«Ha fatto innamorare i calciatori del Napoli del suo lavoro, non era facile riuscirci dopo Sarri. Carlo vive nella normalità, non ha ereditato la nevrosi di Sacchi».
Un amante del calcio offensivo
Paolo Condò è uno dei giornalisti sportivi più amati e prestigiosi d’Italia. Solo che ci è parso anche preoccupato, lunedì sera, appena dopo Atalanta-Napoli. Durante l’intervista con Ancelotti ai microfoni di Sky, gli ha chiesto testualmente: «Carlo, io sono un po’ spaventato. Nel primo tempo avete fatto difesa e contropiede più classico, anche perché costretti dall’Atalanta. Avete costruito tre palle gol nitide, senza subirne. Da amante del calcio d’attacco, non vorrei che ti venissero strane idee…». Allora abbiamo pensato di intervistarlo, per capire come e perché nasce la percezione del Napoli come squadra d’attacco a tutti i costi. È stato un modo per parlare di Ancelotti, della transizione con Sarri, ma anche per indagare la storia recente (e non solo) del calcio europeo.
Tutto, però, parte dalla spiegazione della domanda fatta ad Ancelotti: «Bisogna fare una premessa. Noi giornalisti sportivi non siamo altro che dei giornalisti politici che si occupano di sport. Ognuno ha una propria idea, però parla di fatti per astrarsi dalla propria passione e analizzare la realtà delle cose. Spesso si fa un po’ di confusione tra il calcio che ci piace – quello dell’Olanda anni Settanta, del Milan di Sacchi, delle squadre Guardiola, fino al Napoli di Sarri -, con il calcio che vince. Si può vincere in tantissimi modi. Quando sei in una tv nazionale, devi dare un’opinione ma anche cercare di capire il più possibile. Partendo da una mia opinione, allora, io ho chiesto ad Ancelotti di spiegare come è nato un piano-partita di questo tipo».
«Se a Bergamo il Napoli si fosse trovato in vantaggio di tre gol all’intervallo, non avrebbe rubato niente. Ha avuto tre palle gol nitide, senza concederne all’Atalanta. Volevo cercare di capire quanto fosse programmato un approccio di questo tipo, se era stata l’Atalanta a costringere il Napoli dietro, se il gioco fosse stato messo su un piano inclinato dal gol iniziale di Fabian Ruiz. La nostra percezione del Napoli che gioca un calcio offensivo nasce dall’esperienza delle scorse stagioni. Ora può vincere anche con un calcio diverso, evidentemente».
“Non ha ereditato la nevrosi di Sacchi”
Ancelotti ha un approccio diverso alla lavagna tattica. Ma anche al suo modo di lavorare con il calcio, nel calcio. Paolo Condò ne è convinto, e porta un esempio recente: «Al Festival dello Sport a Trento, Sacchi dice ad Ancelotti con tono di affettuoso rimprovero: “Tu non sei un maniaco come Guardiola“. In effetti è tutto qui, Ancelotti nasce come un allievo prediletto di Arrigo ma non ne eredita la nevrosi».
«A quell’incontro c’era un altro allenatore nevrotico, Pep Guardiola. Lui e Sacchi hanno un fuoco che brucia dentro, c’è un episodio nel libro “Herr Pep” che spiega come l’attuale allenatore del Manchester City intenda il lavoro e la vita: Garry Kasparov racconta a Guardiola che un nuovo grande scacchista, il giovanissimo Magnus Carlsen, sarebbe stato imbattibile per lui, perché aveva troppa più energia. Nel libro c’è scritto che Guardiola non riuscì a prendere sonno dopo questa rivelazione, io sono convinto che lui – come Sacchi – avrebbe analizzato un milione di partite di scacchi pur di cercare di battere l’avversario più difficile che c’è: il tempo».
Ancelotti opera in un altro modo: «Carlo riporta tutto alla normalità – spiega Condò -. I fantastici risultati che ha avuto sono arrivati senza questa enorme mole di pressione. Con questo non voglio dire che non lavori o lavori meno sul campo, anzi, proprio a Napoli Carlo ha riscoperto il suo amore per il mestiere di allenatore. Nelle sue ultime esperienze vincenti, ha gestito i migliori allenatori del mondo. Per questo passava più come un direttore del personale che come un tecnico. A Napoli non ha la squadra più forte, deve metterci del suo. Questo è meraviglioso, si vede che suscita in lui una grande emozione».
«È come innamorarsi di nuovo dopo i cinquant’anni, io ho vissuto la stessa sensazione arrivando a lavorare a Sky dopo tanti anni in Gazzetta. Provi di nuovo l’adrenalina di dover dimostrare tutto, Carlo si è appassionato a Napoli perché la città è una delle meraviglie del creato. Ma anche perché ritrovi tutta una serie di situazioni lavorative che magari poteva dare per scontate. Solo che lo sta facendo sempre a modo suo, con il suo stile, il suo approccio. Questa è la sua forza».
“Mi ricorda l’arrivo di Capello al Milan”
Non può sfuggire, a Paolo Condò come a tutti noi, come il Napoli arrivi da un’esperienza particolare con Sarri. Un tecnico che dal punto di vista emotivo è molto più vicino a Sacchi e Guardiola rispetto ad Ancelotti. La transizione al nuovo corso rappresenta una parte importante del racconto: «Io credo che questo modo di intendere il calcio e la vita rappresentino l’aspetto più sorprendente, più notevole nel passaggio da Sarri ad Ancelotti. Il Napoli degli ultimi tre anni dava l’impressione di essere nel film “L’attimo fuggente”, quando la classe si innamora di un nuovo docente, il professor Keating (interpretato da Robin Williams) quando pensava di aver già appreso tutto».
«Il calcio di Sarri – continua Condò – è stato questo, un insegnamento divertente, così come la retorica rivoluzionaria che l’accompagna. C’è anche una questione di contrapposizione con la Juventus, estremizzata nel ruolo dell’avversario utilitarista – una versione esagerata, anche i bianconeri hanno giocato grandi partite. Da questo punto di vista, io avevo un dubbio con l’arrivo di Ancelotti: come altri pecoroni del giornalismo, ho pensato che il Napoli potesse avere dei problemi con il passaggio ad un allenatore tanto diverso. Non era un giudizio tecnico sulla rosa, che resta di grande qualità, piuttosto sul fatto che i giocatori potessero sentirsi come degli innamorati traditi».
Non è andata così: «Invece avevamo dimenticato come Ancelotti potesse bypassare questo problema intervenendo con il suo carisma, con la sua cura nei rapporti umani. Invece la squadra ha voltato pagina molto rapidamente, si è innamorata subito del nuovo metodo di lavoro. È un fattore che non avevo e non avevamo considerato. Ancelotti ha stimolato la curiosità dei suoi calciatori, innanzitutto dal punto di vista emotivo».
«In questo senso, il suo arrivo mi ricorda molto quello di Capello al Milan nel post-Sacchi, quando Fabio si presentò come un liberatore delle menti per degli uomini che sembravano stanchi del loro allenatore. Il Napoli non mi dava la sensazione di essere stanca di Sarri, eppure Ancelotti ha saputo sedurlo con la forza della normalità. Sarri, esattamente come Mazzarri, ha vissuto l’esperienza a Napoli come un monaco guerriero; quando l’ho intervistato, siamo andati in un ristorante che frequentava abitualmente, non voleva uscire dalla sua fortezza vicino a Castel Volturno. Ancelotti è arrivato ed è andato in pizzeria col suo staff».
Il libero arbitrio in campo
Una controrivolta della semplificazione che ha avuto un impatto anche sulla gestione puramente tecnica della squadra. Condò individua alcune chiavi: «Io vedo il Napoli di Ancelotti ma rivedo anche parte del Napoli di Sarri. C’è stato un ampliamento delle possibilità tattiche e della rosa, dato da un abbandono del gioco codificato-per-forza. Per Sarri, ogni azione corrisponde a una reazione, secondo un’idea meccanica del gioco. Con Ancelotti, invece, il libero arbitrio non è il fondamento – come succede nel calcio di Allegri -, ma è concesso. Inoltre il turn over è gestito in maniera diversa, ci sono i titolarissimi ma gli altri elementi della rosa hanno l’occasione di giocare in certe partite. Io aspetto il ritorno di Ghoulam e Verdi per capire come Ancelotti gestirà una rosa ricca di alternative».
«Anche questi cambiamenti sono basati sulla volontà di dare nuove motivazioni all’ambiente. Quando sento Insigne che dice “avrei dovuto incontrare prima Ancelotti”, non faccio fatica a credergli. È cresciuto tanto dal punto di vista tecnico e tattico, e per me questo è un segnale importante, perché Lorenzo era migliorato molto anche con Sarri».
L’Europa, il campionato: «In questo momento, c’è da registrare un passo indietro in campionato. Il Napoli ha sei punti in meno rispetto all’anno scorso, però ora potrebbe portarsi a -3 perché alla quindicesima giornata dell’ultimo campionato ci fu lo scontro diretto con la Juventus. La vera rivoluzione è avvenuta in Europa, il Napoli ha fatto immensamente meglio, e lo dico anche senza avere la certificazione del risultato definitivo. Gli azzurri hanno dominato il Liverpool in casa e il Psg in trasferta».
«Se dovesse andar male ad Anfield, il Napoli sarebbe automaticamente in pole per l’Europa League. Quest’anno non verrebbe snobbata. È una cosa che non ho perdonato a Sarri: la partita col Lipsia dello scorso anno è stata affrontata mandando dei segnali chiari, per cui poteva essere considerata come una partita di Serie B. Per un europeista convinto come me, è stato un peccato enorme, poi si è ravveduto in Germania ma era troppo tardi».
I giocatori
Oltre Insigne, anche Hamsik e Koulibaly sono nomi importanti nel progetto di Ancelotti: «Marek – spiega Condò – era già sull’aereo per la Cina. Poi De Laurentiis ha fatto la faccia feroce, però l’esperienza insegna come il giocatore che decide di lasciare, alla fine va via. Per me Ancelotti lo ha convinto a rimanere prospettandogli la possibilità di un nuovo ruolo. Hamsik non sarà mai Jorginho, ha altre qualità. E allora Ancelotti ha cambiato il calcio della squadra».
«Anche per Koulibaly credo ci sia l’influenza di Carlo, solo che però il fatto che sia rimasto a Napoli va messo in conto a De Laurentiis. Il miglior difensore del mondo resta a Napoli con somma soddisfazione, e questo è un merito enorme della società. Fabio Capello mi ha raccontato come Mourinho si sia lamentato del Manchester United: voleva prendere Koulibaly o Skriniar, ma il club non ci è riuscito. Il calcio italiano prima vendeva i suoi campioni ad occhi chiusi, appena poteva. Oggi le cose stanno cambiando».