A Pellizzano un ristorante intimo, curato nei minimi particolari dai coniugi Zanella. Attenzione (non prezzi) da nouvelle cuisine, garbo, educazione. E tanti racconti da far notte

“Ce l’hai con me?”
Proprio in questi giorni, trent’anni fa, un giovane portiere stava mostrando le sue doti nel Barletta Calcio che si apprestava a disputare il campionato di Serie B. Michele Zanella, all’epoca 22 anni, era stato adocchiato in un paio di amichevoli estive in Trentino. Il Barletta decise di metterlo alla prova. Lui superò la prima settimana, e arrivò al test di una partitella contro la squadra titolare. Con la maglia a strisce bianche e rosse giocava un certo Evaristo Beccalossi ormai in consolidata fase calante, ma pur sempre il Beck. Ne saltò uno, due, tre e tirò una pietrata sotto la traversa. Zanella, per dirla alla De Gregori, la lasciò passare. Per paura in realtà. Paura di farsi male. Si beccò il rimprovero dell’allenatore dei portieri che lo stava seguendo, che però gli diede anche un suggerimento: «Più forti sono, meno fanno male».
Michele non se lo lasciò dire due volte. Gli parò di tutto, all’Evaristo. Alla fine della partitella, Beccalossi gli andò vicino e disse: “Ce l’hai con me? Ti ho fatto qualcosa”. «Niente, rispose Michele, ormai non più intimidito. Tutt’al più posso dirti che sono milanista, è il massimo dello sgarbo». Beccalossi però non ci passò sopra, e lo sfidò ai rigori. Lui che è passato alla storia del calcio – e dello spettacolo grazie all’attore Paolo Rossi – per i due penalty sbagliati contro lo Slovan Bratislava. Cinque tiri. Michele gliene parò tre.

Michele Zanella e la moglie Prisca
Il ritorno a casa per stare vicino a sua madre
Il calcio per lui, però, finì pochi giorni dopo. Suo padre venne improvvisamente a mancare e la mamma nella valle non sarebbe sopravvissuta all’assenza di suo figlio. Lasciò il Barletta e tornò a lavorare a casa. Dove già da tempo si dava da fare tra impieghi stagionali in Riviera Romagnola e servizi di sala in qualche ristorante trentino. Senza trascurare la passione per lo sci che lo portò a prendere il patentino di maestro.
L’addio al calcio gli è rimasto dentro, anche se ne parla col sorriso sincero sulle labbra, ma è stata la fortuna dei clienti del suo ristorante: “Alla vecchia macina”, a Pellizzano, pochi chilometri da Dimaro e dal bivio per Marilleva. Venendo da Mezzana, per capirci, si imbocca la salita per Termenago. Il ristorante è dopo circa trecento metri. Un luogo che richiama le fiabe eppure non isolato. Varcata la porta d’ingresso, si respira subito un’altra atmosfera. Di quiete e di passione. E di ottimo cibo. Tutto è curato grazie all’attenzione e al garbo di Michele e sua moglie Prisca che negli anni lo ha prima affiancato per poi diventare una colonna del locale.
Cura da nouvelle cuisine, ma prezzi non da nouvelle cuisine
Ristorante intimo, con pochi tavoli, dove i piatti sono preparati con attenzione anche all’estetica ma con prezzi che non sono affatto da nouvelle cuisine. E nemmeno le porzioni, a dire il vero. Ci sono alcune prelibatezze che non si possono saltare, come ad esempio il castelletto di polenta di Storo con il lardo caldo che lentamente ne scioglie le fondamenta. Un momento poetico. La tartare di cervo, servita ovviamente con tuorlo d’uovo a parte e nel piatto senape e gocce di salsa piccante. Beccalossi apprezzerebbe e non poco. Menù ispirato alla tradizione locale, rivisitata ma non stravolta. Come testimonia la delicatezza di un piatto come le morbidelle di ricotta e spinacino selvatico su crema di Casolet e zafferano selvatico. Potremmo proseguire a lungo e un capitolo a parte meritano i dolci che non sono fissi e andrebbero assaggiati in una sessione pre-serale: noi ci siamo deliziati con un semifreddo all’amaretto e il cuore di cioccolato.
La carta dei vini è ovviamente improntata al Trentino, com’è giusto che sia, con bottiglie importanti. Chi ama la grappa, non resta certo deluso.
La discrezione di Michele e Prisca
Michele e Prisca osservano con discrezione, se il cliente ha voglia di chiacchierare non fanno mai mancare la loro presenza. E a chi piace conversare, come a noi, le parole di fine serata riservano la sorpresa di scoprire un uomo che vive di passioni: dal calcio allo sci, alla cucina e al mare. Sì il mare, perché Michele ha anche il brevetto di assistente sub. Ed è un uomo di sport. Ricorda la forza sovrumana di Alberto Tomba, racconta di quel giorno che era giudice di porta a Madonna di Campiglio, giusto sul cambio di pendenza ossia quando la pista diventa un muro. “Lui era praticamente caduto, si rialzò come se nulla fosse. Aveva il marmo al posto delle gambe. Lo ricordo quando si allenava sui ghiacciai, piste precluse a tutti. Lui scendeva in picchiata”.

foto tratta dal sito girovagandointrentino.it
Michele ricorda i tecnici che storcevano il naso sullo stile dell’Alberto. «Dicevano che scendeva storto, un giorno chiamarono un maestro. Lo guardò scendere, poi chiese che tempo facesse. Quando gli risposerò che dava due secondi a tutti, disse: “allora sono gli altri che scendono storti”». Fine della storia. Michele potrebbe conversare a lungo, ricorda Deborah Compagnoni. Da lui, da Michele, ogni tanto passano a mangiare grandi dello sci del passato come Much Mair o Kristian Ghedina. Rientra nel club degli chef in green, che coniugano la cucina e il golf. E soprattutto in quello degli uomini di passione baciati dal tocco in cucina.