La recensione della nuova opera di Paolo Trapani: Napoli raccontata come una città in cui il calcio si vive in maniera speciale, unica al mondo.
Un anno dopo
Se esiste una tesi, esiste un’antitesi. Così Paolo Trapani, 43 anni, giornalista e comunicatore, ci ricasca a distanza di un anno con sommo gaudio. Dodici mesi fa dava alle stampe il manifesto dell’anti-juventinità per eccellenza, un libro-breviario da consultare a piccole dosi sul filo della rigorosa, ragionata, ironica faziosità. Poiché nel libro dedicato “ai non colorati”, Trapani si chiedeva se ci fossero ancora margini per insultare la Vecchia Signora, artefice di vere o presunte nefandezze ai danni del calcio italiano, oggi chiama di nuovo a raccolta il popolo dei tifosi partenopei, mandando in libreria una dichiarazione di amore eterno al Napoli.
“Napoli, la città del calcio”, edizioni Magenes, è il suo ultimo lavoro. Racconta il rapporto viscerale tra città e squadra. Un legame unico, osmotico, reciproco, perché l’amore tra i napoletani e gli undici del San Paolo, vada come vada la partita, è sempre a lieto fine.
L’identità calcistica della città
Non sappiamo se Paolo sia nato con la camicia. In tal caso, il colore di quella camicia sarebbe azzurra. Con il titolo eloquente del primo capitolo, indirizza la lettura già dalle prime righe: Napoli Patria M.i.a. laddove “mia” è l’acronimo di maglia, identità, appartenenza. Secondo Trapani in pochi luoghi al mondo il calcio incarna il forte senso di appartenenza di un intero popolo alla propria terra e alle proprie origini, alla propria storia e alle proprie tradizioni. L’esatto opposto della tifoseria della Juventus. Un pubblico composto, secondo gli appassionati apologeti della napoletanità calcistica di cui Paolo è un fiero cantore, da apolidi, cioè senza “patria” sportiva identificata con un luogo e con la sua storia, ma piuttosto seguaci di un club molto poco identitario e lontano.
«Attraverso aneddoti, i mille episodi legati allo stadio e ai calciatori – spiega Trapani – il libro racconta il rapporto indissolubile che c’è tra popolo e maglia, tra città e club. Un rapporto così intenso da poterlo paragonare a quello che vivono madre e figlio. Un figlio unico, peraltro, visto che Napoli è tra le poche metropoli al mondo ad avere una sola squadra di calcio».
L’impossibilità del derby
Infatti alle falde del Vesuvio non si gioca né si giocherà mai un derby, perché non ci sono in città divisioni tra i rioni che fanno il tifo per un club e quartieri per un altro, come avviene in tutte le altre realtà del mondo, da Roma a Buenos Aires, da Londra a Milano, da Istanbul a Madrid, da Mosca a Manchester. Chissà se poi è stato un bene. Per Paolo Trapani, assolutamente sì: il Napoli è Napoli.
Il filo sociologico della narrazione si dipana con l’analisi delle ragioni alla base di tanto parossistico amore per gli azzurri attraverso la storia del club, i riti delle curve nella caldera del San Paolo e la loro avversione per gli ultrà nemici. Memorabile lo scambio di battute con i veronesi che auspicavano i napoletani “flambé” ai quali la Curva rispose con un capolavoro d’ironia: «Giulietta è ‘na zoccola». Trapani non dimentica le gesta dei protagonisti in maglia azzurra; le testimonianze ammirata di numerosi avversari che hanno calcato non senza qualche timore l’erba di Fuorigrotta («al San Paolo spingevano la palla in porta con il fiato», disse Marocchi); la venerazione ancora vivissima per Diego I, sublimata nell’edicola votiva che espone il capello, originale s’intende, di Maradona nel bar di piazzetta Nilo. Fino agli incredibili espedienti per non mancare nemmeno un partita.
Il racconto di Peppe Napolitano
Da menzionare il capolavoro di Peppe Napolitano, amico dell’autore, tifosissimo del Napoli, sempre pronto a seguire il Napoli in 42 anni di militanza azzurra. Una ventina di anni fa fece spostare la comunione del nipote Francesco, la cui cerimonia inizialmente era stata fissata nel turno “sbagliato”, perché coincidente con la partita del San Paolo. La concomitanza con il match di campionato gli avrebbe impedito di andare allo stadio. La sua ferma volontà di esserci comunque costrinse i parenti di Peppe a chiedere alla parrocchia (e al ristorante luogo dei festeggiamenti) di programmare un’altra data per la comunione del piccolo Francesco. Chapeau.
«Napoli e i napoletani – riflette Trapani – rappresentano un grande, entusiasmante e romantico tentativo di sopravvivere al progresso del pallone». A queste latitudini forse ancora si può.