Rassegna Stampa / La convenzione voluta da Di Pietro conferiva poteri di vigilanza allo Stato, gli ispettori sarebbero stati pagati da Benetton
Illuminante, oggi, in merito alle indagini sul crollo del Ponte Morandi del 14 agosto scorso, la lettura de Il Fatto Quotidiano.
Nel 2011 Autostrade conosceva già il precario stato di salute del Ponte Morandi
In un articolo a doppia firma, infatti, Francesco Ridolfi e Ferruccio Sansa raccontano di uno studio presentato nel 2011 da Autostrade per l’Italia nella procedura di Valutazione di impatto ambientale (Via) per la costruzione della “Gronda” autostradale ligure.
Nel documento, scrivono i cronisti de Il Fatto, si indicava, già sette anni fa, che “il traffico provoca un intenso degrado della struttura del Viadotto Morandi, in quanto sottoposta a ingenti sollecitazioni. Il Viadotto è quindi da anni oggetto di una manutenzione continua. La sua eventuale dismissione per inagibilità o per situazioni temporanee di blocco dovuta a incidenti stradali, costituiscono dunque un grave rischio per il traffico automobilistico regionale”.
Tali parole dimostrerebbero che già nel 2011 Autostrade fosse a conoscenza dello stato di salute precario del ponte crollato alla vigilia di Ferragosto.
A pagina 31 dello studio, continua Il Fatto, si legge che “negli ultimi trent’anni il traffico sul Morandi è quadruplicato” e che, nei successivi trent’anni, si prevedeva “un ulteriore aumento del 30%”.
Nel 2017 Autostrade, in un video, torna sulla necessità di manutenzione
Il video promozionale di Autostrade per la Gronda, pubblicato nell’ottobre 2017 sul canale Youtube della società (https://www.youtube.com/
La Convenzione voluta da Di Pietro nel 2007 conferiva poteri di vigilanza allo Stato
Ancora più allarmante – anzi: sconcertante – sempre su Il Fatto, l’articolo di Daniele Martini, secondo cui “lo Stato avrebbe potuto e dovuto vigilare in maniera puntuale sui lavori in corso sul ponte Morandi” per legge. Lo Stato avrebbe potuto inviare i suoi ispettori a rendersi conto di come stavano procedendo le cose e avrebbe potuto chiedere un’indagine sulle condizioni del viadotto, il tutto – e questa è la parte più interessante – senza l’esborso di un euro poiché, per legge, i costi delle ispezioni e dei controlli sarebbero stati a carico del concessionario, cioè di Autostrade.
Il costo di un’eventuale vigilanza sul viadotto sarebbe gravato su Autostrade
Tutto questo sarebbe previsto dall’articolo 28 della Convenzione unica voluta nel 2007 dall’allora ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro e sottoscritto, da un lato, da Anas, che all’epoca aveva ancora il potere di vigilanza sulle autostrade e, dall’altro, da Giovanni Castellucci, amministratore di Autostrade per l’Italia. Quella Convenzione, un anno dopo, diventò legge dello Stato.
L’articolo 28 della Convenzione, al comma 3, stabilisce che il Concedente (lo Stato, appunto) avrebbe potuto chiedere tutti i chiarimenti necessari, visitare ed assistere ai lavori, eseguire prove, esperimenti, misurazioni, saggi e tutto il necessario per accertare il buon andamento dei lavori e, soprattutto, che “il Concessionario deve fornire tutti i mezzi occorrenti provvedendo alle spese all’uopo necessarie”.
Chiarissimo, scrive Daniele Martini, il comma 1 dello stesso articolo 28: “Il Concedente vigila affinché i lavori di adeguamento delle autostrade siano eseguiti a perfetta regola d’arte a norma dei progetti approvati, senza che per il fatto di tale vigilanza resti diminuita la responsabilità del Concessionario in ordine all’esecuzione dei lavori. Il Concedente vigila anche sui lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria e sui ripristini”.
Chi avrebbe dovuto vigilare sul Concessionario?
Chi avrebbe dovuto esercitare questa vigilanza sul Concessionario? Daniele Martini individua due dirigenti statali: Mauro Coletta, prima come alto dirigente dell’Anas e poi come interno al Ministero, e Vincenzo Cinelli che ha sostituito Coletta un anno fa e che fino ad allora si era occupato di vigilanza sul sistema delle dighe.
Il Ministero, scrive Martini, ha a disposizione in organico circa ottanta persone per effettuare le ispezioni e controlli. “Per anni – scrive il giornalista – è stata ripetuta la solfa che non c’erano soldi per pagare ispezioni e trasferte. Nessuno ha mai detto che a pagare non doveva essere lo Stato ma i Benetton. I quali, peraltro, hanno fatto ricorso anche per non pagare i costi delle ispezioni relative alla sicurezza stradale”.
I lavori di manutenzione la notte precedente il crollo del Ponte
La questione dei lavori di manutenzione in atto sul viadotto la notte precedente il crollo proprio sul pilone 9 (quello crollato), e definiti, da Autostrade, “lavori non strutturali” sono approfonditi, invece, oggi, da Repubblica. Quella notte erano all’opera i tecnici della ditta Weico di Verlturno, in provincia di Bolzano: “Abbiamo lavorato fino alle 5,40 del mattino – racconta il responsabile, Hubert Weissteiner – Eravamo cinque operai e un by-bridge, il traffico era aperto su una sola corsia. Avevamo disposizione di evitare quanto più possibile di avvicinarci alla sede dei tiranti, perché in quella zona era vietato fare opere di qualsiasi tipo”. Weissteiner non spiega il motivo del divieto ma afferma: “in mesi di lavoro non abbiamo mai avuto la sensazione di pericolo”.
I lavori, scrive Repubblica, erano stati appaltati da Autostrade e da Pavimental, azienda sempre del gruppo Atlantia, come quelli di posa dei nuovi new jersey eseguiti dalla Mga di Aulla (Ms). Paolo Luccini, amministratore della Mga, spiega al giornale che quella notte la sua squadra operava nella galleria Coronata e che sul Morandi, fino a inizio anno, aveva curato anche il rifacimento dei cordoli. “Le comunicazioni sono tracciabili – spiega a Repubblica uno dei tecnici – Ogni volta che gli operai al lavoro hanno riscontrato lesioni del calcestruzzo, segni di ruggine, ossidazione o infiltrazioni d’umidità, è stata data notizia ai committenti”.
Spetta ai periti nominati dai pm chiarire, adesso, se le segnalazioni di cui parlano i tecnici Mga siano state prese in carico da Autostrade in maniera corretta e se ad esse sono seguite tutte le verifiche necessarie.
La mappatura dei fulmini caduti a ridosso del Ponte
Nella rassegna stampa di ieri abbiamo raccontato dei documenti e dei video sequestrati dalla Guardia di Finanza per procedere alle indagini sul crollo https://www.ilnapolista.it/
Lo scrive il Corriere, aggiungendo che gli inquirenti non la ritengono “una concausa probabile, o la causa scatenante” ma che la procura “vuole appunto studiare il fenomeno per poterlo escludere e spuntare così una delle possibili frecce della difesa in un, per ora, ipotetico processo”.
L’analisi delle macerie
Intanto, ieri sera – scrive Cesare Giuzzi su Repubblica – è arrivato l’ok “alla rimozione completa e rapida delle macerie, segno che quello che doveva essere analizzato è ormai nelle mani della procura. Gli investigatori hanno sequestrato documentazione negli uffici di Autostrade. Un sequestro presso terzi, visto che non ci sono ancora indagati”.
Il conflitto di interesse all’interno della commissione di indagine del Mit
Anche di questo abbiamo scritto ieri, in base alle notizie pubblicate dai quotidiani. Oggi, sul Corriere, Matteo Pucciarelli scrive che Roberto Ferrazza, uno dei tre commissari interessati dal conflitto di interessi per attività pregresse con Autostrade avrebbe “fatto sapere ai propri superiori che è pronto a dimettersi, se necessario” e che da Roma “per ora si racconta di parziali modifiche alla squadra” che lascerebbero presupporre l’allontanamento dei tre commissari in questione nelle prossime ore.
L’iter per la revoca della concessione
Autostrade per l’Italia ha 15 giorni di tempo per rispondere con le sue controdeduzioni alla lettera ricevuta dal Ministero, dunque entro il 4 settembre. A ridosso di quel giorno, scrive il Corriere, verrà convocato un altro consiglio di amministrazione della società: “È al lavoro uno stuolo di consulenti legali. Nomi di prestigio come gli avvocati Franco Gianni e Sergio Erede”.
Non c’è traccia, sui giornali, di dettagli sul consiglio di amministrazione di Autostrade per l’Italia riunitosi ieri a Roma, per la prima volta dopo il 14 agosto. Oggi, intanto, come anticipato ieri nella nostra rassegna, avrebbe dovuto tenersi quello di Atlantia, holding quotata e controllata, al 30% dalla famiglia Benetton. Vedremo se domani i giornali forniranno ulteriori indicazioni sulla strategie del gruppo.