Le prove effettuate da Spea non erano attendibili e mancava il progetto definitivo. Fincantieri non ha l’attestazione Soa per costruire il ponte
Le foto delle ispezioni effettuate da Spea sul Ponte Morandi tra il 2011 e il 2013 pubblicate da L’Espresso nei giorni scorsi e dichiarate da Autostrade “superate” da interventi di manutenzione eseguiti dalla ditta Soteco tra il 2014 e il 2016 non erano poi così superate.
A scriverlo, con dovizia di particolari, è L’Espresso e a riportarlo, in quattro righe, oggi, sui quotidiani, è solo Il Secolo XIX.
“Le indagini diagnostiche, fondamentali per misurare il livello attuale di precompressione del cemento armato e il grado di intervento necessario, erano miseramente fallite nell’ottobre 2015 e non sono state ripetute”, scrive il settimanale.
Le indagini effettuate dalla Spea erano fallite
Tra il 12 e il 30 ottobre 2015 i tecnici della Spea salgono sul ponte Morandi per accertare le condizioni in cui versano gli stralli. È fondamentale saperlo per aumentare la resistenza ai carichi: se i tiranti interni si allentano o si spezzano per la corrosione – spiega L’Espresso – la trave di cemento armato si flette, diventa più fragile e cede.
I tecnici, però, non riescono ad appurare lo stato di salute dei cavi. Dopo notti e notti passate sotto la pioggia, aggrappati ai montacarichi per estrarre “carote” di calcestruzzo dal Ponte, gli ingegneri di Spea dichiarano – in 41 pagine di rapporto su carta intestata Spea-Autostrade firmate da Alessandro Costa, Leonardo Veronesi, Maurizio Ceneri ed approvate da Giampaolo Nebbia, direttore tecnico di Spea – che quattro prove su cinque sono fallite a causa del maltempo e dell’umidità e che l’unica riuscita ha dato risultati contrari all’attesa.
Le prove: non attendibili
L’Espresso racconta con dovizia di particolari quanto scritto a pagina 35 e 36 del rapporto presentato da Spea. Le prime tre prove vengono fatte sulla pila 10.
La prima riguarda il suo lato mare, lato Savona: “Non è riuscita, infatti si sono ottenuti risultati non interpretabili”. La seconda viene fatta sul lato monte, lato Genova: “I valori misurati non sono attendibili in quanto presentano delle variazioni decisamente eccessive, che non ne permettono nemmeno una fantasiosa interpretazione”.
La terza prova viene effettuata sempre sul lato monte, ma lato Savona: “È quella apparentemente meglio riuscita, anche se i valori misurati dai due estensimetri sono discordi (uno è positivo e uno è negativo) per poi essere concordi la mattina seguente”. Ma qui lo strallo sembra essere sottoposto, almeno superficialmente, a una tensione di trazione, infatti “dopo il carotaggio gli estensimetri hanno misurato un accorciamento della superficie”.
Le altre due prove vengono effettuate sulla pila 9, quella poi crollata. Una è svolta sul suo lato mare, lato Savona: nella notte, “i valori misurati dai due estensimetri sono discordi”, infatti “uno è positivo e uno è negativo”, mentre la mattina seguente sono “concordi, entrambi con segno negativo”.
La quinta ed ultima prova riguarda sempre il lato mare ma lungo lo strallo rivolto a Genova: “I valori misurati non sono attendibili”. Proprio i due stralli della pila 9 lato mare sono forse i primi a rompersi, la notte del crollo.
Autostrade comunica al Mit che mancano informazioni essenziali
La mancanza di informazioni essenziali per stabilire l’esatta condizione del viadotto emerge dalla relazione generale presentata da Autostrade al ministero, firmata da Emanuele De Angelis e Massimiliano Giacobbi di Spea, scrive sempre L’Espresso.
A pagina 28 si spiega chiaramente che “dovrà essere realizzato un rilievo delle armature di precompressione prima di effettuare le lavorazioni interferenti con le stesse”. Gli ingegneri consigliano, “prima di posizionare i blocchi di ancoraggio” di “valutare lo stato di conservazione dei calcestruzzi”.
De Angelis e Giacobbi avvertono che non esistono i dati per determinare il vero stato di salute di parti essenziali del ponte come le antenne di cemento armato cui dovranno essere ancorati i nuovi tiranti.
Il Ministero approva un progetto incompleto
Il Ministero ha dunque approvato il progetto di retrofitting alla cieca, poiché privo di dettagli fondamentali sulle reali condizioni di conservazione del calcestruzzo degli stralli a cui era appeso il viadotto.
Eppure la legge prescrive ben altro, chiarisce L’Espresso. Il Decreto del presidente della Repubblica numero 207 del 2010, all’articolo 33, prevede che il progetto esecutivo debba definire “compiutamente e in ogni particolare architettonico, strutturale e impiantistico l’intervento da realizzare” e, all’articolo 29, a proposito del progetto definitivo, che “i calcoli delle strutture e degli impianti devono consentire di determinare tutti gli elementi dimensionali, dimostrandone la piena compatibilità con l’aspetto architettonico e impiantistico… a un livello di definizione tale che nella successiva progettazione esecutiva non si abbiano significative differenze tecniche e di costo”.
Nessuno, all’interno del Ministero, ha chiesto approfondimenti sullo stato di conservazione del calcestruzzo: nel verbale del comitato tecnico amministrativo del Provveditorato che approva il progetto non ce n’è traccia. Eppure il progetto viene approvato.
Manca il progetto definitivo
Non solo: si scopre anche che il progetto definitivo non è mai stato consegnato al Ministero. I livelli di progettazione stabiliti dalla legge, scrive L’Espresso, sono tre: fattibilità, definitivo ed esecutivo. Autostrade, però, passa direttamente al progetto esecutivo. Perché tanta fretta?
Nella raccomandata che accompagna la trasmissione del progetto dalla Direzione generale per la vigilanza delle concessionarie autostradali, guidata da Vincenzo Cinelli, al Provveditorato, guidato da Roberto Ferrazza, per averne l’approvazione, Cinelli scrive che la redazione del progetto definitivo “non è stata eseguita in ordine all’articolo 23, comma 4, del decreto legislativo numero 50/2016”.
Cinelli si riferisce al codice degli appalti che, a quel comma, stabilisce che “è consentita l’omissione di uno o di entrambi i primi due livelli di progettazione, purché il livello successivo contenga tutti gli elementi previsti per il livello omesso, salvaguardando la qualità della progettazione”.
Eppure, quegli elementi non ci sono: sono carenti.
Tra i relatori del Provveditorato nessun dirigente per non perdere le consulenze di Autostrade
A questo punto, avendo già saltato le fasi di fattibilità e definitiva anche se si trattava di un ponte molto delicato, Ferrazza deve nominare i relatori che dovranno discutere il progetto esecutivo di fronte al comitato tecnico del Provveditorato. E che fa? Sceglie due semplici funzionari, “che i ponti li conoscono più come automobilisti”, scrive L’Espresso: Giuseppe Sisca, ingegnere della motorizzazione che insegna nelle scuole guida e Salvatore Buonaccorso, che si occupa di certificazione di imprese.
A questi si aggiunge Mario Servetto, ingegnere ed ex assessore della provincia a Recco. Nell’atto di nomina non compare Antonio Brencich, professore associato al Dipartimento di ingegneria di Genova: viene nominato dopo, da chi? Convocato in procura, Brencich ha scelto di non rispondere alle domande.
Nessun dirigente, dunque tra i relatori. “In città qualcuno sostiene – scrive L’Espresso – che i vertici ministeriali volessero tenersi liberi da incompatibilità per ottenere consulenze da Autostrade nei futuri collaudi del viadotto”.
Il Provveditorato approva il progetto tranne le uniche prove complete di Spea
Il Provveditorato licenzia il progetto approvandolo con delle riserve. Paradossalmente, boccia le prove di pull-out (di estrazione) eseguite da Spea per stimare la resistenza a compressione del calcestruzzo: le uniche fornite complete.
Scrive il Provveditorato: “Nella letteratura scientifica è documentato che determinati tasselli per pull-out potrebbero portare a sovrastime anche del 100 per cento della resistenza del calcestruzzo”. Basta. I tasselli. Degli stralli non si preoccupa nessuno.
Nessuno che noti le carenze del progetto esecutivo e delle indagini che lo compongono. I progettisti spiegano che bisogna rinforzare la campata E11 tra la pila 9 e la 10, proprio la campata crollata.
Non si descrivono da nessuna parte i lavori straordinari citati da Autostrade, fatti su quelle stesse travi tra il 2014 e il 2016 e affidati alla Soteco di Aulla, in Toscana, “una Srl di due geometri e 25 dipendenti” scrive L’Espresso, “che come principale attività non promuovono il potenziamento di viadotti ma l’installazione di barriere antitumore e rivestimenti di gallerie”.
Nessuno aggiunge altro. Il progetto viene approvato. Il ponte crolla.
Fincantieri non è certificata per la costruzione di ponti
È in piccolo, in basso, a pagina 21 del Corriere, come una scoperta improvvisa: “Per ricostruire il ponte di Genova occorre un’impresa certificata nella realizzazione di strade e viadotti”. Ci vuole esperienza sul campo, proprio quello. E invece il governo vuole affidare i lavori a Fincantieri e Italferr “che però risultano essere certificate solo per opere marittime, impianti tecnologici e componenti strutturali in acciaio”.
E allora si cerca una soluzione alternativa, o meglio, che possa salvare comunque i due colossi: una cordata di impresa con le giuste certificazioni ad affiancarli.
Mancano le Attestazioni Soa
Lo spiega molto bene Il Sole 24 Ore. Fincantieri ed Italferr non hanno le Attestazioni Soa, cioè lo strumento previsto dal codice degli appalti “per certificare la capacità di realizzare opere pubbliche”. Nello specifico non hanno la categoria OG3 che riguarda strade, ferrovie, ponti e viadotti.
“Nel decreto legge Genova – scrive Il Sole – il Governo autorizzerà il futuro commissario a operare ‘in deroga ad ogni disposizione di legge’, incluso il codice degli appalti e dunque alle regole di qualificazione dei costruttori. Tuttavia l’obbligo che a eseguire un’opera pubblica sia un’impresa capace di realizzarla (dunque in possesso dei requisiti di competenza tecnica e capacità economica) discende – oltreché dal buonsenso – da un principio di diritto europeo, non così facilmente derogabile”.