Il City di Pep va a picco col Crystal Palace, il tecnico del Napoli boccia il possesso fine a se stesso e l’anti-estetico croato decide un’altra partita per Allegri
La crisi delle ideologie
La cosiddetta crisi delle ideologie ha spinto tante persone alla ricerca di nuovi dogmi, di nuove chiese dove recitare il proprio credo. È successo in tanti campi della vita. È successo anche nel calcio. Raniero Virgilio ne ha scritto recentemente. È la più importante novità degli ultimi anni. Soprattutto nei gggiovani; oggi però – purtroppo – manca un Nanni Moretti in grado di creare un altro “Ecce bombo”. Che Guevara non sempre riesce a esercitare lo stesso fascino, alcuni lo considerano ormai demodé; ci si potrebbe buttare: alcuni lo fanno, altri no. Ed ecco che nel calcio ha preso piede una nuova forma di religione che per brevità possiamo definire guardiolismo. Guardiola ne è certamente il messia di riferimento, ma se possibile è una concezione che va al di là dello stesso Pep.
È fondamentalmente una setta, una cerchia di autoproclamitisi (dettaglio tutt’altro che irrilevante) iniziati. Ti guardano col sopracciò, di tanto in tanto respirano il nostro ossigeno ma poi si immergono nel loro universo fatto di frecce direzionali che coprono un campo di calcio, vivisezionano il football con numeri che a loro dire sono fondamentali: pass accuracy, percentuale possesso palla e altre amenità del genere. Definiscono Mourinho un superato e Allegri provoca loro l’orticaria. A tanti, non a tutti, crescono le bolle alla vista persino di Ancelotti.
A Trento, nell’incontro organizzato dalla Gazzetta, Arrigo Sacchi centrò il punto quando di fatto bollò come pigro o – peggio – come traditore Carlo Ancelotti reo di non perdere il sonno alla ricerca della perfezione. A differenza dell’Arrigo e dello stesso Guardiola. Ancelotti colui il quale nel primo discorso tenuto ai calciatori del Napoli ripetè la frase che prima o poi potrebbe prendere il posto di quella di Kolarov in esergo al Napolista: «Nel calcio sono due le statistiche che contano: i gol fatti e i gol subiti». Anatema. Satana. Il Male.
Carletto e il possesso palla
Ieri Carletto ne ha detta un’altra. «Questa squadra fa un possesso ben fatto, che va finalizzato. Non può essere un possesso fine a sé stesso». Bum. Dovrebbe chiedere la scorta il buon Ancelotti, le brigate guardioliste potrebbe ipotizzare un raid. Qualche settimana fa, i seguaci di Sarri si offesero quando facemmo notare che il suo Chelsea superò il City 1) perché cambiò modo di giocare, segnò il primo gol di rimessa (checché ne dicano i guardiolisti, ma i guardiolisti negano sempre la realtà, non bisogna mai dimenticarlo); 2) perché il City emulò Icaro, volevano entrare col pallone in porta, eliminarono un fondamentale del calcio – il tiro in porta – e persero. La conversione al pragmatismo per loro è un’onta da lavare con il sangue.
Due settimane dopo, entrambi gli allenatori sono lì a leccarsi le ferite: Guardiola col suo City battuto in casa nientemeno che da Hodgson: una giornata di lutto, la Caporetto del guardiolismo; e Sarri sconfitto in casa dal Leicester di Vardy che con un’azione in verticale ha bucato la difesa e segnato uno di quei gol che un tempo sarebbero stati definiti belli.
Ricordiamo, en passant, che sull’eliminazione del tiro in porta da parte delle squadre di Guardiola ebbe da ridire al Bayern Monaco anche un certo Franz Beckenbauer, un paria del calcio.
Il croato più decisivo di CR7
Ma il colpo più duro inferto ai nuovi ideologi del pallone, a coloro i quali hanno espunto il sudore e il minimalismo dal gioco del calcio, è arrivato dallo Juventus Stadium. Dove Massimiliano Allegri – Satana – ha vinto la sua sedicesima partita su diciassette. E lo ha fatto grazie al gol di un attaccante che mai e poi mai potrebbe giocare nel calcio ideale di chi la sa lunga: Mario Mandzukic. Un attaccante come purtroppo non ne vengono fuori più. Una “bestia”, nel senso buono del termine. Uno di quelli che incarna il calcio quello vero, non quello sulle lavagne. Non a caso è stato Allegri – uno che di calcio evidentemente qualcosina sa – a volerlo alla Juventus. E il croato ha fatto di tutto, ha ricoperto ogni ruolo. Si è smazzato sulla fascia, ha svolto il lavoro difensivo. E mentre ha atteso pazientemente il suo momento, ha anche trovato il modo di piazzare un gol fantastico nella finale di Champions di Cardiff: unico dei suoi a giocarla senza tremarella.
La Juventus ha battuto la Roma 1-0 con gol di Manduzkic. Così come aveva battuto l’Inter 1-‘ con gol di Mandzukic. E, ancora, il Milan 2-0 con primo gol di Mandzukic. Il Napoli 3-1 con doppietta di Mandzukic che ribalta la rete iniziale di Mertens. Il 2-0 alla Lazio lo segna Mandzukic. Gol inutile quasi non ne segna, giusto quello del 2-0 alla Spal, gli sarà scappato. È nettamente più decisivo di Cristiano Ronaldo. È l’emblema del calcio come dovrebbe essere. E come era, prima della sua trasformazione in un esame di analisi matematica. Nell’attesa che anche questa moda temporanea vada a sbattere contro gli scogli, noi ci deliziamo guardando la vita di Gaetano Scirea raccontata da Federico Buffa. Un grande del calcio, ben prima dell’avvento degli scientisti del pallone.