Gli ergastolani rivivono i fantasmi di Cardiff e la Spal li ferma. Il muro di Ballardini invece non regge. Ma l’impresa è di Nibali a Sanremo
FALLI DA DIETRO – COMMENTO ALLA 29A GIORNATA
Muri da abbattere.
Ferrara è una stupenda città d’arte.
Esempio tra i più autorevoli di fortezza impenetrabile è il magnifico Castello Estense.
Deve saperne qualcosa Leonardo Semplici, ex agente di commercio col pallino del calcio.
E allora lui trasferisce in blocco il Castello così com’è all’interno del civettuolo e minuscolo stadio Mazza.
Cose semplici, in sintonia con uno che ha quel nome. Niente di nuovo.
Fase difensiva ordinata cui partecipano proprio tutti, Paloschi compreso.
Centrocampo martellante con uno Schiattarella leader, riconfermato davanti all’area.
Raddoppi di marcature.
Gran Lavoro sulle fasce. Dove eccelle, al posto dell’atteso gioiellino Lazzari, il più anonimo Costa.
Cose semplici.
Ma efficacissime.
I fantasmi di Cardiff
Gli ergastolani hanno altro per la testa.
Stanno lì ancora a smadonnare per aver pescato i fantasimi di Cardiff.
Sono così brutti che, al confronto, le canzoni di Antonacci sembrano essere scritte da Aznavour.
In partite così, se viene a mancare l’invenzione del singolo, si sbatte.
E gli ergastolani sbattono.
Il muro di Ballardini
Al San Paolo Ballardini-Servillo gioca a calcio per dieci minuti.
Poi è muro.
Si gioca in una sola metà campo.
Gli elfi dei torrenti e delle colline sono costretti a rinunciare alle proverbiali azioni in velocità.
Cercano l’altra strada.
Quella della giocata sopraffina che possa far saltare la tonnara difensiva grifagna.
Cercano con impegno ossessivo il gesto tecnico da sballo.
E sbattono anche loro.
Sbattono contro i pali due volte.
Ma sono vivi. E vogliono la vittoria.
E la vittoria arriva.
È la vittoria del lavoro
Grazie a uno schema riprovato mille volte a Castel Volturno.
E allora la vittoria si arricchisce di un significato simbolico più forte e importante.
Perchè è la vittoria non casuale.
È la vittoria che nasce dall’applicazione sistematica.
È la vittoria frutto della caparbia ricerca della perfezione, nella noia e nella ripetitività dei gesti riprovati fino allo sfinimento in allenamento.
È la vittoria simbolo di un’idea pazzesca che vuole imporre una metodologia scientifica a un gioco fatto di imprevedibilità perchè è un gioco che si fa con una palla che rotola.
È la vittoria del lavoro.
E il lavoro alla fine paga.
Sor Tuta ritorna padrone del suo destino.
E fa bene a risentirsi a frasi del genere.
Il suo Napoli ha già instillato una mentalità nuova, un nuovo stile.
Il Palazzo può attendere.
Ma il campionato riapre.
Il ritorno del Var
Il campionato riapre al Var.
È una novità. Dopo che la classe arbitrale lo aveva a lungo trascurato e ignorato con arrogante indifferenza.
Qualcuno da Nyon avrà alzato la voce.
C’è sempre qualcuno in Europa ad avvertirci che stavamo rischiando il ridicolo.
Molti goal e molti bei goal.
A Marassi è di scena la migliore Suninter dell’anno. Ma è presto per esultare. Perchè gli avversari erano i ciclisti in disarmo e ancora ubriachi dalla quaterna calabrese.
Quaterna per Wandicardi che supera i 100 e ne fa uno di tacco che è una meraviglia.
Meraviglia autentica è il goal di Roberto Inglese a San Siro.
Ma non basta contro il cuore di Ringhio che butta dentro tutti gli attaccanti che ha tranne il Croato pallido, punito per scarso impegno a Milanello.
Consolida il terzo posto Eusebio da Pescara allo Scida con un Allison sempre più protagonista e con Lorenzo Pellegrini pronto per la Nazionale.
Non toglietemi le interviste di Mazzarri
Crolla il Toro contro gli stilnovisti ed è il quarto stop consecutivo.
C’è già chi parla di un ritorno del Ceffo Sinisa dimenticando che è difficile fare peggio di lui.
E poi non toglietemi le interviste post gara di Mazzarri, vi prego.
Le sue lacrime perché nessuno lo capisce.
I suoi lamenti perché Rincon “aveva problemi gastrocoso, insomma di gastrite”.
I suoi appelli iperbolici alla pazienza, perché anche quando andò all’Arcireale (non al Reale di Madrid) all’inizio non lo seguivano, ma poi le cose andarono alla grande.
Va alla grande Gasp che espugna il Bentegodi che è un po’ diverso dallo Stadium, e magari la si può giocare con più spensieratezza.
Tripletta per Josip Ilicic.
Per uno come lui, che non è un attaccante, è davvero un’impresa.
Nibali
Ma l’impresa più emozionante è un’altra.
Come Yves Montand j’ai deux amours.
Il calcio e la bici.
Sono giorni di freddo e di pioggia, ma se c’è la Sanremo prima o poi sarà primavera.
La Classicissima.
Ne avrò perse due o tre al massimo.
A pensarci è una gara anche un po’ noiosa.
Trecento chilometri piatti. Tranne il Turchino e il Poggio, che è uno strappetto.
Ma ha un fascino che non so spiegare. E resto lì, inchiodato.
È una corsa per velocisti. Per uomini di giornata.
Ma quest’anno non è stato così.
Quest’anno ha vinto Vincenzo Nibali.
Che va forte soprattutto in salita e in discesa. Ed è un fondista.
Un uomo solo al comando
È stata un’impresa che ha il sapore di antico.
Come di antico è scolpito il suo viso rigato dalla fatica.
Vincenzo parte sul Poggio e fa il vuoto.
Poi si invola nella folle discesa che conduce a Sanremo.
Ed è una discesa perfetta.
Prende dieci secondi sugli inseguitori.
Un uomo solo al comando. Come Coppi.
Regge i due chilometri finali di pianura controvento e contro i pronostici.
Si gira una volta sola a controllare la distanza.
Poi alza le mani al cielo.
Passerà alla storia.
Perchè è l’unico di questa generazione in trionfo su tutti i traguardi.
La Vuelta, il Tour de France, le Corse Rosa.
Manca solo un traguardo adesso.
Il Mondiale a Innsbruk, a ottobre.
Poi Vincenzo Nibali diventerà immortale.