«È la serata in cui dobbiamo dimostrare i nostri miglioramenti». Ci sono momenti che certificano se sei pronto per un’altra dimensione, oppure no
Gli spartiacque
Esistono gli spartiacque. Devono esistere. Nello sport, perché qui parliamo di sport, ma anche in altri ambiti su cui glissiamo. Gli spartiacque sono momenti in cui si cambia livello, si entra in un’altra dimensione. Poi, per carità, esistono anche le meteore ma c’entrano poco col nostro discorso. Qui stiamo parlando di altro. Stiamo parlando di una preparazione lunga anni, di un progressivo miglioramento che a determinato momento ti conduce di fronte all’esame, all’ostacolo. E a quel punto sarà l’ostacolo a stabilire se sei pronto per il salto di qualità, oppure se devi tornare indietro e lavorare ancora un po’.
Lo sport sa e deve essere cinico. Nello sport, gli esempi di spartiacque sono innumerevoli. Per Carlo Ancelotti, tanto per fare un esempio vicino a noi, il suo primo spartiacque fu proprio inglese. A Manchester, Old Trafford, dove si disputò la finale di Champions tra il suo Milan e la Juventus di Marcello Lippi. Fu quella la sera in cui Ancelotti si scrollò di dosso l’etichetta di perdente. Etichetta che gli era stata affibbiata dopo due campionati conclusi al secondo posto con la Juventus, uno dei quali perso all’ultima giornata sotto la pioggia di Perugia.
Per il Napoli di Maradona, la partita spartiacque fu la vittoria per 3-1 in casa della Juventus. Fu la partita che fece comprendere alla squadra e all’Italia quanto fosse forte quel Napoli. Sono quegli ostacoli che, una volta superati, fanno scattare qualcosa nella tua mente. Dopo, nulla sarebbe più stato come prima.
Nel tennis, ad esempio, uno dei più famosi spartiacque fu la finale del Roland Garros del 1984 quando John McEnroe – in vantaggio di due set e di un break nel terzo – finì per perdere al quinto contro Ivan Lendl fin lì considerato un perdente di successo. Quel giorno, di fatto, terminò la gloriosa carriera di McEnroe, e cominciò la seconda vita dell’uomo che si toglieva il sudore dalle ciglia. Quella finale rappresenta un prima e un dopo. Superbrat non l’ha mai dimenticata, al punto che ne ha parlato anche nella sua seconda autobiografia. O, ancora, come la vittoria di Sofia Goggia nella discesa libera alle Olimpiadi.
Il momento di mostrare i miglioramenti
Un uomo di sport come Carlo Ancelotti, sa bene cosa rappresenta Liverpool-Napoli. È affascinato e incuriosito allo stesso tempo. Ed è tutto condensato nella dichiarazione di sabato in conferenza stampa al termine di Napoli-Frosinone:
Martedì arriva una partita molto importante e vedremo se tutti i miglioramenti che fin qui abbiamo riscontrato, riusciremo a mostrarli in un match di fondamentale importanza.
Perché è come quando studi come un forsennato per un esame. Arriva un momento in cui più studi e più sembra che tu non sappia nulla, che non sia in grado di incamerare altre informazioni. Finché non arriva il giorno e succede che improvvisamente, proprio nel momento più importante, tutto ti è perfettamente chiaro. È l’esame il momento in cui si giudica la tua prestazione. È l’esame il momento in cui si capisce se e quanto sei migliorato. E Ancelotti lo sa benissimo.
Oltre gli ottavi di Champions
Come abbiamo scritto qui e qui, Liverpool è una tappa fondamentale nella storia del Napoli. Del Napoli, non del Napoli di Ancelotti. Perché sembra scritto che, dopo aver giocato uno straordinario girone, il Napoli – per un motivo o per un altro – non riesca a superare l’ultimo ostacolo. Superare il girone sarebbe qualcosa di storico, per questo più che per la qualificazione agli ottavi. Che è molto importante, ma non quanto il riuscire a invertire il corso della storia.
È domani sera che il Napoli, come ha detto Ancelotti, dovrà dimostrare la bontà del cammino intrapreso in questi mesi e soprattutto in questi quattordici anni di presidenza De Laurentiis. Consapevoli che si tratta di un passaggio impervio. Il Napoli è riuscito ad attraversare un fiume che sembrava inaccessibile, ed è un risultato importante. Era impensabile fino a pochi mesi fa riuscire a giocarsi il girone con Psg e Liverpool. Ma accontentarsi vorrebbe dire rinunciare. E rinunciare vorrebbe dire non migliorarsi. Ora c’è da passare all’altra sponda del fiume. Se non dovesse avvenire, non dovremmo cadere in depressione. Ma interiorizzare il concetto che manca ancora qualcosa. Sarà il campo a dirlo. Ed è questa la bellezza dello sport. Come dice Ancelotti, «facciamo questo lavoro per vivere serate come questa» in cui ti giochi tutto, in cui devi mostrare al meglio tutto quello che hai imparato.