Lei ripete la pappardella del brutto calcio di Simeone e don Fabio le impartisce una lezione di calcio: «Questa è una grande squadra, basta tiqui taca»
Il momento clou della serata
Giustamente Dagospia ci apre (e riprende anche il nostro resoconto della lunare telecronaca di Massimo Marianella al fianco di un Del Piero invece competente e obiettivo). È il momento clou della serata. La Juve è stata asfaltata dall’Atletico Madrid. In studio a Sky commentano. Ci sono Ilaria D’Amico (rigorosamente in bianconero), Paolo Condò, don Fabio Capello, Andre Pirlo, il pentito Costacurta. Della sofferenza fisica di Massimo Marianella vi abbiamo relazionato ieri.
Capello è giustamente in orgasmo dopo aver visto giocare l’Atletico Madrid. Incautamente Ilaria D’Amico si affida al mainstream del nostro calcio, secondo cui l’Atletico Madrid gioca un brutto calcio, gioca male. E ha l’ardire di dirlo: «La cosa brutta è che rispetto alle altre squadre spagnole all’Atletico Madrid non gliene frega niente di giocare male, di giocare un brutto calcio».
Capello perde la pazienza: «Non è vero, ma perché?» e qui il suo perché ricorda quello di Socci con la Melandri. Si sente anche Pirlo che prova a dire: «Non gioca male». Ma la scena è tutta di don Fabio. Anche Condò prova a rasserenare gli animi e ricorda la differenza tra il primo Atletico di Simeone e questo. Ma Capello è ormai partito. Il sangue gli ribolle, si agita sulla sedia.
«Sono bravi. Non perdono mai la palla. Nello stretto. Quando li vai a pressare, vengono fuori. È una grande squadra questa. Non si ottengono i risultati che ha ottenuto, se non hai giocatori e se non hai oltretutto carattere, forza e tutto quello che vuoi».
Ilaria non capisce che è il momento di battere in ritirata e prova a tenere il punto: «È un vantaggio quando non devi giocare un calcio super brillante».
Capello allora riprende la parola. Prova a usare toni più morbidi: «Non sono d’accordo con questo che dici. Con tre passaggi va in porta. Vuoi sempre quelli che vanno ticche ticche ticche, il tiqui taca? Non è più il tiqui taca»