autocritica
Come sapete fu il compagno Stalin, nel 1928, a imporre al partito una storica riflessione sulla parola d’ordine dell’autocritica. Io cercherò di fare lo stesso perché al nostro orizzonte comincio a vedere il pericolo della gestione del potere per il potere. Il poterismo è il cancro che ha ucciso tante volte la rivoluzione, sappiatelo. È un vizio borghese nefasto che va da Trapattoni ad Andreotti, da Antonio Conte a Matteo Renzi. La gestione del potere senza il gesto estetico rende uguali tutte le forze politiche. A che serve vincere perdendo l’anima bolscevica? Perché dobbiamo anche noi allinearci all’errore dottrinario del revisionismo cinese di Deng Xiaoping: “Non importa che sia un gatto bianco o un gatto nero, finché cattura topi è un buon gatto”.
Il realismo malattia infantile del comunismo
Compagni, il realismo è un’altra malattia infantile del comunismo, peggiore dell’estremismo. Il compagno Togliatti si illuse di nasconderlo sotto le mentite spoglie della via nazionale e italiana al socialismo e sappiamo tutti come è finita la storia del Pci. Oggi l’ultimo togliattiano realista è Giorgio Napolitano, l’uomo dei governi tecnici del capitalismo finanziario. Volete forse che il rigore di domenica a Udine sia una svolta antirivoluzionaria con a capo Jorginho il Napolitano, nuovo interprete del realismo sarrita?
No, compagni, no!!! Vi dico che la nostra autocritica deve riportarci sui binari rivoluzionari del pressing scintillante e all’autenticità della dottrina leninista. La nostra rivoluzione deve essere permanente. Ogni domenica, ogni mercoledì o giovedì, sempre che il prato del campo non sia infame per il boicottaggio dei giardinieri fascisti. La rivoluzione permanente è l’unica che non transige, l’unica che consente la totale liquidazione delle vittorie sporche o essenziali, termine usato da un sito che rimpiange ancora l’obesità rafaelita.
La rivoluzione permanente
La rivoluzione permanente appartiene ai nostri padri proletari, a Marx ed Engels, a Trotsky. E io non la rinnego. Basta con questa squallida gestione del potere per il potere. Il momento è decisivo e dobbiamo stringerci attorno ai compagni titolarissimi. Un leader rivoluzionario ha una fiducia incondizionata nella funzione guida dei capi che sceglie. A partire dal Capitano, altro bersaglio del fuoco amico e nemico. Memori del sacrificio di compagni del valore di Andropov e Cernenko, tenuti in vita ed esposti sulla Piazza Rossa nonostante il grave raffreddore (a Mosca, lo sapete, si gela), chiederò a Marek di stare sempre al suo posto. Viva la rivoluzione, viva l’anno buono.