Una sera mi spiegò come diventò portiere. Domani disdico Dazn, ha ritardi da funicolari, si inceppa regolarmente: è una presa in giro
Falli da dietro – Commento alla 16esima giornata
Passata è la tempesta.
La settimana più nera delle italiane in Europa è passata.
Si torna a casa.
Presi a botte in Svizzera da una squadretta che ha nome “I ragazzini”, gli ergastolani rientrano in Italia per il Derby e la sfangano alla solita maniera.
Giocando di palta.
E con una cometa di polemiche che manco la stella di Betlemme.
Il Gallo è chiaramente spostato in area da Matuidi al momento d’incornare.
Era rigore?
Zaza viene letteralmente preso e sbattuto a terra a due mani in area da Alex.
Era rigore?
Serve ancora parlare di Var acceso o spento a comando?
Insomma ergastolani inarrestabili o da arrestare?
Ma fate un po’ come vi pare.
Io non ho visto una mazza.
Quella robaccia regolarmente s’inceppa. Manda immagini sfocate. Con ritardi da funicolari. È l’ultima presa in giro. Domani disdico.
Una cosa però di quella partita l’ho vista. Molto divertente.
Pjanic assesta in sequenza con infantile ossessione due calcioni sugli stinchi del Gallo e poi si butta a terra.
Fallo a favore ergastolano.
La Roma
Rientrano con le ossa rotte anche gli scalcagnati Sangue-oro nientemeno che da Pilsen la cui squadretta locale potrebbe vedersela a pari peso col Sicula Leonzio.
Non con la Juve Stabia di Fabio Caserta, che è più tosta.
Ieri il Vibo ha segnato al 94° e le vespe non si sono scoraggiate.
Testa in giù e muscoli.
Pareggio all’ultimo secondo di Carlini.
Dicevo dei Sangue-oro scalcagnati.
All’Olimpico i grifagni grifoni di Prandelli fanno sul serio. Due volte avanti.
Due volte riacciuffati. Poi Cristante, in crescita, sigla il vantaggio.
Ma allo scadere Florenzi sposta chiaramente con due mani Pandev.
Era rigore?
Il dissenso è affidato come al solito ai mister.
A Torino all’affaticata Mazzarra.
A Roma alle bestemmie di Prandelli.
Tacciono le società danneggiate. E se protestano, è una protesta d’ufficio.
Tutto secondo un copione noto. Tutto come se ci fosse un accordo segreto.
Domani il Var continuerà a fare quello che ha sempre fatto.
Cioè a compensare chi “deve” essere compensato.
Inter e Napoli
Dopo il suicidio europeo contro i materassi del PSV, i Suninter cercano una complicata rinascita contro i friulani grazie a un cucchiaio di Wandicardi e l’insediamento di Marotta.
L’uscita dall’Europa che conta, fa male molto all’Agnolotto, che ci credeva.
E consolarsi considerando la statura di chi l’ha fatto fuori, serve a poco.
Mischia le carte al Sardegna Arena Re Carlo.
E il pensiero va all’immagine indimenticabile di De Sica che mischia e canticchia preoccupato.
Simulando disinvoltura dinanzi a Gennarino il figlio del guardaportone in quel memorabile film.
È un Napoli disordinato. Pasticcione. Confusionario.
C’è da soffrire perché i sardi sono tosti e in casa non molla un colpo.
E per fortuna Faragò non è Salah. E Faustino d’Algeria non è il Barilotto lusitano.
È un Napoli che però ci mette grinta e determinazione.
E sfiora quattro volte il gol.
Poi allo scadere, il sette oro capiterà ancora una volta a lui.
Ad Arcadio l’Armadio di Cristallo.
Come a Bergamo. Come ad Anfield.
Deve farsi perdonare quella conclusione non lucida che qualcuno gli rimprovera con eccessiva severità.
E lui va sull’ultimo pallone.
È il 97°. Ci vuole sangue freddo. Ci vuole convinzione nei propri mezzi. Ci vuole mentalità da campioni.
Lui guarda la porta. Tira due volte il fiato.
E poi piazza di interno la sberla tesa che scavalca la barriera e va a insaccarsi alla sinistra di Cragno.
Liverpool è alle spalle. La Juve aspetti ancora un po’ a festeggiare il titolo d’Inverno.
Felice Pulici
Felice Pulici era un signore d’altri tempi. Gentile, ironico, sorridente, colto.
Nato povero, si laureò in Giurisprudenza, specializzandosi in Diritto dello sport.
Amava Sant’Agostino ed era affascinato dalla lingua dei segni, il mondo dei Sordi a cui dedicò molta passione e molto tempo.
Veniva spesso alle prove dello spettacolo su Tommaso Maestrelli che Giorgio Serafini scrisse e che io interpretai. Un’esperienza per me indimenticabile.
Una sera a cena gli chiesi perché avesse scelto di fare il portiere.
E lui rispose: “A me piaceva giocare a pallone e non mi stancavo mai. I miei compagni dopo un po’ se ne andavano.
E io rimanevo da solo col pallone in mano.
E così cominciai a giocarci lanciandolo contro il muro e riprendendolo al volo.
Per ore. Mi piacque.
E diventai un portiere”.