L’accanimento mediatico su Diego dopo la vittoria sull’Italia ai Mondiali del 90. Lasciò con un rigore alla Sampdoria e un’intervista-testamento.
Ventisette anni fa
L’ultima volta con la maglia del Napoli. Non quella azzurra, però. A Marassi contro la Sampdoria che si apprestava a diventare campione d’Italia, il Napoli scese in campo con la maglia rossa. Finì 4-1 per i blucerchiati, esattamente come all’andata al San Paolo, anche se furono due partite diversissime. Il 4-1 subìto in casa fu uno dei risultati più bugiardi della storia, con un Napoli arrembante e sfortunato che fu punito dalle magie di Vialli e Mancini. Quello del ritorno stette addirittura stretto alla Sampdoria, padrona assoluta del campo. Era il 24 marzo 1991, ventisette anni fa.
Giocò anche con la 9
Un rigore calciato due volte
L’intervista a Tg7
In quelle dichiarazioni c’era l’estrema resistenza di Diego, ai giornalisti che gli chiedevano della cocaina e delle prostitute rispose parlando della mancata ammonizione di Vierchowood. Cercava riparo in campo, perché fuori lo stavano distruggendo. In un’intervista a TG7, il rotocalco del Tg1, qualche settimana prima Diego aveva parlato dei suoi nemici. «Forse ce l’hanno con me perché ho vinto qualche partita che non avrei dovuto vincere», ed era chiaro il riferimento alla semifinale mondiale in cui la sua Argentina eliminò ai rigori l’Italia di Vicini. Diego parlò di sospetto di vendetta da parte di qualcuno. Parlò di ritorno in Argentina e di ritiro dal calcio, mentre Repubblica riportava le dichiarazioni di un’anonima prostituta napoletana che ci teneva a far sapere che a letto Diego non era poi questo fenomeno. “Mi aspettavo di più da lui. Invece è più campione in campo che a letto”. Era la narrazione preferita dai media italiani, la distinzione tra uomo (mediocre) e calciatore (fenomenale). Le parole della prostituta erano perfette, soprattutto per questo.
Matarrese, all’epoca presidente della Figc, lo scaricò pubblicamente, definendolo una pecora smarrita di cui si stava occupando la magistratura. Intanto parlava con Ferlaino per capire il futuro del Napoli.
«Non ho mai fatto male a nessuno»
Parlarne ancora oggi, di quell’ultima partita, ha senso sotto tanti aspetti. Diego, lo si capisce benissimo ascoltando le sue parole di allora, non si faceva capace di quell’accanimento sulla sua vita privata. «Forse parlano di Maradona per nascondere le altre carenze di Napoli», disse. Cercava una spiegazione, chiese anche scusa agli italiani, ma – ci tenne a sottolineare – «io non ho mai fatto male a nessuno». Le stesse parole che avrebbe ripetuto anni dopo a Gianni Minà. Si preoccupava di quello che avrebbero detto di lui alle sue figlie, era impaurito da tutti quei dettagli che riempivano le colonne dei giornali, lui che voleva che si parlasse solo di quello che faceva con il pallone tra i piedi. Abbandonò l’Italia con il marchio dell’infamia, umiliato nel perenne paragone con un altro numero 10, Platini, francese e juventino, descritto all’epoca come campione dentro e fuori dal rettangolo di gioco, uomo esemplare davanti al quale si stavano per srotolare i tappeti rossi della presidenza dell’Uefa.
24 anni dopo, nel 2015, avremmo appreso che quella favoletta era falsa. Platinì fu squalificato dal comitato etico della Fifa per un losco giro di soldi tra lui e Blatter, un altro che sul Maradona uomo aveva infierito senza pietà. E torna ancora alla mente la vicenda di Berlusconi, umiliato in diretta mondiale dalle risatine di un altro francese, Sarkozy, il quale, a quanto pare, mentre lo sbeffeggiava con Angela Merkel si dava da fare per occultare fondi libici.