Una riflessione sulla forza e sui limiti mentali di Gonzalo Higuain, grande centravanti che a volte – ma solo a volte – ha saputo mostrare doti da fuoriclasse.
Su e giù
La carriera di Gonzalo Higuain è un continuo saliscendi, un infinito giro sulle montagne russe. È stato come se ogni picco di grandezza fosse il prologo a un crollo, inevitabile e quindi quasi atteso, a un certo punto.
Ora viviamo una fase di down. Una lunga fase di down, che inizia con Juventus-Real Madrid dello scorso anno e si interrompe solo per un attimo, per il gol-scudetto a Milano con l’Inter. Il resto è discesa, sempre più ripida, sempre più triste. Anche se il sospetto vero, alla fine, è che Gonzalo sia un ottimo calciatore che sa trasformarsi temporaneamente in fuoriclasse, non un fuoriclasse discontinuo. È una differenza sottile, ma sostanziale. E nasce soprattutto dalla testa, dalla tenuta mentale di un ragazzo che non riesce a gestire bene le proprio – immense – potenzialità tecniche.
Gonzalo fuoriclasse?
Noi abbiamo visto, incontrato, toccato con mano il miglior Higuain. Sappiamo ciò che Gonzalo può essere, conosciamo le migliori espressioni del suo gioco. Tre stagioni di grande livello, tutte condensate nella splendida cavalcata verso il record di reti in Serie A. Nel racconto dell’annata 2015/2016 c’è tutto quello che deve esserci: Gonzalo che si esalta perché sta bene dal punto di vista fisico e mentale, Gonzalo che viene messo al centro di un progetto tattico ed è intoccabile, stella unica e che non si può oscurare, tutti e tutto folli ruotano intorno, allenatori, compagni, tifosi, è un infinito coro di osanna per la scoperta del fuoriclasse. O meglio: di un gran calciatore che ha trovato il contesto migliore del contesto perché potesse esprimersi come un fuoriclasse.
Ma c’è anche il dark side, c’è la sceneggiata di Udine a tempo quasi scaduto, c’è il crollo mentale di chi non resiste alla pressione di essere ai massimi livelli, come nella finale di Copa America o al Mondiale con l’Argentina, come gli succederà dopo, a Cardiff con la Juve. La differenza tra “un” Benzema, “un” Ronaldo e “un” Higuain è questa distanza prestazionale e mentale negli attimi che determinano le cose. Abbiamo visto e vissuto anche questo aspetto di Gonzalo, a Napoli: remember Dnipro e/o Napoli-Lazio, remember Juventus-Napoli a febbraio 2016.
Certo, Higuain ha realizzato anche gol importanti: proprio contro il Napoli durante la sua esperienza alla Juve, contro il Tottenham o il Monaco nei suoi due anni bianconeri. E tanti, tanti, tanti altri. Ma gli errori, certi errori, finiscono per pesare molto di più. Finiscono per orientare, anzi per determinare, il giudizio sulla carriera, sulla consistenza del calciatore.
Gonzalo insicuro?
Oggi Higuain vive un periodo nero. È come se le sue insicurezze fossero ingigantite dalle insicurezze del contesto intorno a lui. È la risposta a una pressione che lui sente elevata, viene da dire che la questione è sempre la stessa, più o meno. Il Milan di Gattuso è una squadra con dei problemi, e Higuain non riesce a risolverli da solo. Non sta andando differentemente rispetto ad altre esperienze nella carriera e nella vita di Gonzalo. Le inquietudini del contesto vengono riversate dall’attaccante argentino sui compagni, che a loro volta sono insofferenti rispetto a questo atteggiamento. A volte, anche a Napoli è sembrata andare così.
Dopo il suo addio, la squadra di Sarri ha trovato una quadratura diversa, forse anche migliore. Soprattutto dal punto di vista emotivo. È la dimostrazione di come un grande giocatore si sia palesato come un fuoriclasse perché era la squadra in cui giocava a renderlo tale. Certo, l’influenza era reciproca, ma il Napoli ha fatto vedere (sta facendo vedere) che i 36 gol di Higuain sono stati un caso benedetto dalla sorte e che nasce da alcune condizioni. Gli 82 punti del 2016 sono diventati 86 nel 2017 (con ottavi di Champions) e 91 nel 2018. Oggi sono 90 in proiezione, con una Champions giocata come sappiamo e Arek Milik con una media gol superiore a quella di Cristiano Ronaldo. Quel Cristiano Ronaldo che l’ha defenestrato dalla Juventus, quantomeno per ragioni puramente economiche.
A 31 anni, Higuain è una lezione su tante cose. Sul calciomercato, innanzitutto, inteso come febbre dell’ipervalutazione economica e giornalistica rispetto alle doti di un giocatore. Ma c’è anche un’altra lezione, di sport e di vita: la condizione mentale e del momento può fare la differenza, anzi fa la differenza come e più che il puro talento calcistico. Se Higuain avesse avuto un profilo psicologico meno volubile, forse avrebbe giocato allo stesso livello della stagione 2015/2016 lungo tutto l’arco della sua carriera. E il Real Madrid non l’avrebbe ceduto al Napoli; e la Juventus non l’avrebbe ceduto al Milan. Il suo saliscendi non è altro che la rappresentazione della sua realtà, delle sue capacità. Il resto è letteratura, se non critica strumentale.