I tifosi italiani e la striscia di scudetti firmata dalla Juventus: c’è insofferenza per la scarsa trasparenza arbitrale, il cambio di opinione sul Var e un un sistema-mercato che favorisce il club bianconero.
Remember Calciopoli
La Juventus si appresta a vincere il settimo titolo consecutivo. Un filotto che, come ricordava ieri Gianfranco Teotino sul Mattino, nel mondo del calcio si è registrato solo in questi Paesi: Vanuatu, Gibilterra, Lettonia, Giordania, Norvegia, Libano, Bielorussia, Croazia, Tonga, Tuvalu, Georgia, Germania Est, Ungheria, Armenia, Moldavia, Taiwan, Ucraina e Svizzera. Cui va aggiunta la Francia, successe al Lione.
Si tratta di un’evidente anomalia. Che, ferma restando la superiorità derivante dallo strapotere economico e dalle capacità manageriale della dirigenza bianconera, dovrebbe indurre a qualche riflessione. Anche alla luce delle tantissime polemiche che hanno accompagnato l’esordio del Var nell’attuale campionato. Un’innovazione che, come si ricorderà, all’inizio è stata aspramente contestata dalla dirigenza bianconera che, poi, ha progressivamente cambiato idea, fino ad invocarne l’introduzione anche a livello europeo.
Il mutato atteggiamento della dirigenza bianconera, e soprattutto le polemiche di questi ultimi mesi, per certi versi hanno riportato alla mente il clima che contrassegnò i campionati che precedettero lo scoppio di Calciopoli, l’inchiesta che svelò il coinvolgimento di una parte del sistema arbitrale nell’associazione a delinquere che condizionò pesantemente il sistema calcistico italiano.
Del resto, negli ultimi anni l’intreccio tra l’AIA e i Palazzi del potere calcistico è tornato a essere nuovamente “pericoloso”. Al punto che gli arbitri hanno addirittura ottenuto un componente con diritto di voto nel Consiglio federale.
Il problema della trasparenza
«Un’anomalia esclusivamente italiana che fortunatamente si dovrebbe esaurire presto, almeno secondo gli intendimenti dichiarati dall’attuale commissario della Federcalcio Fabbricini», ha spiegato ancora Teotino. Che poi ha aggiunto: “Contrariamente al resto del mondo, i peggiori scandali arbitrali in Italia non sono mai stati caratterizzati da passaggi di danaro (per corruzione diretta o scommesse su risultati alterati). Per restare al più grave, Calciopoli: si trattava di un ricatto esercitato nei confronti degli arbitri, attraverso un condizionamento dall’esterno delle loro carriere».
Ed è appunto questo il nocciolo della questione secondo Teotino: «Il problema era ed è la trasparenza. Si avverte oggi più che mai la necessità di introdurre meccanismi di selezione e designazione chiari e controllabili, rendendo pubbliche le valutazioni in base alle quali si determinano le carriere e trasparenti i criteri di merito. Merito che va premiato. Anche monetariamente, perché no. I giudizi sull’operato dei singoli vanno resi noti sulla base di criteri pubblici e predeterminati. Magari non dopo ogni partita, ma, ragionevolmente, ogni tre mesi. Subito invece vanno ufficializzate le sanzioni agli arbitri (che sbagliano – ndr). Rendendole efficaci».
La tecnologia e il mercato
Un altro punto dolente è inoltre rappresentato dall’utilizzo della tecnologia. Che, così come avviene negli altri sport, dovrebbe essere consentito solo su richiesta dei protagonisti. Lasciando, poi, unicamente all’arbitro di campo la responsabilità della decisione finale sulla scorta delle immagini visionate.
Infine, sempre alla luce di quanto emerse nelle inchieste su Calciopoli e sul ruolo di pesante condizionamento svolto dalla Gea, sarebbe opportuno limitare il numero dei calciatori controllati dai grandi club (la Juventus, ad esempio, ne ha 103) in modo da evitare un fenomeno che il presidente del Uefa, Aleksander Ceferin, ha definito addirittura aberrante e che – non bisogna dimenticarlo – ha generato molte ombre sulla regolarità di alcuni incontri di campionato o operazioni di disturbo sul mercato.
Il futuro del sistema calcistico italiano passa necessariamente attraverso queste innovazioni senza le quali pagheremo le conseguenze di una posizione predominante che “droga” il mercato dei giovani talenti, e rischiamo anche di essere risucchiati in un passato che ancora produce effetti nefasti, soprattutto dal punto di vista dell’esacerbazione degli animi.