L’evoluzione di Insigne va di pari passo con quella della squadra: nessuna suggestione di falso nueve, un ruolo chiaro, che lo porta a segnare di più.
Il paragone (tattico) con Messi
Questa mattina abbiamo riportato il pezzo di Paolo Condò su Insigne, più precisamente sulla trasformazione di Insigne in attaccante. L’articolo si apre con un paragone (tattico, solo tattico) con la parabola di Messi, prima esterno di fantasia e poi falso nueve con Guardiola. Correttamente, però, Condò non parla di falso nueve quando accenna ad Insigne, piuttosto da attaccante:
«Le due mosse sono accostabili perché Insigne, esaltato dal nuovo ruolo e dalla diminuita distanza dalla porta si è messo a segnare come un bounty killer. A volte gioca proprio centravanti, a volte svaria per favorire gli inserimenti di Zielinski, di certo il Napoli ci ha guadagnato, e su un uomo che in tanti pensavamo aver dato il suo meglio con Sarri».
La chiave è proprio questa ultima, in realtà: l’evoluzione di Insigne va di pari passo con quella del Napoli. Ancelotti non è partito dal cambio di ruolo pensato per Lorenzo, piuttosto lo ha inserito all’interno di un percorso che ha cambiato i connotati tattici della squadra. Convertire Insigne in attaccante fa parte di una serie di correttivi che il tecnico emiliano ha adottato dopo aver verificato come la prima soluzione pensata per la sua squadra (il 4-3-3 in ampiezza con i terzini sempre a supporto del gioco d’attacco) non era ancora praticabile in questo inizio di stagione.
Potrebbe essere riproposta più avanti, solo che nel frattempo Insigne ha segnato 6 gol in 7 partite (6 da titolare) nel nuovo ruolo. In più, il Napoli ha abbassato la sua media gol subiti da 2 per partita fino a 0.57. Come dire: non è solo una sperimentazione per Insigne, il nuovo sistema è funzionale alla squadra.
Avvicinare la qualità alla porta
Nel libro Herr Pep, che racconta la prima stagione di Guardiola al Bayern Monaco, si legge di come il tecnico catalano pensasse che Rybery avrebbe potuto ripercorrere la stessa strada di Messi. Non si parla di falso nueve, quello è un concetto diverso, applicabile solo ad una parte del gioco di Messi (Alfonso Fasano ne ha scritto qui l’anno scorso, parlando però di Mertens), si parla di attaccante. In molte parti del libro, ci sono virgolettati di Guardiola riferiti al fatto che Ribery potesse essere «devastante» giocando più vicino e fronte alla porta. Solo che neanche Guardiola è riuscito in questa missione. Evidentemente l’esterno francese non aveva la sensibilità tattica e tecnica giusta per poter vivere una trasformazione così radicale.
Insigne, invece, sta dimostrando di poter essere un attaccante. Anzi, diciamola meglio: di potersi sentire attaccante, di riuscire a rispondere a questi stimoli che Ancelotti gli sta lanciando. E che sono stati riassunti con puntualità in un lungo pezzo di Ultimo Uomo (qui). Vi riportiamo una parte interessante: «Come il Napoli ha iniziato ad allontanarsi dai dettami che governavano il sistema precedente, così anche Insigne ha iniziato ad allontanarsi dalla casella che occupava stabilmente nello scacchiere di Sarri. Se in avvio di campionato aveva conservato il tradizionale ruolo di ala sinistra, nell’ultimo mese si è progressivamente spostato verso il centro, arrivando ad agire a tutti gli effetti da seconda punta. Il 4-4-2 del Napoli avvolge il campo come una ragnatela. Le combinazioni tra gli attaccanti si innescano su distanze maggiori, favorendo l’imprevedibilità della manovra offensiva».
La seconda punta
Il concetto più importante è quello di seconda punta. Insigne, oggi, sta studiando e giocando secondo i dettami di un ruolo che sembra(va) sparito dal calcio moderno, di certo era da tempo assente dall’ambiente-Napoli. Le ultime testimonianze di attaccante di supporto rimandano a Lavezzi, che nel 3-5-2 di Mazzarri agiva accanto a Cavani con un’impostazione diversa, meno da attaccante e più da fantasista. Da Benitez in poi, il Napoli ha sempre usato un solo terminale offensivo, da Higuain fino a Milik e infine a Mertens.
Oggi, la situazione è cambiata. Il paradosso numerico è che il Napoli ha deciso di schierare due attaccanti per assecondare la necessità di avere un uomo difensivo in più (il secondo centrocampista davanti alla difesa). In questo modo, il sistema in fase passiva è decisamente più statico e lineare (un puro 4-4-2), mentre in avanti lo schieramento è più fluido, come spiegato nell’analisi tattica del match contro il Sassuolo.
La lettura della nuova posizione di Insigne parte da qui. In fase di possesso, Insigne si muove come uomo associativo su tutto il fronte d’attacco; può decidere di organizzare la manovra venendo a giocare il pallone; oppure può ricoprire il ruolo di prima punta (soprattutto quando gioca in coppia con Mertens) e cercare la profondità. In fase conclusiva, invece, si divide l’area di rigore con il compagno di reparto, attacca lo spazio, cerca di individuare il luogo migliore da cui far partire la conclusione. I due gol contro il Torino, da questo punto di vista, sono esplicativi.
La freddezza dell’attaccante nei due gol a Torino
Insigne fa l’attaccante, è una seconda punta pura, che può giocare vicino a un centravanti fisico (Milik) o anche con un calciatore più vicino alle sue caratteristiche (come Mertens). Come spesso ripete Ancelotti, in questo modo riesce ad essere più lucido in fase conclusiva, anche perché il lavoro in fase difensiva diminuisce drasticamente. Insigne non copre più la fascia sinistra, si muove a fisarmonica per aiutare l’uscita del pallone ma fa soprattutto pressing sul primissimo portatore avversario. C’è un lato negativo in questo passaggio? Sì, magari sono diminuite le aperture precise sul movimento di Callejon, per un automatismo visto e rivisto (con successo imperituro) negli ultimi anni. Però è una mancanza che si può accettare. Soprattutto nell’ambito di una trasformazione che sta portando a galla un Insigne diverso, forse migliore, sicuramente determinante e determinato sotto porta. Non c’è miglior modo per definire un attaccante, dopotutto.