Non dimentico tre anni meravigliosi di gioco irripetibile. Però sappiamo bene chi è Ancelotti, un maestro del controllo che non ha paura di definirsi un provinciale
Lettera agli amici sarriani
Cari amici sarriani, da sarriano della prima ora, sarriano “prima di voi”, come direbbe Enrico Ruggieri, visto che lo siete diventati, alcuni di voi, dopo, solo dopo, per antagonismo ad Adl: facciamo a capirci. Pure io, prima ancora che sarriano, zemaniano e sacchiano oltranzista, avrei voluto vincere terzomondisticamente con il Comandante. E anche io, a differenza di alcuni amici più vicini al verbo di Voltaire che a quello di Thomas Sankara, Gianni Minà e Maradona, gioisco di fronte allo spettacolo di chi non dimentica tre anni meravigliosi di gioco irripetibile e invidiato da tutti, di speranze, di pratiche ludico-sessuali riabilitate anche dalla Chiesa di Roma, di poesia, di compattezza della squadra e di simbiosi di essa con la città e col suo popolo (parola che desta orrore nei seguaci nostrani del Lume, di Monti e Allegri).
E piango a pensare a Napoli come a una enclave, indifferente al mondo e al battage dei media, che si trincera dietro il lutto per Sarri, come già fu per la stagione di Vinicio la cui memoria non è stata cancellata nemmeno dagli scudetti: Napoli è così, si rassegnino quelli che la vogliono “normale”, come le altre.
È un padreterno, secondo solo a De Laurentiis
Però, non facciamo i fessi. Se conosciamo il calcio, la sua storia, sappiamo bene anche chi è Carlo Ancelotti. Non è l’ultimo degli arrivati, è uno che ha girato il mondo ma venendo dalla provincia, ha gestito personalità diverse, sempre appojando. È un padreterno, secondo solo ad Aurelio. Non è solo questione di palmares e di titoli di studio, di lauree, di “poeti laureati” per dirla col Montale – non siamo certo D’Alema che prima di governare va alla City per accreditarsi, quello, sì, era provincialismo.
Ancelotti non è Allegri
È che il signor Ancelotti è Liedholm+Sacchi+Gurdjieff, un leader della mente, la cervella, una maestro del controllo sulla stessa, quello che ci hanno sempre rimproverato di non avere mentre tentavamo di fare la rivoluzione a colpi di calcio totale (nonostante gli sforzi del Comandante) e quei titoli corrispondono a fatti, concretezza e lavoro sull’uomo. Con l’effetto della produzione di un calcio diverso ma non meno bello di quello che abbiamo visto: Ancelotti, per capirci, non è Allegri. E poi è, vedrete, uno ruspante, gli piace la buona tavola, ha il mito del ciclista Gimondi, ha portato con sé nel mondo la meglio provincia italiana, dichiarandosi tranquillamente “un provinciale”, vivendo le vittorie come le sconfitte con la serenità di chi sa che alla fine vincere o perdere sono illusione, conta solo lottare, per lui con pazienza, pacatezza, un distacco quasi zen.
Non lo si faccia diventare – questo lo dico ai neo ancelottiani napoletani – un idolo odioso di giacobinismo antinapoletano, non lo scaraventiamo nelle nostre diatribe inutili, solo divisive. Leggiamo piuttosto cosa ne ha detto uno come Jorge Valdano, evidenziandone il particolare relativismo, l’unico condivisibile.
Dai, siamo napoletani, siamo lesti a tirar fuori il portafogli da qualsiasi tasca, abbastanza svelti dunque da capire che snobbare Ancelotti, non capire il colpo di genio di Aurelione nostro, è da mentecatti. Siete mentecatti voi?
Saluti a pugno chiuso.
Chi non salta juventino è… E ricordate, appojare non è importante, è l’unica cosa che conta. Appojamo più forte e di più. Sempre di più…