Da sempre, i due regolamenti avevano salvato la Regina, la Nostra Signora dei Turchi. Poi arrivò il Var, ma durò poco
Nostra Signora dei Turchi
Diciamo subito a don Aurelio di non sprecare soldi nel mercato di gennaio, ma anche in quello della prossima estate e forse anche in tutti i mercati estivi e invernali che si succederanno.
E lo stesso invito lo rivolgiamo a tutte quelle squadre che pensano di poter competere per il titolo italiano contro la Regina del Campionato che, attenzione, non è mai quella temporaneamente prima in classifica ma quella titolare di un diritto divino perpetuo e dinasticamente trasmissibile ad essere, come in tutte le monarchie (la minuscola è voluta), sempre e comunque, la Regina.
La Regina, sembra ovvio, non può essere assoggettata a quelle leggi e regolamenti che sono cogenti per i sudditi. Questo lo comprende anche un bambino.
Perciò è stato necessario che la Regina del calcio italiano avesse leggi e regolamenti diversi dalle comuni squadre mortali. Una legislazione a parte. Applicabile solo per Lei, per la Regina, per la Nostra Signora dei Turchi, tanto per dirla con Carmelo Bene.
E questo obiettivo, nel corso degli anni, è stato pazientemente perseguito.
Un corpus juris non scritto
È stata ordita una trama di postille e codicilli, una densa ragnatela di eccezioni e cavilli, una elastica barriera di interpretazioni e controinterpretazioni fino a costruire un robusto corpus juris non scritto ma tramandato per tradizione orale a un gruppo ristretto di adepti di comprovata fede alla Corona.
Un lavoro sottile e costante portato avanti nel tempo.
E con ottimi risultati, se escludiamo qualche incidente di percorso, dovuto più che altro a pesanti ingerenze di poteri diversi (la solita magistratura ordinaria che, in Italia, invade campi che non le competono e addirittura non riconosce l’autonomia del potere della Casa Reale in grado di autogovernarsi anche in materie che sfociano in reati sia civili che penali).
I due regolamenti
Solo che questo dato, quello dei due regolamenti (uno, non scritto, valido per la Regina e un altro, scritto, valido per tutti gli altri), comune in tutte le vere monarchie, non si poteva rendere di pubblico dominio perché si temevano disordini da parte delle solite masse ignoranti, e spesso, diciamolo, anche con simpatie repubblicane e, comunque, non in grado di comprendere le sottigliezze di leggi e regolamenti che vanno interpretati secondo una serie di parametri che solo in pochi sono in grado di sviscerare, interpretare e applicare.
Sono nate così una serie di Confraternite di uomini di buona volontà e di provata fedeltà alla Corona, accomunati dal nobile scopo di fare chiarezza e offrire finalmente un’interpretazione, dall’alto della loro imparzialità e comprovata competenza, che tenesse conto non solo del banale regolamento scritto, ma anche, e in prima istanza, di quello non scritto.
Le “Giacchette nere”
La prima di queste nobili istituzioni è stata quella detta delle “Giacchette nere”.
Nome che nella notte dei tempi veniva dato a questi uomini duri che ogni domenica pomeriggio sgambettavano sui prati degli stadi italiani a dirigere le partite in pantaloncini corti e giacchetta nera (bell’Abissina), dalla quale giacchetta, talvolta, veniva fuori uno svolazzo bianco.
Nome che poi gli è restato pure quando, in uno slancio di modernità ma anche per fugare malevoli interpretazioni, hanno optato per meno compromettenti bluse colorate.
Questa congregazione è composta da veri eroi moderni: disinteressati, pronti ad abbandonare le loro famiglie nei giorni in cui tutti i comuni mortali si siedono a tavola coi loro cari, sbatacchiati, sotto il sole cocente o la pioggia battente, nei peggiori catini rumoreggianti di folle ostili che non risparmiano loro nessuno dei peggiori epiteti urlati in tutti i dialetti del nostro stivale, comprese pesanti allusioni a quelle sante donne delle loro mogli.
Il loro rito inziatico, semplice e senza orpelli di compassi, cazzuole e grembiulini, avviene ogni anno, nottetempo, in una località segreta nei pressi di Pontida (forse per ingraziarsi qualche alleanza col Lombardo-Veneto) e, in una Fiat cinquecento anni’60, con una sobria cerimonia viene consegnata loro una schedina telefonica svizzera e un mazzo di chiavi dei bagni dei principali stadi italiani.
Opinionisti senza giacca e senza paura
Una seconda congregazione, che potremmo definire laica in quanto non inquadrata ufficialmente in nessun rapporto gerarchico, è quella detta degli “Opinionisti senza giacca e senza paura” (sopratutto della vergogna).
Un corpo di complemento e di pronto intervento che entra nelle case di tutti i tifosi per spiegare loro – tra acrobazie verbali degne dei migliori trapezisti circensi e stridii di specchi sui quali sono soliti arrampicarsi – che le “Giacchette nere” (congregazione della quale sono, comunque, complementari) possono anche, in pochissimi casi, sbagliare ma, sempre e comunque, “in buona fede”.
La “buona fede” delle giacchette nere – in un mondo in cui la corruzione ha travolto tutti gli argini ed è esondata coprendo tutti i settori della nostra vita civile – rappresenta l’ultimo e unico dogma sopravvissuto alla caduta di tanti pilastri della civiltà occidentale.
Esiste, poi, un arcipelago di volontari, battitori liberi omaggianti e riverenti, con la voglia pazza di essere sudditi e, in quanto tali, cooptati nel magico mondo del potere della Regina.
Insomma tutto funzionava bene nel Paese delle Meraviglie fino a quando…
Lo spettro del Var
Fino a quando uno spettro che si aggirava per l’Europa non fu catapultato qui, da noi: il Var.
Questo ignobile marchingegno elettronico, con la sua smania di essere obiettivo, rischiava di sconvolgere tutte le rassicuranti certezze conquistate in anni di indefesso, ma anche proficuo, lavoro.
Un’ondata di panico si era, nel frattempo, insinuata per qualche mese nel placido Regno della Nostra Signora.
Ci sono state, nei primi tempi, reazioni furiose, anche scomposte, dovute al terrore di vedersi crollare addosso un mondo di prebende e di privilegi che funzionava alla perfezione e che rischiava di svanire nel nulla a causa di una stupida invenzione tecnologica.
Bisognava cercare e porre in essere un rimedio.
“Ho visto io”
E così, finalmente, a Cagliari, la sera della Befana del 2018, un uomo geniale e, come tutti i geni, visionario, ha pronunciato una frase che resterà scritta negli annali della Storia del calcio: “Ho Visto Io”.
Ebbene, questa semplice e icastica frase, pronunciata a voce alta e pura, ha esorcizzato tutte le paure e ridotto quello strumento del demonio che si chiama Var a innocuo strumento di trastullo per sfaccendati presi dalla smania di applicare meccanicamente e alla lettera dei regolamenti che non tengono in alcun conto interessi superiori e di ben più alta portata.
Da ora in poi basterà pronunciare quella fatidica frase e tutto sarà pacificato.
“Ho Visto Io” è la formula magica contro la quale nessun riscontro oggettivo è ammesso.
“Ho visto Io” è la spada che scaccerà in fuga tutti i giacobini che stavano per incendiare I Templi.
Resterà, forse, il VAR coi suoi brividini di giustizia che potrà sempre offrire agli illusi.
Ma la Giustizia, quella con la “G” maiuscola, quella dei Grandi Sacerdoti in giacchetta nera, veri depositari della Verità, non verrà più intaccata da una macchina tecnologica.
“Bella, immortal, benefica Fede ai trionfi avvezza…”
In fondo era così semplice e un Principe di altri tempi ce lo aveva insegnato: cambiare tutto perchè nulla cambi.
Perciò, caro don Aurelio, rendiamoci conto che siamo stati vittime di un equivoco: pensavamo, tutti noi, di vivere in una Repubblica democratica e ci siamo svegliati, almeno per quanto riguarda il calcio (ma non solo), in una Monarchia assoluta.
Ma non piangiamoci addosso. Prendiamo atto di questa realtà e lottiamo per lo scudetto democratico.
Il secondo posto.