Il bilancio di un anno che muore, il racconto di ciò che serve per la rivoluzione che verrà: cazzimma, faccia di cazzo, denaro, le vere domande del popolo.
Dalla Sala della Purezza e della Napoletanità (ex bagno e antibagno del Chiattone a Castel Volturno), solenne messaggio del Comandante Maurizio, condottiero dell’Urss, Unione delle repubbliche socialiste sarrite, per il Capodanno del 2018.
Compagne e compagni,
l’anno che muore offre a me e a tutti voi un bilancio di enormi gratificazioni proletarie, che rinforzano e aumentano la spinta propulsiva del sarrismo. Nell’anno in cui abbiamo onorato i cent’anni della Rivoluzione d’Ottobre di nostro padre Lenin, il Napoli ha offerto al mondo l’ora di gioco più spettacolare di tutti i tempi, sin da quando in Cina 4.500 anni fa, nell’epoca dell’Impero Giallo di Huangdi, alcuni uomini cominciarono a rincorrere un pallone riempito con capelli di donna. La mezz’ora contro il Real e quella contro il Manchester City hanno mostrato alla reazione borghese del capitale che la rivoluzione risplende pure nella sconfitta. Ed è da qui che voglio partire nella mia analisi del passato per proiettare l’Urss nel futuro.
Sulla relazione controversa tra cazzimma e comunismo.
“Ci abbiamo messo cazzimma” (7 gennaio 2017 dopo vittoria con la Sampdoria). “Squadra senza cazzimma” (il Compagno Presidente dopo la trasferta a Madrid). Compagni, queste due citazioni, una mia, l’altra del Compagno Papp…, pardon Presidente, ci pongono di fronte alla complessa natura della cazzimma nell’ambito rivoluzionario. La cazzimma è sempre necessaria oppure a lungo andare nuoce alla purezza del socialismo? Non mi sfugge, come notò sempre il Compagno Presidente a Madrid (“Solo Insigne ha avuto cazzimma”), che la cazzimma appartiene al patrimonio linguistico e genetico del proletariato napoletano. Ma come insegna il Compagno Gramsci è nostro compito principale istituire una pedagogia universale della cazzimma.
La cazzimma è innanzitutto nella testa del buon rivoluzionario ergo è un fenomeno razionale. Ci sono fasi supreme della storia in cui la cazzimma è decisiva e quindi Albiol e Koulibaly devono buttare il pallone in tribuna. Lo so, i traditori trotzkisti sono già pronti con le loro sterili accuse di revisionismo machiavellico strisciante, ma a loro ribadisco che la dottrina leninista prevede situazioni eccezionali in cui realizzare il comunismo e io vi dico che la cazzimma è necessaria in questa fase di transizione, perché l’importante è che il gatto prenda il topo dello scudetto. Ma solo la storia e l’anno buono diranno se la cazzimma è permanente o transitoria. In ogni caso la cazzimma è il fattore della classe dominante del popolo ed è ciò che fa la differenza tra la fame atavica degli sfruttati e le pance sazie degli sfruttatori.
Sulla insostituibilità o meno delle facce di cazzo.
“Voglio undici facce di cazzo” (16 ottobre 2017). Compagni, sembra un ossimoro reazionario ma l’estetica delle rivoluzione sarrita presuppone una grande faccia di cazzo. Se c’è la cazzimma, c’è anche la faccia di cazzo: i due concetti si reggono insieme. Ma il punto che introduco è delicato per l’ortodossia comunista: in una logica collettivista la faccia di cazzo mantiene una sua connotazione individualista. Non tutte sono uguali. Per me ci sono facce di cazzo insostituibili e più titolarissime di altre. Non è una deriva borghese e liberale, come può apparire in un’analisi superficiale. Anzi, il merito di avere una grande faccia di cazzo s’inserisce appieno in una società comunista che ha fatto tesoro dei tragici errori del passato e della lezione dei compagni cinesi. L’individualismo della faccia di cazzo è come il capitalismo di Stato per il Partito comunista cinese.
La rivoluzione da esportare e il valore del denaro.
“Voglio arricchirmi” (13 maggio 2017 dopo Torino-Napoli 0-5). Compagni, con voi sarò franco e diretto: io non so ancora se il 2018 sarà l’ultimo anno dell’Urss a Castel Volturno. Potrei citarvi l’esempio di un altro Comandante, il Che, che andò a combattere laddove la rivoluzione chiamava. Anche io, alla fine, potrei fare questa scelta. La rivoluzione sarrita per diventare permanente deve essere internazionale. Comprendo le vostre obiezioni. Sono le solite da un secolo, ormai. Per la serie: “Il comunismo si deve realizzare in un Paese solo oppure no?”. Riassumendo: “Il sarrismo si deve realizzare solo in una squadra oppure no?”.
La risposta, in questa fase transitoria, dipende ancora dal capitale. In attesa che si avveri la profezia di nostro padre Lenin sull’abolizione del denaro, i nostri rapporti di forza si basano sulla proprietà dei mezzi di produzione. E io sono padrone di me stesso. Quindi mi batterò sempre per l’aumento del mio salario, contro l’oppressione del parassitismo borghese che specula e guadagna sulle mie capacità. La ricchezza non è un concetto negativo in questa fase di transizione. Bisogna dare atto ai compagni riformisti che un vero comunista non deve essere per forza pezzente. Anzi deve tendere a migliorare le sue condizioni di vita. E io voglio arricchirmi.
L’Urss e la libertà di stampa.
La censura in nome dell’intelligenza. “Non farmi domande del cazzo. Io sono troppo intelligente per continuare ad ascoltarti” (dicembre 2017, dopo l’eliminazione dalla Champions League). In un regime comunista, la buona stampa è quella che dà conto in modo diligente dell’avanzata della rivoluzione proletaria, senza cedere alle insidie borghesi delle domande distruttive. La rivoluzione sarrita va aiutata con le vere domande del popolo.
Non mi si può accusare di aver fallito un obiettivo. Non è ammissibile. Un vero compagno giornalista dopo l’uscita dalla Champions League avrebbe formulato così la sua domanda, onorando la sua e la mia intelligenza: “L’eliminazione non cancella le prove eroiche per la durata di un’intera ora contro Real e Manchester. In che modo queste prestazioni danno fiducia per il futuro?”. I critici mi accuseranno anche di populismo grillino, senza sapere che così mi faranno un favore. Un onesto e vibrante vaffanculo mette la rivoluzione al riparo dal boicottaggio del giornalismo nemico. Buon anno compagni. Viva l’Urss, viva il M5Sarri.