Un dialogo sul possibile approdo di Fonseca sulla panchina azzurra: una scelta conservativa dal punto di vista tattico, potenzialmente rivoluzionaria dal punto di vista politico.
Con questo articolo, due firme del Napolista inaugurano una rubrica dialogica sul futuro allenatore del Napoli. Sappiamo che il futuro di Sarri è ancora tutto da definire, ma abbiamo deciso di immaginare come potrebbe cambiare la squadra e la politica del club con l’arrivo di un nuovo tecnico. La prima puntata è incentrata sulla figura di Paulo Fonseca, attualmente alla guida dello Shakhtar Donetsk.
Alfonso (A): Ciao Charlie, come stai? Io bene, anche perché ieri sera ho mangiato due belle fette di salmone fresco fatto alla piastra; c’era anche il purè con la noce moscata, tutto ottimo, davvero.
Charlie (C): Ugualmente bene, ormai c’è solo questa storia del nuovo allenatore del Napoli a preoccuparmi. Facciamo così: prima di metterci a discutere sulla sua identità io vorrei almeno esplorare i contorni del problema. Prima di tutto: quanto sarà difficile per Napoli liberarsi del Sarrismo? Capiscimi: non è che frema esattamente dalla voglia di scoprirlo… Però è una realtà con cui ci si dovrà confrontare, che sia quest’anno o uno dei prossimi.
Hai presente quella massima che sta accendendo il dibattito politico di questi mesi? Ecco, ho la sensazione che a Napoli possa essere più semplice immaginare la fine del calcio che la fine del Sarrismo. Non mi riferisco solamente all’aspetto tecnico o tattico, che pure è fondamentale. Parlo proprio della difficoltà di poter trovare un’alternativa dialettica, ideologica, motivazionale. Sarà difficile abbandonare il lancio buggato di Insigne per Callejon, difficilissimo rinunciare a vedere Jorginho orientare il corpo in quel-modo-là prima di ricevere il pallone. Ma sarà ancora più difficile per la piazza rinunciare all’idea di assaltare il palazzo; alle battutine su Sarri in tuta; all’immagine di Starace che porta i caffè.
Definizione del “lancio buggato di Insigne per Callejon”
Poi se penso alle condizioni in cui si ritrovano le altre squadre che hanno dovuto affrontare questo stesso scenario da fine della storia (Barcellona col guardiolismo, United con Ferguson) mi viene il magone. Non so, sono solo io che ho questa paura irrazionale dell’apocalisse? There is no alternative.
A: «La paura dell’ignoto è una risposta irrazionale ad un eccesso di immaginazione». Qualcuno lo diceva in X-Files, se non ricordo male. Ecco, per esorcizzare questo sentimento – che appartiene anche a me, è bene chiarire – secondo me si può iniziare da qualcosa che possa essere vicino a Sarri. A livello concettuale e calcistico, intendo, così da capire se è possibile proseguire sulla stessa strada cambiando solo il driver, come si fa nei viaggi notturni degli autobus.
Dopotutto, Fonseca sembra avere un buon rapporto con gli autobus
Perciò, direi che partire con Paulo Fonseca possa essere una buona idea. Il distacco controllato e graduale è quasi sempre meglio della terapia dello shock, soprattutto quando l’esperienza è stata così totalizzante – parlo, ovviamente, di puro calcio giocato, ma in seguito faremo anche una riflessione politica e di (calcio)mercato. Per questo voglio iniziare da una cosa di cui abbiamo già discusso in privato ma che vorrei riprendere e ampliare in pubblica piazza. Secondo te (spoiler) Paulo Fonseca sarebbe uno dei candidati migliori per raccogliere l’eredità di Sarri, perché – ti cito più o meno testualmente – «è stato uno dei pochi a mettere in difficoltà tattica il Napoli».
Piuttosto che il solito articolone sul tecnico portoghese dello Shakhtar Donetsk, spiegare e spiegarmi bene questo concetto potrebbe essere un punto di partenza per capire chi è questo Fonseca. Per iniziare a comprendere come approccia il gioco, evitando di essere troppo noiosi. E parlando di calcio proattivo, che è una delle mie cose preferite – dopo il salmone, ovviamente.
Annichilire Sarri
C: Qua devo correggerti perché ci sei andato molle. Al telefono ho proprio detto che Fonseca è stato l’unico ad aver annichilito Sarri. E continua a sembrarmi l’immagine giusta. Magari quest’anno il Napoli ha perso partite in maniera peggiore – con il Lipsia, con la Roma, a Firenze. Ma nessuna di queste mi ha trasmesso la sensazione che l’avversario scendesse in campo per giocarsela alla pari con il Napoli, proprio con gli stessi mezzi. Fonseca ci è riuscito: ha messo nella testa dei suoi difensori l’idea che avessero le qualità per uscire sempre col palleggio, per costruirsi sempre l’azione da dietro e col gioco posizionale. Quella sera lo Shakhtar fece tutte quelle cose che fa il Napoli, ma meglio del Napoli, e con una rosa probabilmente di livello inferiore.
Si tratta anche di un allenatore abituato a subentrare in situazioni difficili: è arrivato a Donetsk per sostituire Mircea Lucescu, per dire. Uno che in dodici anni di gestione ha vinto così tanto che l’hanno fatto cittadino onorario. E gli hanno pure eretto una statua all’ingresso dello stadio.
Un video di tattica, sullo Shakhtar di Fonseca
Fonseca ha avuto la sensibilità di arrivare in punta di piedi ma con la voglia di essere fedele alle proprie idee: ha preso il 4-2-3-1 di Lucescu e l’ha modernizzato secondo i principi più classici del gioco di posizione. Non ha stravolto la formazione negli uomini o nel modulo ma ha insegnato alla la linea difensiva come accorciare gli spazi, ha voluto che il playmaker sviluppasse la capacità di dare ritmo al gioco, ha imposto il pressing, lo scambio di posizione degli attaccanti. Chiaro che Fonseca non si è inventato nulla, ormai credo siano anche finiti i tempi in cui consideravamo il gioco di posizione un’avanguardia tattica. Però questi strumenti di gioco hanno portato il Napoli a giocarsi uno scudetto e Fonseca ha dimostrato di saperli maneggiare molto bene. Tra l’altro non è che il calcio abbia prodotto chissà quali alternative tattiche rivoluzionarie negli ultimissimi anni.
A questo punto, però, mi metto a fare un po’ l’altra campana – altrimenti ci mettiamo ad elogiare il calcio posizionale per ore e dimentichiamo il punto della faccenda. Il Napoli ha perso un paio di scudetti contro un avversario che ha molto spesso rinunciato a qualsiasi forma di proattività, viene da cinque anni di calcio posizionale (seppur declinato in forme diverse) e non ha ottenuto alcun risultato veramente eclatante. E se si verificasse una crisi di rigetto per il calcio proattivo? Insomma: se dopo un paio di sconfitte con Fonseca in panchina cominciasse a risuonare la litania del resultadismo? La mia unica paura è che lui possa non avere le armi per gestire una situazione del genere. Non dà esattamente l’idea di uno bravo a sfangarsela. O no?
Un calcio ancora più ambizioso
A: Se parli con me e tenti di mettermi dei dubbi sul gioco di posizione, ti scontrerai con un macigno praticamente inscalfibile. In questo senso, ho due risposte alternate e alternative mutuate dalla mia scarsa cineteca. Da una parte c’è Will Smith/Chris Gardner in “Alla ricerca della felicità”, l’idealismo e la fiducia assoluta del «Se hai un sogno lo devi proteggere»; dall’altra c’è Peter Weller/RoboCop nel primo film della saga, che non ammette deroghe e ripete sempre: «Vivo o morto, tu verrai con me». Tutto questo per dire che io non rinuncio al gioco di posizione, mai. A meno che non mi si proponga un’idea diversa di proattività (ma di questo parleremo più avanti…).
Al di là delle suggestioni hollywoodiane e dei gusti personali, penso che per questo Napoli non esista alternativa che possa andare oltre un certo tipo di calcio. Come per tutte le scelte (solo apparentemente) ideologiche ed ideologizzate, in realtà è una questione di caratteristiche degli uomini a disposizione: tutti i giocatori di Sarri sono programmati o sono stati programmati per pensare calcio ed occupare il campo secondo i criteri del juego de posición. Forse solo Allan e Callejon possono fare qualcosa di diverso. E non a caso il Napoli costruisce gioco soprattutto a sinistra – dove non ci sono Allan e Callejon. Quindi, a meno di clamorosi rivoluzioni d’organico, credo che l’unico modo per assecondare le qualità di Insigne, Hamsik/Zielinski, Milik, Jorginho/Diawara – in pratica l’ossatura della rosa – sia proseguire sulla stessa strada.
Cosa intendiamo per gioco di posizione
In quest’ottica, anche per me Fonseca rappresenterebbe un buon compromesso tra il Napoli che è e il Napoli che potrebbe essere. E penso a piccoli aggiustamenti, a percettibili modifiche al sistema che abbiamo apprezzato negli ultimi anni. Innanzitutto, Fonseca mi sembra un tecnico meno schematico rispetto a Sarri, e per “schematico” intendo tendente ad incoraggiare la ripetitività delle giocate e dei movimenti in fase offensiva. Lo Shakhtar che abbiamo visto contro il Napoli e la Roma è una squadra profondamente organizzata, che risale il campo attraverso i principi del gioco di posizione e lo strumento del possesso palla. Poi, però, concedere libera interpretazione ai suoi elementi più talentuosi – nel caso specifico, i trequartisti brasiliani Marlos, Taison, Bernard.
Ecco, l’idea che Insigne, un esterno destro più associativo al posto di Callejon – uno come Suso, ma è un nome puramente indicativo – e Hamsik/Zielinski possano essere (più) liberi di esprimere la propria creatività, magari con il supporto dei due terzini in perenne proiezione offensiva, mi stuzzica in maniera particolare. A questa immagine lirica, va aggiunta una maggiore predisposizione alla verticalità: lo Shakhtar di Fonseca utilizza la costruzione bassa per “richiamare” il pressing avversario, per aprire gli spazi di mezzo alle spalle dell’unica punta e poi attaccare velocemente la porta.
C’è una sottile differenza col possesso di Sarri, pensato prima per spostare la squadra in maniera armonica e per tenere i propri reparti stretti, poi per creare scompensi posizionali. Ecco, paradossalmente Fonseca adotterebbe una versione ancora più ambiziosa, più offensiva, del gioco di posizione. E se proprio devo cambiare, allora fammi cambiare per una cosa ancora più divertente da vedere, anche solo potenzialmente.
L’organizzazione, poi la qualità
Per rispondere alla tua domanda finale, introduco velocemente qualche concetto difensivo: difficile pensare che il Napoli possa impostare una fase passiva molto diversa da quella vista con Sarri. Come detto sopra, i calciatori a disposizione – Tonelli a parte – sono geneticamente predisposti a difendere in maniera proattiva, più o meno come lo Shakhtar. Quindi baricentro alto, distanze brevi tra i reparti e orientamento sul pallone. C’è qualche differenza nell’intensità del pressing, il Napoli di Sarri è più aggressivo sul portatore avversario, ma credo che anche questa sia una scelta dovuta alle caratteristiche della rosa ucraina – per dirla facilmente: non tutti hanno Koulibaly.
Sì, lo so, stai per ammonirmi: questo cosa c’entra con la tua domanda? C’entra, eccome. Perché se Fonseca dovesse confermarsi intelligente ed elastico come dici, difficilmente farebbe la rivoluzione difensiva al Napoli. Continuerebbe nel solco di Sarri, la sfangherebbe così. E a quel punto il successo iniziale del nuovo progetto dipenderebbe soprattutto dalla qualità della nuova squadra. Quindi, anche da quella che sarebbe la politica di mercato.
Ecco, ti lascio la parola e ti lancio una provocazione in merito: Fonseca è un uomo di Jorge Mendes, con tutto quello che ne consegue. Secondo te, il suo arrivo sulla panchina del Napoli cambierebbe le strategie di reclutamento del club? Cosa ci dovremmo aspettare dal calciomercato? Io ti dico la mia: ci sarebbe una dinamicità diversa, probabilmente più vicina alle esigenze di un club di Champions, ma ancora medio-borghese, come il Napoli. Ti avevo avvisato che la discussione si sarebbe spostata su un piano politico.
L’ombra della GestiFute
C: Siamo arrivati al punto più controverso di tutto l’affare Fonseca. Ti risponderò in maniera lapidaria: non puoi metterti un assistito di GestiFute in panchina e aspettarti che Mendes se ne stia lì a guardare mentre fai calciomercato. Lo dico perché Jorge Mendes è un soggetto veramente ingombrante: è un procuratore ma anche un talent scuot, un direttore sportivo, un consulente finanziario, un addetto stampa.
Quando si avventa su una squadra finisce per totalizzarne la gestione: penso al primo Chelsea di Mourinho dove si occupò praticamente da solo del mercato scalzando Abramovich, ma anche al suo coinvolgimento diretto nella gestione di alcuni club inglesi come il Wolverhamption o lo Swansea. Persino un club globale come il Bayern Monaco non è immune alla sua influenza. Stiamo parlando di una figura monolitica e il Napoli ha già un’altra figura monolitica in organigramma: il suo stesso presidente.
Mettiamola così: il rapporto tra Mendes e De Laurentiis sarebbe quantomeno frizzante. Da una parte un procuratore sportivo tentacolare che non vede l’ora di allargare la sua sfera d’influenza alla Serie A (dove, a dirla tutta, non è mai riuscito a mettere radici); dall’altra un presidente di una squadra medio-grande con in mano un parco giocatori molto appetibile. È un mix esplosivo che può portare a risultati incredibilmente esaltanti o terribilmente deprimenti. D’altronde, quando due figure così estreme si incontrano non c’è da aspettarsi null’altro che conseguenze estreme.
I due signori accanto a Jorge Mendes si chiamano Cristiano Ronaldo e Mourinho
C’è il rischio che il rapporto tra i due termini velocemente esplodendo in una qualche polemica pirotecnica. Ma anche la possibilità che tutto vada per il meglio e che Mendes faccia chiudere al Napoli qualche buon affare in uscita, approfittando magari della stagione abbagliante di alcuni calciatori e dell’abbondanza di liquidità di molte squadre europee. E suppongo che quando parli di dinamicità del mercato tu ti riferisca esattamente a questo. In tal caso permettimi di rincarare la dose: con Mendes ci sarebbero i presupposti per diventare proprio una di quelle squadre fortissimamente improntate al trading. Si comincerebbe a vedere quella politica del vendere tanto e vendere bene che ha portato a risultati sorprendenti in giro per l’Europa: il Monaco che vince il campionato in Francia o il Liverpool in finale di Champions sono i primi due esempi che mi vengono in mente.
Le ultime due sessioni di mercato del Monaco, in una tabella (senza prezzi, che è meglio)
Si tratta di una strategia rischiosa ma su cui mi trovi tendenzialmente favorevole. Chiaro che è una mossa che ti mette in una condizione subalterna rispetto alle vere big europee, però è anche vero che il Napoli non può neanche ambire ad entrare in quel circolo esclusivo. Sono dell’idea che nel mondo del calcio bisogna scegliersi un ruolo e interpretarlo al meglio, qualsiasi esso sia, e il ruolo della società che vende bene potrebbe stare cucito addosso al Napoli meglio di quanto ci si aspetta. Il Napoli, del resto, non è neanche totalmente estraneo alla politica di vendere i suoi pezzi migliori. Si tratta solo di massimizzarne l’efficacia e farla diventare una soluzione sistemica, piuttosto che estemporanea.
Poi se mi chiedessi (e so che vorresti chiedermelo) se reputo la città pronta ad uno shift culturale così grosso devo risponderti che… non lo so. Per mettere in atto una politica del genere devi vendere bene ma poi anche comprare meglio. E credo che un buon mercato in entrata sia una di quelle cose che possa normalizzare gli umori di qualsiasi piazza. È vero: servirebbe un’ala destra più associativa e l’idea di Suso mi piace, invece Chiesa potrebbe essere una soluzione nel caso si decidesse di insistere con le catene asimmetriche.
Suso, ovvero avere un giocatore simile a Insigne, però sull’altra fascia
Ci servirebbe un centrocampista adatto a fare il gioco di posizione in un centrocampo a due nel caso Fonseca volesse riproporre questa soluzione. Conosci già il mio apprezzamento per Fred dello Shakhtar, che sarebbe anche un buon sostituto se Jorginho dovesse andare via. Mendes potrebbe addirittura mandare Renato Sanches nel tentativo di rimettere la sua carriera sul binario giusto, ma è chiaro che qui sto un po’ navigando nel mare della fantasia e delle preferenze personali.
Come vedi non mi aspetterei grandi rivoluzioni dal mercato in entrata: come hai detto anche tu la rosa è costruita ed allenata per assorbire il cambiamento e si tratta solo di acquistare intelligentemente per fornire un po’ di varietà o per sostituire qualche partente. Insomma: l’arrivo di Fonseca sarebbe rassicurante per Napoli dal punto di vista tecnico e tattico ma sancirebbe probabilmente l’inizio di una nuova politica societaria che richiederebbe anche una maturazione culturale della città.
La comunicazione
C: A questo punto, visto che abbiamo ormai sviscerato gran parte della faccenda, permettimi di approcciare anche un aspetto che spesso ci dimentichiamo quando parliamo di un allenatore: quello della comunicazione.
Diciamocelo: Sarri come comunicatore in questi anni non è stato impeccabile. È illuminante sentirlo parlare di calcio però non è esattamente un allenatore che riesce a connettersi emotivamente, ad esempio, con i millennials. Tende a prendersi sempre molto sul serio, non è appealing, ha un’autoironia stramba e spesso si fa incastrare in polemiche francamente assurde. Fonseca sotto quest’aspetto mi sembra un allenatore molto più moderno (anche è dalla sua parte). E non posso nasconderti che questo è un altro degli aspetti che apprezzo di lui. Al giorno d’oggi senza i meme non si vincono neanche le elezioni. Figurarsi gli scudetti.
Ad esempio: quanto è stata importante quest’anno per il Napoli la retorica del palazzo, dell’outsider, il trope di essere i Davide contro i Golia? Lo sai che ho un rapporto complesso con le narrazioni mistiche e mistificanti, però come faccio a non ammettere che servono anche quelle? Fonseca è un allenatore che sa essere autorionico e moderno (è uno che reagisce così ad una qualificazione agli ottavi di Champions). Caratteristiche che sarebbero utilissime per creare una nuova mitologia che servirebbe a soppiantare quella sarrista.
don Diego de la Vega y Fonseca
La conosci quella storia sul fatto che la Juventus abbia vinto gran parte dei suoi scudetti negli studi di Controcampo? La trovo verissima: se vuoi vincere devi essere il migliore a giocare al calcio ma devi anche essere il più affascinante nei luoghi in cui si parla di calcio. E Fonseca mi sembra quel tipo di allenatore che sa ingentilirsi gli studi di Controcampo del 2020, i salotti social. E che sa comunicare alla nuova generazione digitale.
Alla luce di tutto quello che ci siamo detti mi sembra che siamo entrambi abbastanza allineati su Paulo Fonseca: una scelta molto conservativa dal punto di vista tecnico, sostanzialmente in linea con gli anni di Sarri, al netto di sottili differenze nelle interpretazioni personali tra i due. E, contemporaneamente, una scelta molto coraggiosa dal punto di vista politico e di mercato.
A me sembra che un eventuale fallimento dell’avventura di Fonseca sulla panchina del Napoli possa essere più una conseguenza di contingenze esterne piuttosto che delle sue caratteristiche come allenatore: l’umore della piazza, questioni politiche ed economiche. Arrivati qui voglio chiederti allora di immaginare la prossima stagione con Fonseca in panchina. Lo scenario migliore che si può configurare ma anche quello peggiore, con tutte le sfumature che stanno in mezzo. Non come pronostico, magari per sondare le tue aspettative, le tue sensazioni.
Bocca di Rosa
A: Figurati se mi metto a fare pronostici, se devo buttare soldi e credibilità e dignità allora mi faccio qualche tavolo di poker Texas Hold’em online. Rileggendoti sopra, capisco la tua domanda – mi riferisco alla frase «scelta molto conservativa dal punto di vista tecnico» – e sono d’accordo con te. Tutto dipenderebbe da una serie di parametri non di campo, quindi baserò le mie suggestioni su variabili esterne – che però poi influenzano il rendimento. Il Best Case Scenario è che Mendes decide di impegnarsi seriamente, canalizza le sue attenzioni sul mercato del Napoli e consegna a Fonseca il meglio della GestiFute che deve cambiare squadra per forza.
Penso a João Cancelo (lo sogno tutte le notti al posto di Hysaj, con l’albanese in panchina e Maggio team manager), a Grimaldo, a Gonçalo Guedes in prestito dal Psg, ad André Gomes che a Barcellona non lo vogliono vedere mai più, a Renato Sanches – però quello del Benfica. Nel frattempo il Napoli ha ceduto Ghoulam, Jorginho e Mertens; Fonseca ha gestito la rivoluzione di piazza presentandosi in conferenza con la felpa di LIBERATO, incappucciato e col fazzoletto sul volto; e la squadra ha folgorato tutti con un gioco – ovviamente di posizione – ancora più spettacolare e redditizio.
Paulo Fonseca si rilassa al mare dopo aver sedato (a distanza) gli scontri in Piazza Matteotti
Il Worst Case Scenario non è molto differente: Mendes impone Fonseca, gli acquisti e le cessioni. Solo che i nuovi arrivati bucano l’acqua ai livelli di Michu, il pubblico contesta, il tecnico perde la fiducia della squadra e De Laurentiis è costretto ad intervenire, assumendo un allenatore resultadista, o pragmatico – come piace dire a noi italiani. A quel punto, la rosa del Napoli diventa malinconicamente inutile, la stagione si chiude nell’anonimato. E a quel paese ci finisce pure Mendes, ovviamente. La pagina Facebook “De André racconta la Serie A”, parlando di questo addio, utilizzerebbe il verso
Addio Bocca di Rosa
con te se ne parte la primavera
Sarebbe perfetto in tutti i sensi, del resto Bocca di Rosa vendeva l’amore, proprio come Mendes. Sarebbe ancora più calzante se riuscissimo a entrare nell’ottica che “primavera” non vuol dire solo vittoria dello scudetto. Ma questo è un altro discorso. O no?
C: Assolutamente d’accordo. Accettare che esistano tante cose diverse da vincere e che ognuna di queste può essere vinta in mille modi diversi sarebbe davvero una rivoluzione culturale non solo dal punto di vista calcistico.
Sai cosa? Sotto quest’aspetto Napoli è una città un po’ stramba: gli unici profeti buoni sono quelli autoctoni, in controtendenza con il resto del mondo. Fonseca è uno lontano milioni di chilometri da Napoli, dalle sue regole. Per questo, la sua ingenuità di nuovo arrivato potrebbe aprire a strade impensabili. Si potrebbe provare l’assalto all’Europa League (una competizione che il Napoli ha sempre approcciato male, giusto per andarci piano); o provare un certo tipo di percorso in Champions (certo, per quello serve anche la benevolenza degli dei). Ma il punto è che se mi parli di primavera io non riesco ad immaginare nient’altro che questa cosa qua: divertirsi sotto al sole giocando al gioco che ti piace nel modo in cui ti piace giocarlo.
Che non vuol dire non vincere ma vuol dire vincere alle tue condizioni. E ovviamente, come dici tu, si tratta di un altro discorso. Lo conserverò per il futuro.