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Ponte Morandi, lo stupore della Procura di fronte alla giungla burocratica del Mit

“Neppure le figure apicali hanno ben chiara la suddivisione di mansioni sulla carta cruciali”. L’esperto della commissione tecnica: i carichi pesanti non c’entrano col crollo

Ponte Morandi, lo stupore della Procura di fronte alla giungla burocratica del Mit

Procedono gli interrogatori per capire meglio come è potuto succedere che il Ponte Morandi sia crollato all’improvviso provocando la morte di 43 persone.

La funzionaria di Autostrade

Il Secolo XIX racconta che ieri è stata ascoltata per quattro ore, come testimone, Livia Pardi, che da 25 anni lavora in Autostrade e che “ha un ruolo di responsabilità in materia di controlli”.

A metà degli anni ‘90, subito dopo la ristrutturazione dei tiranti su uno solo dei piloni principali, insieme a Michele Donferri Mitelli, capo delle manutenzioni e attualmente inquisito per il disastro, realizzò uno studio in cui si fissava la sopravvivenza del Ponte Morandi al 2030.

Gli inquirenti le hanno chiesto in base a cosa avessero individuato il 2030 come probabile anno di “scadenza” del ponte: “L’obiettivo – scrive Il Secolo – è capire quanta approssimazione ha in generale permeato il lavoro di prevenzione all’interno dell’azienda, e quanto questi scostamenti clamorosi siano stati determinati dalle manutenzioni al risparmio”.

La funzionaria ha dichiarato che, nonostante le criticità evidenziate nel 1994, non erano mai emerse “palesi emergenze per la sicurezza”. Adesso i pm dovranno valutare se iscrivere anche il suo nome sul registro degli indagati.

La dirigente del Mit

Sempre ieri, in Procura, è stata sentita Maria Lucia Conti, dirigente del ministero dei Trasporti: attraverso la sua audizione, come attraverso quelle dei suoi colleghi avvenute nei giorni scorsi, gli inquirenti cercano di ricomporre il quadro delle competenze in materia di vigilanza dentro al Mit.

“Gli inquirenti stessi non nascondono un certo stupore nello scoprire che talvolta neppure le figure apicali hanno ben chiara la suddivisione di mansioni sulla carta cruciali”, scrive Il Secolo.

Ieri la Guardia di Finanza ha formalmente consegnato ai pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno la lista contenente 40 nomi di persone che si sono occupate a vario titolo del Morandi dagli anni ‘90 ad oggi: potrebbero ricevere un avviso di garanzia nelle prossime settimane.

L’emendamento ritoccato

Torna oggi, su alcuni quotidiani, la questione dell’emendamento al decreto Genova di cui abbiamo parlato ieri, che con l’eliminazione di una sola parola del comma 7 dell’articolo 1 (“propedeutiche”) riammetterebbe Autostrade nella demolizione del Morandi.

“Ora vediamo che fa Autostrade – commenta il viceministro Edoardo Rixi secondo quanto riporta Il Secolo XIX – abbiamo tolto un pretesto per mettersi di traverso con i ricorsi. Se poi cominciassero anche a pagare quanto dovuto ad esempio agli sfollati, il commissario avrebbe più risorse a disposizione”. Il governo ribadisce che Autostrade potrà demolire ma non ricostruire. Tra l’altro anche nella demolizione potrebbero intervenire altre ditte (anche se il progetto di demolizione di Autostrade è quello più rapido: 3 mesi, ndr).

Il rientro degli sfollati

Il giorno degli sfollati, le 280 famiglie di via Porro, via Fillak e via del Campasso. A partire dalle 8 di questa mattina i primi nuclei familiari rientreranno nella “zona rossa” quasi due mesi dopo l’ultima volta.

Il Secolo XIX racconta cosa accadrà. I vigili del fuoco li accompagneranno sotto le tende allestite nella via, dai due varchi (nord e sud) per un’illustrazione più approfondita delle procedure per il recupero delle cose dai loro appartamenti. Poi, cominceranno le operazioni vere e proprie: una corsa contro il tempo per stipare una vita in cinquanta scatoloni in due ore.

Il calendario di ingressi, pubblicato sul sito del Comune, prevede 13 giornate di lavori. Entreranno sei famiglie per volta, in 6 palazzi diversi, per un totale di 24 famiglie al giorno per 13 giorni. In ogni palazzo ci potrà essere una sola famiglia: due al mattino e due al pomeriggio. Si parte dagli edifici più lontani dal ponte per limitare i transiti più vicini al moncone.

L’operazione, spiega il governatore Giovanni Toti, arrivano al milione di euro. Comprendono l’impegno straordinario per i vigili del fuoco e le autoscale, il noleggio dei furgoni, il materiale per fare gli scatoloni, il noleggio dei magazzini dove stipare i beni recuperati e altre spese varie (ad esempio eventuali straordinari dei vigili).

Il problema è che ad oggi questi costi non sono stati conteggiati nelle spese previste nel decreto per l’emergenza né nel “decreto Genova” e per questo la Regione ha fatto pressing perché sia aggiunto un emendamento al decreto attualmente in discussione alla Camera. Il Comune dovrebbe coprire comunque i costi vivi con l’anticipo di 800mila euro messi a bilancio (la variazione andrà in consiglio domani).

Per quanto riguarda i sensori, invece, i costi dell’installazione sui monconi del Morandi, come chiesto da Toti, sono stati rimborsati integralmente da Autostrade che ha stanziato un milione di euro allo scopo. Non è affatto chiaro, invece, se Aspi si farà carico anche dei costi sostenuti nel recupero dei beni dalle abitazioni.

In occasione dell’accesso da parte degli sfollati alle loro abitazioni, oggi e domani, la Asl3 sarà presente a ridosso della zona rossa dalle 8alle 12 con un medico e con un infermiere oltre che con un ambulatorio mobile. Sarà anche garantita la reperibilità psichiatrica a cura del dipartimento Salute Mentale di Asl3 e la collaborazione di uno psicologo dell’Ordine di Malta.

L’esperto della commissione: i carichi pesanti non c’entrano nulla

Su Genova24.it interviene Pietro Croce, professore di Ingegneria strutturale e di bridge design all’Università di Pisa, membro della commissione tecnica sul Morandi istituita da Comune e Regione. Esclude che tra le cause del crollo ci siano i carichi eccessivamente pesanti. “Morandi utilizzò la normativa italiana del 1962 che prevedeva per i collaudi stese indefinite di carichi militari, obici e altri mezzi pesanti, e civili, carichi non diversi dalle normative degli anni 90 e persino dal codice Ue del 2018”, dichiara.

Croce aggiunge che il peso del ponte e delle pile è così grande che difficilmente i carichi temporanei (i tir e tutti i veicoli) possono aver alterato o influito sulla stabilità della struttura. Tuttavia Croce lancia anche una provocazione: “Se il problema fosse stato nella progettazione, allora la catena della responsabilità si amplierebbe moltissimo e arriverebbe a coinvolgere anche lo Stato, quello che avremmo dovuto fare dopo aver visto il progetto di Morandi sarebbe dovuto essere correre in Procura per dirlo”.

Che il ponte in sé, nonostante l’aspetto che ha adesso, “fosse piuttosto stabile”, scrive Genova24.it, è confermato dai valori rilevati in questi giorni dai 400 sensori montati sui piloni rimasti, che sono in linea con le aspettative e i movimenti, minimi, e sono legati soprattutto alle variazioni di temperatura. Niente movimenti anomali, cosa che ha permesso di iniziare le operazioni di rientro degli sfollati.

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