Merita un lungo applauso e una chance europea ad alto livello. Ma il Napoli esisteva anche prima di lui. E non abbiamo capito perché ha scelto questo ruolo di capo-popolo
Giorgio se ne vo’ jì e ’o vescovo ne ’o vò manna’
Una trattativa è una trattativa. Non dimentichiamolo. Ciascuno prova a porta acqua al proprio mulino e – ahinoi – sembra essere consentito l’uso di qualsiasi arma dialettica. È quel che sta accadendo tra Sarri e De Laurentiis il cui rapporto è logoro praticamente da sempre e va avanti da almeno due anni a suon di frecciate. Un pessimo spettacolo, non rispettoso del Calcio Napoli né dei tifosi.
Ieri si è concluso il campionato. Il Napoli ha stabilito il record di punti della sua storia. Novantuno. Il punteggio più alto mai raggiunto da una squadra italiana non vincitrice dello scudetto. Siamo abituati a questi strani primati, lo stabilimmo anche in Champions League con i 12 punti che nel girone non ci consentirono la qualificazione agli ottavi di finale.
Sarri fa bene a rimarcare l’importantissimo lavoro svolto. Tre qualificazioni consecutive in Champions League, traguardo mai raggiunto dal Napoli. Valorizzazione di alcuni calciatori della rosa, su tutti Gonzalo Higuain raccolto dopo una stagione da protagonista negativo, rivitalizzato, condotto al record di 36 gol in Serie A e venduto alla cifra record di novanta milioni. Ma possiamo parlare anche di Jorginho – che potrebbe trasferirsi al City di Guardiola per sessanta milioni -, di Koulibaly la cui valutazione viaggia a cifre monstre, lo stesso Ghoulam. E poi va ricordato lo splendido campionato di quest’anno che il Napoli ha chiuso al secondo posto anche per decisioni arbitrali che continuano a far discutere. Sarri ha fatto bene anche a sottolineare che con lui il Napoli in campionato si è sempre migliorato. Tutto giusto. Sarri merita un lunghissimo applauso. Al netto di un gioco da tanti considerato il più bello d’Italia e che ha emozionato anche in Europa. Ma sull’estetica, o presunta tale, non ci soffermiamo. Resta una questione di gusti e di modi di intendere il calcio.
Fuori dal campo
Non si discute Sarri sul campo. Si può però discutere Sarri fuori dal campo, e non solo per la gestione della rosa (argomento che qui non affronteremo, così come non affronteremo la mancata valorizzazione di altri calciatori). Ormai ci siamo abituati alle sue esternazioni sempre a doppia lama. Sarri si è ritagliato per sé questo singolare ruolo di ambasciatore del popolo napoletano (a proposito: se il Napoli dovesse cambiare allenatore, vorremmo proporre una moratoria per la locuzione “popolo napoletano”). Lo scriviamo da tempo, ha lavorato mediaticamente per affermare il concetto che questo Napoli è esclusivamente merito suo, che è arrivato così in alto nonostante De Laurentiis. È uno dei motivi del consenso di cui gode in città. Che è dovuto ai risultati, certo; al gioco; ma anche alla scelta di incarnare la leadership di quell’ampio movimento trasversale che noi definiamo papponismo che unisce tutti coloro – e sono tanti – che apostrofano De Laurentiis pappone e considerano il presidente il male assoluto del Calcio Napoli. Papponismo che a Napoli ti garantisce imperitura gloria, ma che nella stragrande maggioranza delle piazze calcistiche d’Europa sarebbe considerata una seria patologia da affrontare con urgenza.
Il Napoli esisteva anche prima di lui, e aveva anche vinto
La posizione del Napolista è nota. Non esisterebbe Napoli senza De Laurentiis. Non esisterebbe questo Napoli. Che con Sarri ha vissuto un triennio denso e importante, persino entusiasmante. Ma che prima di Sarri non navigava certo in Lega Pro. Anche con Mazzarri il Napoli ha raggiunto il secondo posto e ha lottato per lo scudetto; si è qualificato due volte per la Champions; ha raggiunto gli ottavi e li ha persi solo ai supplementari col Chelsea; ha vinto un trofeo il primo dell’era De Laurentiis. Due ne ha vinti con Benitez, con lo spagnolo ha anche raggiunto la semifinale di Europa League e un posto tra le prime 15 squadre del ranking Uefa. Per non parlare della qualità dei calciatori arrivati con lui. Nel triennio di Sarri – è un dato di fatto e non se ne abbiano a male i suoi strenui sostenitori – il Napoli non ha vinto nulla. Né ha giocato una finale. Il calcio è anche competizione, agonismo. La vittoria non è proprio un accessorio, con tutto quello che comporta il processo per raggiungerla (sono piuttosto illuminanti, in proposito, le parole pronunciate da Simeone alla folla dei tifosi dell’Atletico Madrid scesi in piazza a festeggiare una coppetta come l’Europa League).
I giocatori del Barcellona
Ovviamente non siamo pazzi. Sarri ha svolto un grande lavoro, grandissimo. Sarebbe da folli affermare il contrario. Ha dato entusiasmo alla squadra e alla tifoseria, ha fatto vivere un sogno. Ha rapito tantissimi appassionati di calcio, anche non tifosi del Napoli. Ha ricevuto attestati di stima da grandissimi allenatori come Guardiola, Sacchi, lo stesso Spalletti. Ma non ha creato il Napoli dal nulla. Non abbiamo mai capito perché ha voluto recitare questo personaggio. In perenne contrapposizione con la società. Lui che, quando ha voluto, ha tenuto perfettamente la scena mediatica. Anche ieri ha affermato che gli obiettivi andranno ri-tarati perché il Napoli “non acquisterebbe giocatori del Barcellona”, ossia non sostituirebbe i calciatori in partenza con elementi dello stesso valore. Ha fatto gli esempi di due calciatori il cui contratto prevede una clausola rescissoria: Mertens e Albiol. Con quei soldi – 28 e 6 milioni – ha spiegato che allo stesso prezzo sarebbe impossibile acquistare calciatori del medesimo valore.
Tre anni dopo, sembra quasi che Sarri voglia invertire il discorso sul ridimensionamento di cui si parlò a lungo quando venne chiamato lui – all’epoca un signor nessuno con un solo anno in Serie A – al posto di Benitez. La riconoscenza non esiste, siamo d’accordo. Sarri ha avuto un’opportunità – che tra l’altro si era conquistato sul campo – e l’ha sfruttata al meglio. Il Napoli ha dato a lui e lui ha dato al Napoli. È condivisibile quando dice che è meglio lasciarsi prima che il rapporto si rovini, prima che – per dirla alla De André – diventi cattivi umori il giorno e cattivi odori la notte. Le cose finiscono, e ha ragione. Non è accettabile, però, che lui faccia discendere la sua decisione da un ipotetico ridimensionamento della società. Nessuno può dirlo, nemmeno lui. Un anno fa, apprezzammo Sarri quando espresse il desiderio di arricchirsi. Finalmente la sinistra che non ha vergogna del denaro. E anche se dovesse scegliere di restare fermo un anno, può farlo senza lasciare macerie nel luogo che lascia. Se non ci sono stimoli necessari, ci si separa, ci si abbraccia, ci si ringrazia. E amen.
Sarri merita una panchina europea importante
Sarri merita una platea importante a livello europeo. Merita di confrontarsi con una squadra dell’élite del calcio continentale. Ma non possiamo non ricordare che quando arrivò qui, il Napoli era già tra le prime quindici del ranking Uefa. Il Napoli, come abbiamo più volte ripetuto, non è il Leicester. È una realtà del calcio italiano: negli ultimi otto anni, i peggiori piazzamenti in Serie A sono stati due quinti posti. Ora non sappiamo chi verrà se Sarri dovesse andar via, ma Giorgio Ciaschini – storico collaboratore di Ancelotti – non si è certo turato il naso quando ha parlato del Napoli.
Perdonateci, non abbiamo paura del futuro senza Sarri. Abbiamo applaudito anche noi ieri al San Paolo mentre salutava il pubblico. Restano tre anni esaltanti, la gioia e la delusione allo stesso tempo per il campionato perduto a novantuno punti e la sensazione che con un filo di testardaggine in meno avremmo gioito di più e più a lungo. Ma il brivido che dopo di lui il diluvio, no, quello non lo abbiamo avvertito.