L’affondo sulle manutenzioni: lo Stato le ha demandate a Spea, controllata da Autostrade, cioè dal suo maggiore cliente
In un lungo articolo a firma di David Segal e Gaia Pianigiani, nei giorni scorsi il New York Times si è soffermato sull’ascesa dei Benetton (“la famiglia italiana famosa per i maglioni di lana e un impero mondiale dell’abbigliamento”) dal settore tessile fino alla convenzione che ha fruttato ad Autostrade la gestione della rete stradale.
L’impero dei Benetton si è espanso grazie ai rapporti politici consolidati e il caso Autostrade, secondo il quotidiano statunitense, rappresenta quello che i critici definiscono “un profondo fallimento sistemico del mood in cui l’Italia ha privatizzato le sue strade”. La società concessionaria ha raccolto enormi profitti e acquisito così tanto potere che lo Stato è diventato “un regolatore ampiamente passivo”.
La costruzione di un impero politico
Fino agli anni ’90, la famiglia ha goduto di una buona reputazione, era considerata un esempio di energia imprenditoriale fresca. Poi i Benetton iniziarono a dover contrastare i rivenditori a basso costo come Zara e allora cercarono di diversificare le attività, mirando a flussi di reddito più stabili: il “monopolio naturale” delle strade a pedaggio sembrò loro la strada ideale.
Fu l’inizio della loro vera fortuna: “Sebbene ancora legati, nell’immaginario collettivo, al girocollo in cachemire e ai pantaloni in velluto, oggi solo il 5% del portafoglio da 14 miliardi di dollari dei Benetton proviene dai tessuti”. Il 50% viene dalle infrastrutture.
Il cambio di rotta della famiglia capitò in un momento perfetto: l’Italia stava uscendo a fatica da un fallimento e aveva bisogno di soldi per ridurre il debito e scambiare la lira con l’euro: era disposta a concludere qualsiasi accordo, anche “a condizioni molto generose”.
I Benetton approfittarono della debolezza del Mit
I Benetton “conoscevano il sistema” e capirono che il Ministero, che avrebbe dovuto supervisionare sulla questione autostradale, era in posizione di debolezza: “perennemente sotto-finanziato e con un organico ridotto”.
E così, nonostante il governo di centrosinistra, nel 2006, abbia tentato di frenare l’ascesa di Autostrade, i Benetton guadagnarono, con Berlusconi, la possibilità di aumentare il pedaggio ogni anno, fino alla fine del contratto. Anche se dalla nuova disposizione furono favoriti tutti gli operatori di pedaggio italiani, “Autostrade è stata quella che ne ha beneficiato di più”. Non a caso la legge fu etichettata come ‘Salva Benetton’”.
Del resto, della convenzione non beneficiò solo la famiglia ma anche il Tesoro: “Autostrade ha versato miliardi di euro nelle casse dello Stato, pagando circa 600 milioni di euro ogni anno per tasse societarie, V.A.T. e costi di licenza”.
Il ruolo di Spea Engineering
Anche il sistema di ispezioni previsto nella convenzione è inusuale, scrive il NYT. Gli altri Paesi chiedono maggiore supervisione dei ponti e delle strade privatizzati rispetto a quanto avviene in Italia.
Qui da noi, in fatto di ispezioni, “Autostrade di fatto regola se stessa”, perché la società responsabile dei controlli di sicurezza, la Spea Engineering, anche se formalmente indipendente, è di proprietà di Autostrade, che la controlla e che è anche suo principale cliente.
Non solo: gli uffici di Spea, a Roma e altrove, sono ospitati proprio all’interno di Autostrade e Giulio Rambelli, ex ingegnere progettista di ponti per Spea, ha dichiarato che Autostrade approva “persino le promozioni all’interno di Spea” esercitando, di fatto, un controllo assoluto su di essa.
Raramente il Mit ha effettuato proprie ispezioni sulle strade gestite da Autostrade, si è piuttosto “limitato ad esaminare i documenti forniti da Spea”.
Il crollo ha minato la reputazione dei Benetton
La tragedia del 14 agosto, scrive anche il quotidiano statunitense, ha distrutto l’immagine pubblica dei Benetton.
Gli italiani ancora aspettano dichiarazioni da parte della famiglia (nessuno dei cui membri è sotto inchiesta): ci sono voluti due giorni di silenzio prima che venisse rilasciata una dichiarazione a proposito delle vittime ed è arrivata tramite Edizione, la holding di famiglia.
Nell’ultima intervista rilasciata prima di morire, a fine ottobre, Gilberto Benetton spiegò che “il silenzio era un segno di rispetto”, ma questo ha suscitato indignazione ed “ha segnato una brusca rottura con la reputazione dei Benetton”.
FOTO NEW YORK TIMES