Gli episodi di questi giorni sono raccontati come se fossero una novità. E invece basta dare uno sguardo agli archivi, allora se ne occupavano Scalfaro e Andreotti
“Accanto alla criminalità organizzata esiste, in particolare a Napoli, una delinquenza comune molto pericolosa; forme di vero gangsterismo minorile che agiscono nel campo delle rapine, degli scippi e delle estorsioni“.
C’è qualcosa che non torna in questo virgolettato, vero? Qualcosa che stona, che suona un po’ vetusto? Se avete avuto questa sensazione è probabilmente a causa della locuzione “gangsterismo minorile” che, in effetti, era molto in voga nei primi anni ’80. Ai giorni nostri siamo più abituati alla forma sincopata “baby gang”. Infatti il virgolettato con cui si apre questo pezzo è nientedimeno che del 1984, lo pronunziò l’allora ministro degli interni Oscar Luigi Scalfaro in agosto, dopo la strage di Torre Annunziata, uno degli episodi più cruenti della guerra di camorra di quegli anni nella quale persero la vita 8 persone tra cui due bambini.
1984, parliamo di 34 anni fa. Saviano aveva 5 anni e infatti nelle analisi dell’epoca non venivano ancora citati i libri, i film e le serie TV come concause degli episodi di violenza che si stanno susseguendo negli ultimi giorni a Napoli: il quindicenne Gaetano che ha perso la milza dopo essere stato picchiato a sangue all’uscita della metro di Chiaiano e la rapina con catene a due adolescenti da parte di coetanei oggi a Pomigliano d’Arco. Solo per citare i casi più recenti.
I muschilli
“Ci vorrebbero campagne di dissuasione molto più efficaci e molto più capillari, siamo in emergenza” diceva nel 1985 il questore di Napoli lamentando il ritardo con cui le istituzioni (la Regione il Comune, la scuola) affrontavano la situazione. Il 25 settembre 1985 Ermanno Corsi ci raccontava su Repubblica dei baby-spacciatori che nei quartieri spagnoli si contavano a centinaia. Nell’articolo, il vicequestore denunciava l’omertà, proprio come il questore di oggi, e si raccontava dei muschilli:
Il più delle volte si tratta di bambini che non raggiungono i dieci anni. Li chiamano “muschilli” perché sono veloci come moscherini. I poliziotti, anche quelli dei reparti speciali, non riescono ad acchiapparli. E poi, se li prendono, non possono arrestarli perché, essendo minorenni, non sono imputabili. «Il dramma è che molte volte le famiglie sono al corrente di questa attività. E invece di proibirla, la incoraggiano». I “muschilli” riescono a portare a casa alla fine di una giornata di spaccio anche centomila lire.
L’identikit del maggio 1987
Quelli di loro che sono sopravvissuti, oggi hanno tra i 40 ed i 50 anni, i loro figli con tutta probabilità sono quelli che formano le bande che terrorizzano i ragazzini al Vomero, almeno stando all’identikit di cui ci raccontava Renato Caprile il 10 maggio 1987 (ma quel giorno molti di noi pensavamo a tutt’altro), tracciato da Paolo Vercellone consigliere di Cassazione. Articolo intitolato: “Una volta erano sciuscià e ora sono baby gangster”.
“Se in America ha detto la criminalità minorile è per lo più espressione di negri e portoricani, e in Francia di nord africani, in Italia finiscono dentro quasi sempre i ragazzi del sud, i figli della miseria e dell’emarginazione. Anche al nord, dove pure questo fenomeno esiste, le cronache giudiziarie hanno spesso per protagonisti figli di immigrati. Accanto ai dati ufficiali ce ne sono altri, ufficiosi ma raggelanti. Secondo queste stime i criminali in calzoni corti sono duecentocinquantamila. Il grosso di questo esercito è concentrato al Sud. In Campania e in Sicilia soprattutto. Qui per la presenza di mafia e camorra in breve gli apprendisti si trasformeranno in effettivi della malavita organizzata.“
La tv presunta cattiva maestra
Il fenomeno della violenza e della criminalità giovanile, dunque, lo conosciamo da tempo, se ne parla, con tono allarmante, in cronaca da quasi 40 anni. Episodi che ci colpiscono per la violenza e che non intendiamo in alcun modo minimizzare. Ogni giorno, però, sembriamo meravigliarci e, ultimamente, abbiamo imparato quanto è comodo dare la colpa di quel che accade alla TV cattiva maestra.
Nel passaggio tra la seconda e la terza serie di Gomorra (circa due anni di distanza) siamo passati da un questore, Marino, che dichiarava: “Certi programmi tv sono offensivi e per niente rappresentativi della realtà che vogliono rappresentare” ad uno, De Iesu, che ritiene alcuni dei crimini accaduti negli ultimi mesi “opera di ragazzini che giocano a scimmiottare Gomorra”, mettendosi in scia al sindaco di Napoli e ad alcuni, ahinoi, intellettuali locali.
Antonio Gava
La “nuova emergenza”
Ciclicamente il problema riemerge, sempre in occasione di qualche crimine più efferato. Qualche giorno fa ci siamo angosciati per l’aggressione di Arturo il minorenne accoltellato e picchiato senza motivo in via Foria da una baby gang. Sedici anni fa, nel 2002, una storia molto simile per una partitella di calcio in strada: un ragazzo di 15 anni accoltellato. Sempre giovanissimi i protagonisti, sempre le stesse dinamiche di violenza e sopraffazione, eppure sempre ci sembra la prima volta e tutti a parlare della “nuova emergenza”, dell’abbassamento dell’età in cui si delinque e via ciarlando.
Nel 1991, la Commissione Antimafia rilasciò un dossier sui nuovi baby killer, ragazzini di 15/16 anni, quasi tutti del sud, semianalfabeti, che si avviavano a diventare le nuove leve della criminalità organizzata. L’anno prima ne aveva già parlato il Ministero di Grazia e Giustizia. Napoli è sempre presente in queste analisi, sempre al centro degli allarmi lanciati, a riprese infinite, da praticamente tutte le istituzioni. Sempre nel 1990, nel presentare l’aumento vertiginoso dei crimini commessi da minorenni, in Procura si lasciavano andare a commenti al vetriolo nei confronti della politica: “Non possiamo denunciare i Comuni, la Provincia, la Regione se non forniscono l’assistenza prevista e promessa, dicono in Procura. E sa perché non lo fanno? Perché i minori non portano voti“. All’epoca, almeno, le responsabilità erano chiare.