Secondo quanto riportato dal quotidiano torinese, i pm di Milano sono partiti dalle incertezze sul flusso di denaro e sulla valutazione del pacchetto azionario del Milan.
L’inchiesta de La Stampa
Una bomba decisamente potente sulla credibilità del Milan. La sgancia La Stampa, a pagina due e tre del quotidiano oggi in edicola. Semplicemente: per il passaggio delle quote rossonere dalla Fininvest al gruppo cinese di Yonghong Li, si parla di denaro riciclato e cifre gonfiate. Leggiamo: «Sono partite una serie di verifiche per accertare la reale provenienza del denaro con cui la società rossonera, per 31 anni nelle mani di Silvio Berlusconi, è passata nell’aprile scorso per 740 milioni all’imprenditore cinese Yonghong Li. In realtà un modo, secondo le ipotesi investigative, per schermare il rientro in Italia di una sostanziosa cifra. Dopo mesi di dubbi, inchieste giornalistiche, ombre sulla vendita della squadra milanista, è la procura di Milano a cercare di capire esattamente la regolarità dell’intera operazione».
Come stanno operando i pm: «Nei giorni scorsi, hanno avviato un’inchiesta che tra le varie ipotesi comporta anche verifiche sul reato di riciclaggio, certamente un problema per Silvio Berlusconi in questo periodo di campagna elettorale. Un iter discusso: un passaggio di consegne del Milan, dopo anni di successi sotto la presidenza berlusconiana, travagliato e infinito. Alla base dell’apertura dell’inchiesta avvenuta poche settimane fa, ci sarebbero nuovi documenti che dimostrerebbero esattamente l’irregolarità dei flussi di denaro».
Questione di valutazione
Leggendo l’articolo de La Stampa, una delle prime perplessità riguarderebbe la cifra dell’intera operazione. Definita «monstre», nel senso di esagerata. I 740 milioni totali versati dai cinesi per un club reduce da diversi campionati deludenti, e pure da «campagne acquisti sottotono».
A questo punto, la Stampa ricostruisce la cronologia dell’intero passaggio di consegne da Berlusconi ai cinesi. Dal fantomatico mister Bee fino all’inchiesta del New York Times, che «faceva a pezzi la nuova proprietà della squadra milanese. Yonghong Li, risultava “sconosciuto sia in Italia che in Cina”. Non solo,. Secondo l’inchiesta finanziaria dell’autorevole quotidiano della Grande Mela, nemmeno le presunte attività estrattive della Guizhou Fuquan Group – società di riferimento del finanziere cinese-, avrebbero avuto questo lustro che veniva invece trionfalmente annunciato. Li «non risulta nemmeno tra gli uomini cinesi più importanti e ricchi», la sospettosa chiosa».
Questione di reputazione
E qui si apre il secondo pezzo del quotidiano torinese, incentrato più che altro sui dubbi che ammantano la figura del proprietario cinese del club rossonero. Il punto lo conosciamo benissimo: il Milan deve restituire oltre 300 milioni al fondo Elliott. Entro ottobre. Qualora non ci riuscisse, il pacchetto azionario potrebbe essere riscattato dal fondo, che a sua volta lo venderebbe ad un offerente in grado di soddisfare le richieste. Non sembrerebbe esserci la volontà di gestire il club, ma solo di “farci i soldi sopra”. Semplicemente.
Il pezzo de La Stampa parte da qui, chiarisce che alcune banche potrebbero aiutare Li Yonghong a farsi carico del debito. Solo che ci sono «motivi reputazionali» che sconsigliano di avviare una trattativa in questo senso. Perché, leggiamo, «le cose poco chiare sono davvero tante. La lunga trattativa con i soldi che non arrivavano e la chiusura continuamente rimandata, ad esempio. I tortuosi giri compiuti dai fondi per arrivare dalla Cina alle casse di Fininvest. E una struttura societaria a dir poco complicata, con una holding delle Isole Vergini Britanniche che controlla una società di Hong Kong, che ha il 100% di una lussemburghese, che controlla un’altra scatola del Granducato che controlla il Milan».
Le prospettive
C’è stato un incontro, giovedì, tra Elliott e la dirigenza del Milan. Il fondo spiega di aver ancora fiducia in questo mangement, ma sta anche guardandosi attorno per individuare gli uomini giusti per un’eventuale transizione.
Anche perché difficilmente, andando di questo passo, il Milan potrà rimanere in mano ai cinesi. Leggiamo: «Con i tentativi andati finora a vuoto per ottenere più tempo da Elliott, l’unica alternativa per Li è quella di trovare i soldi per rimborsare entro ottobre i prestiti al fondo Usa. Solo che chi ha visto le carte ha sollevato più di una perplessità».
«Tra queste, la principale dal punto di vista finanziario è la sostenibilità di un nuovo prestito. Se per il debito di 120 milioni in capo direttamente al club (due bond sottoscritti da Elliott, il primo da 70 milioni servito per trasferire di fatto parte del debito della holding lussemburghese al club e il resto utilizzato per il mercato del Milan) non sono mancati i soggetti interessati, la parte in capo alla holding lussemburghese presenta qualche complicazione in più. Priva di flussi di cassa – il Milan è in perdita e non paga né pagherà dividendi – potrebbe vendere una quota del club, lasciando entrare un nuovo socio o quotando in Borsa la squadra. In entrambi i casi sarebbe comunque un bagno di sangue per Li. Sempre che i soldi siano davvero i suoi».