Pochi spunti originali nel libro della docente Giuliana Benvenuti che non affonda e preferisce restare ancorata a una serie di lunghe citazioni
Argomento divisivo
Molto probabilmente solo Aurelio De Laurentiis è in grado di essere più divisivo, di irritare il sensibile ventre napoletano ed attivare imperituri riflessi pavloviani – Napoli non si tocca – ma ma mentre sul presidente del Napoli studi strutturati non sono ancora pervenuti, intorno all’ecosistema Gomorra qualcosa inizia a muoversi. Come ad esempio “Il brand Gomorra. Dal romanzo alla serie Tv” [Il Mulino, 19 euro] di Giuliana Benvenuti, docente di Letteratura italiana contemporanea e Letteratura e media presso l’Università di Bologna, in cui però nonostante il titolo e la copertina siano particolarmente accattivanti il rischio di restare delusi è elevato, il testo infatti si presenta come un collage di lunghe citazioni e pochi spunti originali.
È fuor di dubbio che Gomorra rappresenti un case study, l’incredibile successo di pubblico ha avviato una catena produttiva e narrativa – il libro, il film, la serie – ancora più potente di Romanzo Criminale, grazie anche, ed è qui che gli animi si accendono, alla figura di Roberto Saviano: volto, emblema e brand del prodotto Gomorra.
Concezione luterana del denaro
Preliminarmente, però, bisogna sgombrare il campo dall’idea che il successo, il marketing, il guadagno ed il branding siano qualcosa d’intrinsecamente sbagliato, certo a volte si ha la sensazione che Napoli sia una città profondamente luterana in cui il denaro è sterco del demonio.
Fatta questa dovuta premessa è bene collocare Gomorra in quel «delicato punto d’intersezione tra prova documentaria, finzione ed autofinzione romanzesche», in cui «la finzione intrecciata alla realtà è costitutiva della stessa voce narrante». L’egolatria di forma diventa sostanza in una scrittura che è racconto di verità, laddove l’autore in prima linea genera un’indistinzione totale tra cronaca e romanzo. È intorno alla “sua” testimonianza che Saviano mira a «creare un patto di verità con il lettore, un effetto di realtà che vuole contrapporsi all’irrealtà con il quale percepiamo la cronaca nella società dello spettacolo». I piani dunque sembrano mischiarsi e confondersi conditi da «un impatto emotivo determinato dalla potenza di una parola che costringe il lettore a vivere un’esperienza».
Il galleggiamento tra verità e immaginazione, tra racconto e realtà, tra letteratura civile e reportage giornalistici sono aspetti che per quanto significativi, assumono un’importanza secondaria rispetto ai mille rivoli in cui si disperde il dibattito su Gomorra e Saviano.
Il rischio emulazione
È il rischio emulazione a nutrire instancabilmente la polemica, successe lo stesso con Scarface, a cui Gomorra in alcuni aspetti s’ispira. Per smorzare l’effetto moltiplicatore, scrive l’autrice parafrasando in parte Saviano, occorre «mostrare questa epica del male senza contribuire a tramandarla, creando un eroe – Saviano stesso – che guida il proprio lettore dentro il medesimo mondo di Scarface, ma con un altro sguardo. L’operazione da compiere sarà riscrivere quel mito depotenziandolo, privandolo del fascino che gli è proprio e, nel contempo, attribuire valore e fascino a chi si oppone al nichilismo dell’eroe del male».
Quella che è a tutti gli effetti un’operazione di deepicizzazione, utilizzando l’immaginario per intervenire sulla realtà, si fonda sull’idea che «raccontare le dinamiche criminali in tutte le loro manifestazione è l’unico modo per creare deterrenza». Risulta evidente come questo protagonismo sia altamente divisivo, se da un lato infatti «l’offerta di un modello di comportamento, declinato secondo la pratica dello scandalo e della denuncia, si pone come inevitabile per l’intellettuale che sfidi il potere», dall’altro al di là dei dubbi sulla bontà di tali precetti pedagogici e d’impegno civile, Saviano viene ripetutamente accusato di martirizzare o «mitizzare la propria autobiografia, ergendosi a giudice assoluto». Se nel romanzo Gomorra a garanzia e protezione dell’impaurito lettore c’era la rassicurante figura del narratore Saviano, nella serie televisiva tutto questo manca, c’è una mostruosa epica del male che cancella il bene.
L’analisi della Benvenuti consente alcune riflessioni, ad esempio proprio sul male, sull’epica e sull’emulazione in questi anni ho assistito a discussioni e dibattiti surreali: nel voler ricondurre in maniera sineddotica la cronaca di alcuni fatti sanguinosi all’intera città di Napoli, si cade in quel sistema di generalizzazioni e di deviati principi d’identità aristotelici per cui se in Gomorra vengono rappresentati alcuni fatti delittuosi, necessariamente a-Napoli-tutti-sparano.
La sindrome di Fort Alamo
Lanciare l’allarme sul “rischio emulazione” dopo aver visto Gomorra o denunciare sdegnati, signora mia, l’assenza del bene è roba da stato etico (per tacere della possibilità concreta di considerare Pietro Savastano o Ciro Di Marzio “modelli” o “esempi” di vita). E che spesso queste accuse si levino da esponenti, o quel che ne resta, del progressismo fa riflettere. Come scrive Muzzioli «il lieto fine ci illude che giustizia sia fatta e l’ordine ristabilito, mentre lo è solo nell’immaginazione».
Sarebbe ora di finirla con la sindrome di Fort Alamo o del complotto. È difficile da credere, ma quando si accusa Gomorra di “gettare fango su Napoli”, si fa la figura degli stolti che quando il saggio indica la luna si sta a guardare il dito. Giusto per fare un esempio, l’omicidio di Gelsomina Verde – in Gomorra è Manu, la fidanzata di Danielino – non spunta dalla penna o dalla testa di Saviano, ma è terribile cronaca. Infine che ci sia un problema o una volontà nel rinchiudere Napoli all’interno dei soliti luoghi comuni o consueti discorsi è questione arcinota, ma precede di anni Gomorra.
L’eroe di carta
Se trovo risibili e poco solide queste critiche, più consistenti sono gli appunti mossi a all’eroe di carta, anche se ormai distinguere il prodotto Gomorra dallo scrittore ed autore Saviano è praticamente impossibile, come risulta da questa disamina.
Per quanto importanti, trovo velleitari e forse pretenziosi, i tentativi o l’idea di Saviano scrittore contro il male, il suo ecumenismo o il suo «moralismo» che «aggrega e costruisce una comunità». La sua forza iconica è innegabile, così come è lampante la «costruzione mediale dell’eroe Saviano», il quale – senza che gliene sia fatta una colpa – si muove agevolmente in tale contesto mediatico, utilizzando per certi versi gli stessi codici: si pensi alle copertine di Rolling Stones o Vanity Fair «la postura di sfida si addice a colui che contrasta la camorra, utilizzando lo stesso linguaggio iconico del nemico, e tale situazione comunicativa risulta la più frequentata dai ritratti dell’autore».
Come ritiene Dal Lago probabilmente Saviano è stato «rinchiuso nella gabbia della sua fama», diventando piuttosto allergico alle critiche e sviluppando nei suoi scritti una forma di narcisismo narrativo, questo ha comportato un impoverimento dei suoi testi, basta sfogliare Bacio Feroce e La paranza dei bambini.
Le numerose polemiche giornalistiche
Ma cosa ha consentito a Gomorra di diventare un vero e proprio brand globale? Come abbiamo visto l’esposizione mediatica di Saviano, unita a «numerose polemiche giornalistiche» ed incoraggiata da un’ «intelligente politica di apparizioni televisive» hanno svolto un ruolo fondamentale, da non trascurare la forza testimoniale di chi è costretto – ormai dai oltre dieci anni – a vivere sotto scorta per le sue denunce. La potenza evocativa e la spinta emotiva veicolate attraverso il personaggio Saviano hanno permesso una riuscita campagna promozionale in grado di intrecciare marketing emotivo e l’atavica fascinazione per il male.
Questi elementi non indeboliscono la forza delle pagine di Gomorra, ma è di tutta evidenza che la stagione di letteratura civile, tra nuovo realismo e nuova epica italiana, sia stata in parte fagocitata dall’industria dell’intrattenimento e dallo star system. Un semplice dato di realtà che rafforza l’idea di Gomorra come ormai transmedia storytelling in grado di attraversare e riadattarsi a contesti diversi, dalla letteratura al cinema, dal teatro alla televisione fino al graphic novel.
In conclusione possiamo ritenere Gomorra, in tutte le sue sfaccettature, un prodotto straordinario ed eccezionale che vive un rapporto simbiotico ed inscindibile con il suo creatore che per un verso, come conclude la Benvenuti, ha consentito la riscrittura dei canoni letterari, scenici e cinematografici permettendo di far conoscere al grande pubblico storie troppo spesso sconosciute, dall’altro la popolarità di Saviano vizia ed offusca un giudizio obiettivo dell’operato suo e degli autori scadendo, sovente, in un moralismo d’accatto.