In un anno e mezzo ha portati i laziali al secondo posto in A2: «È importante sia vincere sia avere una identità di squadra condivisa»
NPC Rieti
Dietro al miracolo sportivo della NPC Rieti c’è un napoletano: Alessandro Rossi, 36 anni, è il coach della provvidenza che in un anno e mezzo ha portato la squadra laziale al secondo posto in classifica del campionato di Serie A2 di pallacanestro. Serio, faccia da bravo ragazzo, maniaco del dettaglio, coach Rossi è un ragazzo semplice che ha nella umiltà la sua forza. Ha battuto nel derby la forte Virtus Roma, e ora i rietini sognano nelle braccia di un partenopeo.
Partiamo da lontano, da quando ti fu affidata la prima squadra dopo l’esonero di coach Nunzi. Proiettato dalle giovanili alla Serie A, in condizioni di classifica preoccupanti. Cosa hai pensato immediatamente? E chi lo hai comunicato per prima?
«La prima emozione è stata una normale e legittima paura. Non ho dormito per un’intera notte e ne ho parlato prevalentemente con la mia famiglia. Pur ascoltando qualsiasi consiglio mi arrivasse, ho deciso che di fronte a quella opportunità avrei dovuto mettermi in gioco, rischiando anche moltissimo a livello personale e professionale. Sappiamo tutti quanto possa incidere negativamente la “prima esperienza” per un allenatore giovane. Fortunatamente la prima stagione è stata tutto sommato soddisfacente e si sono creati i presupposti per continuare quest’anno. In questo senso devo ringraziare la società NPC Rieti che, assumendosi a sua volta un rischio, ha creduto di potermi affidare la guida tecnica della squadra”.
Il gioco o i risultati?
Alessandro davanti ad un calice di vino cosa direbbe: Meglio vincere in qualsiasi modo, o cercare anche di lasciare il segno con il gioco, un marchio di fabbrica, una identità precisa? E da sobrio?
«Credo (da sobrio!) che le due cose debbano camminare di pari passo. I risultati sono importanti è vero. Vincere è importante ma credo che per farlo a lungo termine si debba avere un’identità di squadra condivisa tra giocatori, staff e società. È un percorso lunghissimo che richiede innanzitutto delle persone sensibili rispetto alle ambizioni condivise da un progetto. Prima le persone insomma, poi il resto».
Altra valutazione è cosa si intende per “vincere”. Ogni club ha caratteristiche, identità ed obiettivi diversi, e molto spesso finiscono nel dimenticatoio delle grandi “vittorie” (non parlo di campionati) raggiunte dalle squadre cosiddette “piccole”.
«Ma davanti ad un calice di vino credo che a volte (ma solo a volte) faccia meglio alla squadra una partita vinta in un qualunque modo che una persa “bene”. Può aiutare l’autostima dei giocatori, ma il ruolo dell’allenatore è anche quello di non nascondere la polvere sotto al tappeto quando si vince».
Napoli ed il Napoli. Sei tifosissimo. Come valuti il lavoro di Ancelotti? E da coach come gestiresti un gruppo a quindici punti di distanza dall’obiettivo scudetto?
«Onestamente trovo che gestire un gruppo molto più numeroso, eterogeneo e “problematico” come una squadra di calcio rappresenti una difficoltà notevole per un allenatore. Da appassionato e non da tecnico, trovo delle differenze enormi di gestione e di approccio tra Ancelotti e Sarri, Mi entusiasma cercare di capire i due metodi. Entrambi con una propria forte identità, capaci di lasciare il segno in modo completamente opposto. Cerco di prendere spunti interessanti da qualunque sport, qualunque allenatore o giocatore. Spesso le risposte che cerchiamo noi allenatori non sono sempre nella lettura di un “blocco cieco” , ma in aspetti molto più semplici e parlo di relazioni umane applicate allo sport. Ancelotti in questo senso è fantastico. Ascoltandolo, si percepisce il suo carisma e la totale serenità nell’affrontare il suo lavoro. Sempre lucido e mai banale. Anzi se qualcuno un giorno potesse farmelo conoscere gliene sarei molto grato».
Il basket a Napoli
La pallacanestro a Napoli sta vivendo un periodo nero (fatta eccezione per la prima squadra) Poche strutture, caos federale, e squadre giovanili che fanno fatica a stare al passo al resto d’Italia. Che idea ti sei fatto?
«Manco cestisticamente da Napoli dal 2013. Sono in costante contatto con tantissimi amici e colleghi sul territorio. Trovo che alcune delle problematiche di cui parli siano comparabili a quelle di altri territori, certamente con l’aggravante della grande città e la sua enorme burocrazia. Nello specifico e con massima umiltà, credo che a Napoli ci siano competenze ed un importante bacino per rilanciarsi. Scuola, strutture e nuovi allenatori da formare sono sempre le fondamenta da cui partire. Ma fino a che lo sport non sarà considerato parte integrante della formazione dell’individuo, e fino a che non si comprenderanno le potenzialità che apre investire nel nostro settore, si continuerà a fare fatica. E purtroppo fino a che saremo imbrigliati in una rete burocratica da cui è complicato uscire, le difficoltà resteranno tali».
Più che un problema del nostro territorio direi che si tratta di un problema italiano, principalmente culturale.
«In assenza di enormi risorse economiche, qualsiasi progetto cestistico che miri a consolidarsi nel tempo non può fare a meno del settore giovanile e di strutture certe».
Un quadro, una canzone ed un libro per sintetizzare Alessandro Rossi.
«La Gioconda vista dal vivo è insuperabile, Don’t stop me now (Queen), da leggere amo i libri su determinati periodi o personaggi storici».