Calcio in Soffitta / Mezzo secolo fa, la Fiorentina vince al San Paolo lungo la strada che la porterà al secondo tricolore.
Oggi come allora
“Effetto cromatico” in stile classico per la Fiorentina di quest’anno ed “effetto notte” per il Napoli quando si mise sulla strada della Viola scudettata del 1968-69. Sempre “effetti” sono, dirà qualcuno. Il ritorno alle origini del Mito dei ragazzi yè-yè e sbarazzini che osò sfidare e vincere contro le grandi di allora (e di sempre) non è evidentemente un caso per gli uomini di Pioli. Ovviamente per vincere il tricolore non basta rimettersi maglia viola classica e pantaloncini neri, ma il legame con le tradizioni è un valore ancora forte nel mondo del calcio, checché se ne dica.
Una squadra, quella odierna, fatta appunto di molti giovani di belle speranze con qualcuno già ampiamente sull’onda di valutazioni milionarie, si veda Chiesa o Simeone. Il parallelismo con la Fiorentina che vinse il suo secondo scudetto esattamente mezzo secolo fa può, dunque, partire da qui, dalla ‘mise’ scelta per quest’anno e per la rosa fatta di giovanotti. Il mito ed il ricordo che ha lasciato quella squadra nei tifosi e nei simpatizzanti viola potrebbe far pensare che quei giocatori avessero già l’esperienza necessaria per vincere un campionato, quei nomi echeggiano ancora oggi come gli intoccabili del “Franchi“.
Gli undici della Fiorentina
In realtà l’età che ognuno aveva nel 1968, che abbiamo messo tra parentesi, conferma che si trattava di una squadra veramente giovane. I minimi ed i massimi, 30 primavere per Rogora e 20 per Salvatore Esposito. In porta c’era Superchi (24 anni), i terzini classici erano Rogora (30) a destra e il povero Mancin (23) a sinistra. Il libero, staccato e all’italiana era Brizi (26), uno che se lo vedevi in foto sembrava la controfigura del comico Lino Toffolo, lo stopper era Ferrante (23), anche lui scomparso prematuramente, e a centrocampo il motorino era Ciccio Esposto (20) da Torre Annunziata. Era proprio il giocatore campano che dava palloni a iosa a De Sisti (25) ‘pensaci tu’, a Merlo (22) e a quel diavolo a quattro di Rizzo (25), mezzo attaccante e mezzo trequartista.
In avanti uno scoppiettante ed emergente Chiarugi (21) e l’estroso Amarildo (29) si scambiavano spesso di fascia ma erano due ali che si alternavano con tecnica e velocità. I gol li faceva Maraschi (29), uno che ha giocato fino a 40 anni e che fu capocannoniere con 14 reti. Squadra sbilanciata in avanti? Sì e no, il trucco c’era ma non lo vedevi. E non poteva essere altrimenti con un allenatore come Pesaola che, quando doveva e poteva, alzava il braccino e li tirava tutti indietro a difendere il risultato. Altro calcio, se lo facesse un coach di oggi, lo fucilerebbero.
La Fiorentina 1968/69
Bene, quella Fiorentina stravinse il campionato davanti al Cagliari e al Milan distanziando entrambe le formazioni di quattro punti. Se permettete, una divagazione la facciamo subito e riguarda la penultima giornata di quel torneo, al “day di tutti i days”. La Viola gioca a Torino con la Juventus e la batte senza discussioni, in rete il peperino Chiarugi e l’armadio Maraschi, due a zero. È qui, con la matematica certezza di aver vinto il tricolore, che si aprono i festeggiamenti.
Pesaola
I giocatori corrono felici, si abbracciano, sollevano in alto Pesaola che ride di gusto ed ha il cuore a mille. In quei fotogrammi, vedere il ‘Petisso’ soddisfatto e contento, c’è un pizzico di napoletanità ed un po’ di malinconia. Il suo sogno, lo sanno tutti, era quello di vincere lo scudetto con gli azzurri. Il tecnico aveva, infatti, lasciato Napoli portandolo al secondo posto in classifica ed il presidente viola Baglini si era innamorato letteralmente di quel personaggio. Lo bloccò, lo volle fortemente con sé e gli consegnò un team che era una sorta di outsider del calcio italiano. Pesaola lo plasmò e lo portò al tricolore in una sola stagione, facendo quasi un miracolo.
Ecco, a quei fotogrammi di cui sopra, aggiungiamo anche che “quella vittoria doppia” ( partita e campionato ) fu conquistata a Torino. Davanti ai tifosi della Juventus e alle maglie bianconere. Una gioia così non ha prezzo, non può averlo.
Bruno Pesaola
E’ il 13 aprile del 1969 quando la Fiorentina, nel completo viola-nero ritornato di moda quest’anno, scende al San Paolo ed il Napoli, per dovere di ospitalità, indossa la maglia bianca. A salutare il rimpatrio del ‘Petisso’ nella sua città ci sono decine di fotografi che lo immortalano insieme a Di Costanzo, chiamato a sostituire Chiappella per un breve interregno e migliaia di tifosi che scandiscono il suo nome. Bruno saluta, il suo sorriso è più largo del solito, quella è casa sua.
Uno scatenato Rizzo, che sfuggì quando e come voleva ad uno spento Micelli, bucò Zoff per ben due volte nel primo tempo, prima con un bolide da fuori area e poi con un beffardo rasoterra, mettendo i due punti in cassaforte. La rete di Maraschi, che buggerò un ingenuo Guarneri, fu un semplice suggello al predominio viola e al ko del Napoli. Non cambiò la partita nemmeno l’ingresso in campo di Claudio Sala, nel primo anno in cui era possibile effettuare sostituzioni col tredicesimo, al posto di Altafini. Salvò la faccia un goal di Canè nell’amaro finale ma le ripartenze dei viola, quel pomeriggio di una primavera già arrivata, furono precise e micidiali orchestrate da un De Sisti in forma ‘mundial’. Quel giorno, probabilmente, usando una frase fatta, “non c’era scampo per nessuno”.