Calcio in soffitta / Genoa-Napoli amarcord: il gemellaggio sancito nel 1982 (ai danni del Milan), e rinsaldato in due stagioni da quattro pareggi utili per la salvezza (del Napoli).
Una domenica di emozioni (e polemiche)
Quando l’amicizia si vede anche nella sofferenza e nell’angoscia, questo fu Genoa-Napoli del dopo 1982 fino a quando i rossoblù rimasero in A ancora per due anni prima di una lunga militanza nella cadetteria. Tutti sanno di quel 16 maggio, di quella data che, col senno di poi, diventò storica anche per un altro episodio, quello dello scudetto “scippato” alla Fiorentina da una Juventus che aveva otto giocatori in Nazionale. Da lì in poi nacque anche l’accertato livore anti-juventino della tifoseria viola. I Mondiali di Spagna erano alle porte, la Federazione sperò fino all’ultimo di evitare lo spareggio-scudetto tra Juve e Fiorentina per non gravare ulteriormente sulla preparazione della Nazionale che si nutriva di un bel numero di calciatori juventini. Ebbene in quell’ultima giornata di campionato la Fiorentina andò a far visita al pericolante Cagliari e la Juve giocò in casa di un Catanzaro tranquillo in classifica.
Quindi, nella stessa domenica, a Napoli si sarebbe “consumato” il neonato gemellaggio coi rossoblù genoani mentre in testa alla classifica stava per scoppiare una infinita coda di veleni e polemiche. Juventus e Fiorentina erano appaiate a 44 punti al fischio di inizio delle due trasferte, i viola in Sardegna ed i bianconeri in Calabria. Alla squadra di De Sisti fu annullato un gol regolare di Graziani mentre alla Juve fu concesso un rigore ad un quarto d’ora dalla fine che l’irlandese Brady, alla sua ultima gara con i piemontesi, trasformò al Comunale, poi Ceravolo. Ventesimo scudetto alla squadra di Trapattoni e discussioni senza fine. Ma i Mondiali vinti, come una amnistia per i carcerati, cancellarono tutto. Corsi e ricorsi storici, questo è il calcio.
Brady a Catanzaro
Dopo il 1982
Ma torniamo al gemellaggio, all’amicizia campano-ligure che spedì il Milan in B e salvò la Lanterna rossoblù. Cosa accadde da quella partita in poi? Come si ritrovarono, nei successivi campionati, azzurri e grifoni? La storia racconta che nel campionato 82-83, sette mesi dopo il 2 a 2, il Napoli, appena affidato alla coppia Pesaola-Rambone, ospita il Genoa in una partita che è già drammatica per la sua salvezza. La squadra partenopea langue in fondo alla classifica e sembra opportuno iniziare a pregare piuttosto che affidarsi al gioco, è meglio invocare i santi del paradiso piuttosto che una verticalizzazione, molto meglio appellarsi a San Gennaro che ad un primordiale e semplice 4-4-2. Servono punti, questa è la realtà.
Succede che Pairetto (senior, of course!) concede un rigore al Genoa a tre minuti dalla fine del primo tempo per un fallo di Krol ai danni di Antonelli appena entrato in area. Penalty sacrosanto. Iachini va dal dischetto e buca Castellini con un imparabile tiro nel ‘sette’. Nell’intervallo entra un ‘santone’ in campo ed inizia a spargere sale ed incenso nella porta che sarà del Genoa nel secondo tempo. “Aglio e fravaglio fattura che non quaglia, corna, bicorna, capa d’alice e capa d’aglio, sciò, sciò, ciucciuvè”, sortilegi e fatture piombano sul San Paolo, l’atmosfera è drammatica.
Moreno Ferrario
Si deve recuperare perché difficilmente si pensa di fare punti nella successiva trasferta di Firenze (arriverà, infatti, un’altra sconfitta). L’orologio di San Gennaro, come l’attesa della liquefazione del sangue, non si smentisce e a tre minuti dalla fine avviene il miracolo. Nello sterile ma arrembante attacco finale Celestini prende palla e, appena entrato in area, quando sente l’avversario dietro di sé, fa un tuffo che nemmeno Cagnotto sapeva fare. Rigore per il Napoli ma immagini inequivocabili. Dei genoani protesta solo Iachini, il presunto colpevole, forse dimentico che nello stesso stadio, qualche mese prima, era iniziata la ‘fratellanza’. Si sa, la foga del momento e l’agonismo gli annebbiano un po’ la vista. Ferrario si incarica del tiro mentre parte dei tifosi si gira ed aspetta il boato. E boato fu. Uno ad uno finale.
Al ritorno a Marassi, con le due squadre in lotta ancora per la salvezza, arriva un altro pari, un risultato ad occhiali che sapeva tanto di volemose bene, dividiamoci questo altro ‘tozzo di pane’. Il 24 aprile 1983, con Agnolin arbitro che deve vigilare sulla regolarità della gara, finisce con un nulla di fatto. Un punto ciascuno, il classico brodino che tiene in vita il malato nell’era dei due punti per la vittoria.
Fernando Viola
Permettetemi una piccola parentesi. In quella gara giocò da centravanti arretrato Fernando Viola, un ottimo giocatore, tra l’altro di scuola Juve, di cui ha parlato il pessimo opinionista Massimo Mauro nella puntata di domenica scorsa di “Quelli che il calcio”. Ebbene il saccente ex calciatore, che dice di aver giocato con Platini, Zico e Maradona, nonché ex presidente del Genoa, non ha risparmiato nemmeno la memoria di una persona che non c’è più citandolo come ‘giocatore gay’. Come sappiamo, Viola, che spese il meglio della sua carriera alla Lazio, morì a 50 anni per un incidente sul motorino a Roma. La delicatezza di Mauro mette i brividi. Anche perché parliamo di uno che, a proposito dell’omosessualità nel calcio, ha sempre utilizzato frasi del tipo: “beh, se in squadre dove ho giocato c’erano dei gay non me ne sono mai accorto”.
Chiusa parentesi. Torniamo a quel pareggio che, col senno di poi, servì, eccome se servì. Genoa e Napoli si salvarono rispettivamente per uno e due punti ai danni del Cagliari che retrocesse insieme al Cesena e al Catanzaro. Quella volta il ‘fattore C’ non fu utile a nessuna delle squadre il cui nome iniziava con la ‘C’. L’anno successivo, azzurri e rossoblu andarono ancora a braccetto nel loro cammino infernale, in un campionato fatto di sofferenze, nello scontare delle pessime campagne acquisti e una grande approssimazione tecnica (prima Santin, poi Marchesi, salvatore della patria, nelle ultime giornate).
Il partitone di Benedetti
Solo che a fine torneo ci raccapezzò la pelle il Genoa, retrocesso per una peggiore differenza reti rispetto alla Lazio, mentre il Napoli terminò appena un punto più su salvandosi nella penultima in casa contro l’Udinese. In rete il solito Ferrario su rigore e Frappampina, un atleta rimasto nella memoria collettiva di tutti i tifosi partenopei per il suo… rendimento. E se dicessimo che le partite, sia all’andata che al ritorno, non si schiodarono dallo 0 a 0 voi che pensereste? Sterilità offensiva, poche idee, paura di perdere, necessità di punti. Tutto poteva andare bene purché la classifica si muovesse. Questo era il calcio di quando non si osava, dell’era pre-Maradona, fino a quando al Napoli non arrivò una seria mentalità vincente. Di quando gli azzurri, con le salvezze risicate, in compagnia dei fedeli amici genoani, venivano considerati alla stregua di una provinciale.
Benedetti con il Genoa e con il Napoli
Comunque, lasciando le illazioni da parte che fanno molto ‘letteratura sportiva’, che lasciano il tempo che trovano e per le quali non dobbiamo certamente chiamare in causa l’Ufficio Inchieste, il Napoli che prese un prezioso punto a Genova il 22 gennaio 1984 se la vide davvero brutta. Paolo Benedetti, che l’anno prima giocava con gli azzurri, sembrava un’ira di Dio. La bionda mezzala colpì un clamoroso palo nei primi 45 minuti ed una traversa nel secondo tempo mettendo i brividi a Castellini mentre un Napoli abbottonato, col povero Pellegrini a navigare nel deserto da unica punta, rispondeva con qualche raro tentativo di contropiede. Alla fine fu ancora pari ma non siamo sicuri se, visti i tentativi di Benedetti, l’allenatore genoano Simoni, negli spogliatoi predicò la ‘non belligeranza’.