Una ricca rassegna, oggi: dalle parole della Procura sulla relazione della commissione del Mit all’attacco de Il Fatto Quotidiano ai “giornaloni” passando per gli interrogatori
Abbiamo raccontato ieri della relazione finale della commissione di inchiesta del Mit, che attribuisce tutte le colpe del crollo del Ponte Morandi ad Autostrade. La Repubblica si sofferma a lungo, oggi, su un documento riservato, allegato alla relazione, che conterrebbe la prova che gli uffici preposti sapessero che il viadotto non stava in piedi.
Il documento scovato dalla commissione
Si tratta dell’esito dei test fatti da Spea sulle travi del Morandi: la tabella St002 riporterebbe una sfilza di cifre inferiore a 1, “l’indice sotto il quale una struttura rischia di crollare perché non sostiene più il peso per cui è stata progettata”.
In particolare, alcune travi del Morandi diedero come risultato 0,58, dimostrando che la resistenza si era dimezzata: “Si tratta — scrive la Commissione — di valori del tutto inaccettabili, cui doveva seguire un provvedimento di messa in sicurezza improcrastinabile”.
La violazione del Codice degli appalti
La tabella della Spea fu allegata al progetto di retrofitting delle pile 9 e 10 approvato da Autostrade il 12 ottobre 2017. Secondo il Codice degli appalti – scrive La Repubblica – quel progetto avrebbe dovuto prima essere certificato da un organismo esterno, perché superiore di 159.344 euro al tetto dei 20 milioni, ma la norma fu ignorata deliberatamente da Autostrade, che incaricò della certificazione un interno, l’ingegner Claudio Bandini.
Furono Paolo Strazzullo (Responsabile unico del procedimento per Autostrade) e il progettista di Spea Massimiliano Giacobbi ad inviargli tutto l’incartamento del progetto esecutivo, compresa la tabella St002.
Quando vide quelle cifre, scrive il quotidiano, Bandini si spaventò: rimandò l’incartamento ai mittenti, senza validarlo, accompagnandolo, anzi, con 62 osservazioni e domande.
La prima domanda era la seguente: “Il contenuto di questo progetto è stato trasmesso al direttore di Tronco a Genova ed è stato concordato con gli uffici centrali e periferici di Autostrade?”. La risposta che ricevette, che la commissione giudica “evasiva e non concludente” fu che l’aveva già visto chi lo doveva vedere.
Bandini faceva anche un’altra osservazione, la numero 14: visto che secondo i test il ponte risultava malmesso, per quale motivi ci si stava limitando ad un intervento sulle pile 9 e 10? Gli fu risposto che gli interventi di ripristino della rimanente parte dell’impalcato sarebbero stati oggetto di un successivo appalto.
Allora Bandini – scrive la Repubblica – chiese se la sua verifica doveva soffermarsi anche sulla parte strutturale dell’intervento, ma “rimediò, sia pure in burocratese, una rispostaccia: ‘L’intervento sugli stralli costituisce un’attività estremamente specialistica, il cui sviluppo si traduce in scelte costruttive e dimensionali fortemente presidiate in fase di progettazione. Pertanto non si ritiene necessario intervenire sugli aspetti sopra menzionati’. In altre parole, Bandini si doveva fare gli affari suoi”.
Nonostante i dubbi irrisolti, Bandini dette l’ok al progetto.
La bugia di Autostrade
La Repubblica continua scrivendo che, tra le osservazioni di Bandini, ce n’è una su cui la commissione si è in particolare soffermata, la numero 3, “dove Autostrade scivola su una bugia”.
Bandini chiese se i progettisti fossero in regola con gli adempimenti in zona sismica. Gli fu risposto che gli adempimenti erano in corso, ma la Commissione ha scoperto un’incongruenza: “nel 2003, dopo il terremoto del Molise, la Presidenza del consiglio ordinò la mappatura del territorio nazionale per verificare lo stato delle infrastrutture strategiche. Con priorità per quelle nelle zone ad alto rischio sismico, classificate 1 e 2. Genova è in zona 3 e 4, rischio moderato”.
Come già scritto ieri, la commissione del Mit ha contestato ad Autostrade che non esiste il documento che attesta la verifica del ponte Morandi, accusa a cui Autostrade ha risposto dicendo che quel documento non era necessario perché il viadotto non era in zona a rischio.
Ecco l’incongruenza, scrive Repubblica: “Autostrade dà tre versioni diverse dello stesso fatto. La prima, del 23 giugno 2017: Autostrade con una nota comunica alla Direzione generale di Vigilanza sulle concessionarie autostradali, quindi al ministero, che gli adempimenti sismici ‘sono stati effettuati’. La seconda, quella offerta all’ingegner Bandini: ‘Sono in corso’. La terza, quella sostenuta due giorni fa da Autostrade: ‘Non erano necessari’.
Il parere della procura sulla relazione della commissione Mit
È tutto in una frase riportata dal Secolo XIX, attribuita al procuratore Francesco Cozzi. Dopo essersi dichiarato certo che i tecnici “abbiano svolto il lavoro con professionalità” con i dati a disposizione, più limitati di quelli che ha la Procura, Cozzi esprime una certa sorpresa sulle ipotesi formulate dalla commissione relativamente alle cause del crollo: “Se pensiamo che solo con un secondo incidente probatorio noi chiederemo ai periti di circoscrivere la matrice del massacro, quindi fra qualche mese e con una molte di materiale da esaminare impressionante be’, ci rendiamo conto della differenza…”.
Continuano gli interrogatori
Il Fatto Quotidiano e Il Secolo XIX scrivono che ieri è stato ascoltato dai pm Gabriele Camomilla, l’ingegnere ex direttore ricerca e manutenzione di Autostrade che, tra il 1992 ed il 1993, curò il retrofitting del pilone 11, ancora integro dopo il crollo. Sarebbe rimasto con gli investigatori fino a sera.
Già il 17 agosto, a Il Fatto Quotidiano, Camomilla aveva dichiarato che le ispezioni fatte negli anni ’90 erano molto accurate, “lo dimostra il fatto che al ministero ci sono centinaia di pagine sul Morandi”.
L’ingegnere racconta che i tecnici passavano giorni “appesi ai piloni alti novanta metri” e che in uno dei controlli effettuati rilevarono che “sull’ultima porzione di uno strallo, in cima alla struttura del numero 11, il cemento aveva lasciato scoperta una porzione di acciaio”.
L’intervento fu avviato in pochi giorni, tanto che oggi “il pilone ha 11ha48 cavi che lo sostengono e si possono sostituire uno per volta”. Camomilla spiegava anche che, all’epoca, gli altri piloni erano integri.
L’incidente probatorio
Sempre su Il Fatto, Egle Possetti, sorella di una vittima del Morandi (Claudia, morta con il marito Andrea Vittone e i figli Manuele e Camilla), racconta in un’intervista l’incidente probatorio apertosi ieri: “La cosa più squallida è stato vedere che quasi tutti gli indagati non sono venuti. C’erano solo i loro avvocati, i periti. In aula ho visto gente che rideva e faceva battute a due passi da noi parenti”.
La signora esprime la sua fiducia nei confronti degli investigatori: “Lavorano giorno e notte, un pugno di persone contro un esercito di avvocati tutti eleganti”.
L’intoccabile Castellucci
Segnaliamo, sul Corriere della Sera, un interessante profilo di Giovanni Castellucci, ad di Autostrade, a firma di Milena Gabanelli e Mario Gerevini.
Castellucci viene definito l’uomo di fiducia della famiglia Benetton da 15 anni, con una lunga serie di poteri a firma singola e 5 milioni l’anno: un manager quasi inamovibile, che può essere revocato esclusivamente su richiesta di Atlantia. Se venisse rimosso o subisse una semplice riduzione dei poteri e degli emolumenti, “scatterebbe immediata un’indennità forfettaria intorno agli 11 milioni”.
Come fa Castellucci, scrivono gli articolisti, a resistere in quel posto di comando “come se neanche lo sfiorasse l’ombra di una possibile corresponsabilità nella tempesta in cui è finito il gruppo? E come fanno oggi gli azionisti a garantire, da una parte, che verrà fatto di tutto per favorire l’accertamento della verità e delle responsabilità e, dall’altra, mantenere al suo posto, con tutte le leve di comando, il capo azienda indagato, che in teoria potrebbe avere tutto l’interesse a coprire eventuali errori, omissioni o responsabilità?”.
L’attacco de Il Fatto Quotidiano alla stampa
Un duro attacco del quotidiano diretto da Travaglio al resto della stampa, accusata di prendere di mira il governo per il decreto per Genova e di aver ridotto in poco spazio le notizie relative alla relazione della commissione di inchiesta del Mit per salvaguardare Autostrade.
In merito al decreto, Il Fatto si sofferma sulla questione dei puntini sospensivi al posto di alcuni costi e coperture definendola “la prassi in questi casi” e aggiungendo, anzi, che “Il Fatto potrebbe produrre decine di bozze del genere prodotte negli ultimi anni”: la questione è “tranquillamente coperta dal ‘salvo intese’ con cui Palazzo Chigi ha licenziato il decreto”. Eppure, scrive il quotidiano, “la vicenda ha appassionato i grandi media e quindi va spiegata”. Lo fa Marco Palombi in un lungo articolo a pagina 3, dal titolo “Il dl Genova è ostaggio del tesoro da otto giorni” per il quale vi rimandiamo alla lettura del quotidiano.
Ci soffermiamo, invece, sull’attacco del giornale di Travaglio al resto della stampa, “i giornaloni”, in una colonna di pagina 3 intitolata “Libera stampa”: Repubblica, Corriere, Sole 24 Ore e Messaggero sono accusati di aver fatto passare in secondo piano le accuse ad Autostrade privilegiando, invece, lo scontro tra governo e Ragioneria dello stato sul decreto per Genova.
“Alle sconvolgenti conclusioni della relazione sono stati dedicati articoli brevi, immancabilmente nascosti nel taglio basso delle pagine – scrive Il Fatto – Pure nella titolazione, grande cautela: nessuno si è dimenticato di citare la versione di Autostrade”. Il Fatto fa l’elenco: “Repubblica, nell’occhiello ‘Ipotesi e accuse infondate’, La Stampa nel catenaccio ‘Soltanto ipotesi, controlli ok’, Il Sole ‘Test accurati, no allarmi’. Autentico capolavoro infine sul Messaggero di Caltagirone: il titolo che introduce l’articolo (breve) è su due righe. Vengono spartite con saggezza salomonica. Nella prima c’è la versione degli ispettori (Per la Commissione Mit rischi sottovalutati), nella seconda la replica degli accusati (Autostrade: test accurati, non c’era allarme). Pari e patta”.