Intervista al preparatore atletico degli azzurri Francesco Mauri (e al suo staff) e viaggio nel Grande Fratello dei muscoli, a Castel Volturno. «Grazie a software e algoritmi sappiamo tutto dei calciatori. A Madrid Ronaldo mi disse: “troppa acqua uccide le piante” e aveva ragione. I pesi danneggiano. Il Napoli non cala mai, nemmeno a Salisburgo».
“Troppa acqua uccide le piante”
Immaginate un grande pannello che riproduca in tempo reale il traffico autostradale. Oppure uno di quelli utilizzati per le previsioni del tempo. Ebbene a Castel Volturno è come se ce ne fosse uno così, in grado di riportare praticamente H24 lo stato dei muscoli e la condizione atletica dei calciatori. Una sorta di Grande Fratello. Che ha come obiettivo il benessere degli atleti e il continuo miglioramento delle prestazioni del Napoli.
In cabina di regia, a guidare le operazioni, ci sono tre professionisti che la retorica italiana definirebbe giovani. Perché hanno trent’anni e in Italia a trent’anni si è giovani. In realtà si tratta di competenze, di “cervelli” che si sono formati all’estero, che lavorano da anni e che Ancelotti ha voluto accanto a sé nell’avventura napoletana.
A guidarli c’è Francesco Mauri, 31 anni, figlio d’arte (il papà, Giovanni, è lo storico preparatore atletico di Ancelotti). Ha già lavorato con Psg, Real Madrid e Bayern Monaco. Non proprio pizze e fichi. A lui un giorno, in una seduta di allenamento piuttosto dura, Cristiano Ronaldo rivolse la frase diventata nota tra gli addetti ai lavori: “Troppa acqua uccide le piante”.
“A lavorare, andate a lavorare”
«E aveva ragione», commenta oggi Mauri seguace del cosiddetto metodo d’allenamento integrato, quello in cui «anche la parte atletica viene svolta col pallone. È importante avere competenze sia atletiche sia tattiche per adattare gli obiettivi fisici alla seduta di lavoro». Un lavoro che consiste nel trovare esercizi che siano stimolanti per i calciatori e al tempo stesso raggiungano gli obiettivi atletici prefissati. Obiettivi che vengono stabiliti grazie a software sempre più precisi e sofisticati che consentono di conoscere sempre più delle condizioni dei calciatori, delle loro prestazioni e quindi anche delle loro carenze.
Un metodo, quello integrato, che i non competenti – come li o ci definisce Mauri – considerano blandi. Non allenanti, per utilizzare una terminologia in voga. «È difficile far comprendere che l’aspetto più importante è lavorare bene, non lavorare tanto. È la qualità del lavoro che fa la differenza. Il volume di lavoro è inversamente proporzionale alla qualità dello stesso».
«È un problema soprattutto italiano, ma non solo italiano. In Francia hanno destato grande scalpore i tre giorni di riposo di cui ha usufruito il Psg all’indomani dell’eliminazione dalla Champions. Era una decisione già presa, non avrebbero giocato per dieci giorni a causa della protesta dei gilet gialli ma l’opinione pubblica non l’ha presa bene. L’appassionato o il non competente vedono di buon occhio il superlavoro. Non possono digerire che un calciatore milionario si alleni un’ora e un quarto al giorno». Che poi è la base di quel coro che ogni tanto fa capolino negli stadi quando la squadra di casa perde: “A lavorare, andate a lavorare”.
“Il calciatore vuole giocare a pallone, mica fare il maratoneta”
In realtà i calciatori a lavorare ci vanno. Anche se è un tipo di lavoro diverso. E ad accoglierli a Castel Volturno trovano uno staff composto da tre persone. Mauri appunto che è il coordinatore; Manuel Morabito, 28 anni, di Parma, che si occupa del lavoro in palestra, della prevenzioni e dei lavori individuali; Luca Guerra, di Varese, 31 anni, che si occupa di analisi di performance fisica sia in allenamento sia in partita. È lui il vero detentore del Grande Fratello dei muscoli.
I tre lavorano con Davide Ancelotti che di anni ne ha 29 e col match analyst Simone Montanaro che ne ha 41. A sovrintendere il tutto c’è ovviamente lui, Carlo Ancelotti, che, come si addice al tenente Colombo, da un lato predica il distacco dai numeri e dalle statistiche e dall’altro sa benissimo che il calcio è in continua evoluzione e si è circondato di persone preparate, al passo coi tempi e sempre pronte a mettersi in discussione.
Ancelotti assiste all’intervista e fa da assistente per alcuni dati e ogni tanto regala qualche perla, come ad esempio quando – a proposito degli esercizi col pallone che di volta in volta vengono elaborati per appassionare i giocatori e ottenere il risultato atletico prefissato – dice: “perché il calciatore vuole giocare a pallone, mica fare il maratoneta”.
Un’avvertenza ai lettori: l’intervista è molto molto lunga, forse persino troppo. Ma dopo una accurata riflessione, il Napolista ha deciso di sfidare le regole del giornalismo. E ha deciso che fosse più importante esplorare con dovizia di particolari un universo che raramente viene raccontato.
Coinvolgere il calciatore
Il metodo integrato si affacciò, a cavallo del Duemila, con Jens Bangsbo il fisiologo danese (oggi all’Atalanta) con cui Ancelotti collaborò ai tempi della Juventus: fu lui il primo a parlare di lavori fisici applicati alla tattica. «La scuola portoghese – ci spiega Mauri – con Queiroz è stata la prima a razionalizzare questo metodo, a scrivere dei libri sulla cosiddetta periodizzazione tattica».
Il principio base è coinvolgere il calciatore, andare quanto più incontro alle sue esigenze con allenamenti mirati che possano essere seguiti anche con il coinvolgimento dell’atleta. È una rivoluzione culturale. La cura del fisico, dell’atleta, non attraverso l’imposizione, il dolore e il sacrificio, ma con la responsabilizzazione e la partecipazione del calciatore.
«Immaginiamo Albiol: 87-88 chili, con un ginocchio usurato, mille partite sulle spalle, con quattro figli. Perché devo fargli percorrere i duecento metri dieci volte quando so che invece con una partitella in cui lui si muove certamente di meno ma compie uno sprint in più, sta ottenendo gli stessi risultati o forse qualcosa di meglio? Sarebbe assurdo fare il contrario».
E cominciamo a entrare nel merito del Napoli. È sempre Mauri a parlare.
Le squadre di Ancelotti corrono meno, ma sono più intense
«Il nostro metodo è a maggior ragione essenziale all’interno di una squadra che gioca con le idee di Ancelotti, una squadra che ha sempre più o meno lo stesso tipo di impostazione – che sia il Napoli, il Bayern, il Real Madrid – e cioè nell’80% dei casi corre meno dell’avversario come volume totale. Nel Napoli questo 80% diventa 70 o 65%, quindi si riduce rispetto a Bayern e Real. Però è una squadra che nei dati di alta intensità (ossia quando il calciatore supera la velocità di 14 km/h) e soprattutto di altissima intensità (superiore ai 25 km/h) prevale nell’80% dei casi sull’avversario».
Alta e altissimi intensità sono due concetti fondamentali. Nel calcio di oggi il giocatore perfetto è il giocatore in grado di produrre il più alto numero di scatti ad altissima intensità. «Salah, per capirci. O, per restare in Italia, Chiesa. Nel Napoli, Insigne e Callejon. Poi, ovviamente, c’è uno come Messi che ha bisogno di più tempo per recuperare, che corre circa nove chilometri a partita ma al quale nessuno chiederà mai di correre di più. È la bellezza e la diversità del calcio». E torniamo alla frase di Ancelotti: “il calciatore non vuole fare il maratoneta”. E anche alla bocciatura di Usain Bolt con la palla al piede: primo nei test fisici, senza paragone con Messi, con l’impercettibile difetto di non saper giocare.
Il dato che fondamentalmente non conta è quello relativo ai chilometri percorsi in una partita.
Ancora Mauri. «Sono dati che vengono fuori sempre quando si perde. Dopo il 3-0 contro la Sampdoria, emerse che il Napoli era la squadra che aveva corso meno in quella giornata. Pochi sanno che le gare in cui il Napoli corre globalmente meno, sono le partite in cui abbiamo più predominio, in cui siamo più precisi o sbagliamo di meno».
E qui registriamo un’altra incursione da segnalare, quella del direttore sportivo Cristiano Giuntoli: «La verità è che tutto dipende dai risultati, quando si perde bisogna trovare una motivazione. E si sposta l’attenzione sulla preparazione, c’è un bombardamento mediatico incredibile».
Come sta atleticamente il Napoli?
Ci addentriamo ulteriormente nella realtà napoletana. Che oggi vede più di qualcuno storcere il naso per la condizione atletica degli azzurri. In pochi sanno, giusto per fare un esempio, che il Napoli è la squadra di Serie A ad aver segnato più gol negli ultimi quindici minuti: ne ha realizzati sedici. È un dato che si trova sul sito della Lega Serie A.
«Spesso capita anche a noi di essere ingannati. Molte volte – e qui è Luca Guerra a parlare – ci siamo accorti che pensiamo di vedere una cosa e in realtà quella cosa non avviene o viceversa». E aggiunge Mauri: «Serve una grande umiltà da parte dell’allenatore ad accettarlo». Figuriamoci da tifosi e giornalisti.
Addentrarsi nei dati non è cosa semplice, anche per problemi di privacy e di diritti d’autore. La burocrazia uccide a tutti i livelli. Ce ne sono alcuni, però, (di dati) resi pubblici dalla Lega Serie A il giorno della partita. E bastano per sfatare alcuni luoghi comuni che lentamente stanno provando ad avvolgere il lavoro di preparazione atletica svolto dal Napoli.
Napoli-Udinese
Soffermiamoci sull’ultima partita: Napoli-Udinese. La prima tabella mette a confronto le prestazioni dell’andata (vittoria 3-0 a Udine) con quella del ritorno. «Le performance – ci spiega Mauri – sono praticamente le stesse per quel che riguarda gli sprint, le accelerazioni da fermo e l’altissima intensità ossia le accelerazioni sullo scatto. Gli ultimi due dati riguardano la distanza percorsa con la palla e senza palla. Vuol dire che cinque mesi, dopo la condizione atletica è rimasta a ottimi livelli. E allora, all’andata, il Napoli stava vivendo un eccellente periodo di forma. Eravamo alla vigilia di Psg-Napoli che è stata una delle migliori prestazioni della stagione».
La seconda tabella evidenzia il primo e il secondo tempo di Younes, Milik e Mertens. Oltre a mostrare la potenza esplosiva di Younes in grado di produrre duecento metri di accelerazioni a 3 metri al secondo, evidenzia anche che il secondo tempo di Milik e Mertens è stato superiore al primo.
«Siamo molto soddisfatti – commenta Mauri – il miglior momento della squadra è stato tra il 60esimo e il 75esimo, quindi nella seconda parte, e sono state molto buone le prestazioni di quei calciatori che avevano giocato tre giorni prima a Salisburgo. Nel nostro ambiente si dice che quando hai tre giorni di tempo, recuperi; quando ne hai due, devi pregare. E noi non ne abbiamo avuto bisogno».
«Parliamo di una squadra che non ha cali nei secondi tempi, che è stata rimontata solo due volte e ha invece più spesso rimontato. Che non ha mai avuto crampi. Tranne Mario Rui col Milan, ma rientrava da un infortunio. La sensazione, suffragata dai numeri, è che chiudiamo le partite ancora freschi. E ne siamo molto soddisfatti. Noi pensiamo che la squadra meno energie spende per vincere, meglio è. Per noi è decisamente preferibile se un atleta riesce a correre meno e a raggiungere ugualmente l’obiettivo prestabilito. Recupererà molto più velocemente, e stressa meno il suo fisico. La stessa cosa vale in allenamento, non solo in partita. Una delle frasi che mi accompagna da quando sono ragazzino è una frase di mio padre: “perché spendere 50 euro per un caffè se puoi pagarlo un euro?”. È una frase chiave nel nostro mondo».
Il Salisburgo era in calo fisico
«Quest’anno, nell’alta e altissima intensità, raramente il Napoli è stato battuto dagli avversari. È accaduto soltanto una volta, contro il Liverpool che è probabilmente la squadra più performante d’Europa».
Il gioco dei dati potrebbe non finire. Guerra ne aggiunge qualcuno che suona come sbalorditivo: «Nessuno sa o potrebbe immaginare che nel finale della gara di ritorno di Europa League il Salisburgo era decisamente in flessione dal punto di vista atletico. Erano calati nell’altissima intensità, nella media intensità, nella potenza metabolica espressa. Poiché però, per mille motivi, il Napoli si è abbassato, si è pensato a un calo atletico che i dati non hanno riscontrato, anzi. E per mille motivi intendiamo la sensazione di appagamento, anche ingiustificato, anche inconscio, per una partita che sembrava finita, la pressione dello stadio, un pizzico di paura».
E qui fa capolino Ancelotti: “chi non ha pensato che dopo il gol di Milik la partita fosse finita?”.
La centrale del Grande Fratello è piena di algoritmi. «Ne stiamo testando uno che calcola se il giocatore quando ha la palla, compie la scelta giusta o quella sbagliata. «A fine match – racconta Mauri – hai un numero da uno a cento. Ti dice “la tua scelta in questa partita è stata 90, mentre ad esempio la volta scorsa nel tuo ruolo un altro giocatore ha fatto 93”». E tra gli azzurri, chi ha numeri impressionanti è Luperto: «è un fenomeno, non sbaglia mai scelta. Mai».
Gli infortuni muscolari
Fuori dal Grande Fratello c’è il mondo reale. E qui c’è un altro rumore di fondo che accompagna la preparazione atletica del Napoli. Ed è quella relativa agli infortuni muscolari, soprattutto a freddo: Verdi, Mario Rui, Hamsik, Insigne.
«In otto mesi – spiega Mauri – abbiamo subito sei lesioni muscolari (i quattro citati più Chiriches e Ounas) e lo consideriamo un dato molto buono sia per gli standard europei sia per lo storico delle nostre annate. Un dato inferiore ad anni in cui ho lavorato altrove, e sono anni in cui abbiamo avuto pochissime lesioni muscolari pur lavorando con giocatori molto problematici come ad esempio Robben e Ribery che sono molto fragili, inclini agli infortuni per mille motivi».
A proposito dell’infortunio muscolare a freddo e dell’infortunio muscolare a caldo, dice:
«A un preparatore atletico, o comunque al nostro staff, preoccupa molto di più l’infortunio nella fase finale della partita. Lì significa che si è sbagliato qualcosa, che ci si è allenati troppo o troppo poco. È accaduto soltanto con Chiriches che però è reduce da un lungo infortunio. La lesione nei primi momenti di partita sicuramente non è dovuta a un muscolo che va in fatica e quindi si rompe, ma è dovuta a qualcos’altro. Che può essere un problema biomeccanico o un problema di postura alterata. Faccio un esempio: “mi sono allenato tanto, ho dormito male, ho la schiena che non è allineata, vado a fare un movimento estremo, eccentrico, e mi stiro. Se avessi avuto in quel momento la schiena perfetta, la postura perfetta, non mi sarei stirato. Anche i viaggi incidono molto, ci sono calciatori – come i sudamericani – più abituati a viaggiare e altri meno».
Non solo: «Un’altra causa che può scatenare una lesione nei primi momenti della partita, è psicologica. Pensiamo a Verdi lo scorso anno a Napoli fischiato da tutto lo stadio, dopo pochi minuti si infortunò. Ovviamente anche in questi casi servono competenze. Mi fa ridere quando sento un un allenatore dire “devo fare anche da psicologo”. Rido perché non ne ha le competenze. Può avere buon senso, quindi provare a non fare danni, ma non può avere le conoscenze dei professionisti. Purtroppo in Italia lo psicologo dev’essere chiamato mental coach. Se vado dallo psicologo, vuol dire che ho dei problemi; se vado dal mental coach, sono figo. È una figura che in Italia viene usata poco, ma che a noi piacerebbe inserire nello staff nei prossimi anni».
L’esperienza al Bayern
Però, obiettiamo, al Bayern i calciatori si lamentarono di questi metodi che i “non competenti” definiscono blandi.
E qui interviene Ancelotti: «In realtà i problemi li avemmo con lo staff del Bayern, lo staff fisso dei tedeschi con cui ebbe problemi anche Guardiola. Non tanto con i giocatori. Perché è sempre una questione di mentalità, di cultura. Poiché il calcio tedesco è diventato famoso per la tenacia – Mauri parla di stamina, di perseveranza psicologica, di sofferenza al dolore – per loro era ed è impensabile rinunciare a questo fattore». Per i tedeschi la sofferenza è imprescindibile nell’allenamento.
Ricorda Mauri: «Loro chiedevano: perché non corriamo? Caschi il mondo, il riscaldamento dei tedeschi comincia con tre giri di campo di corsa lenta. Sempre. Eppure il temine riscaldamento significa scaldare il muscolo. È dimostrato scientificamente che la corsa lenta non scalda i distretti muscolari che poi andrai a utilizzare nel calcio. Ma non ci fu verso».
Come si allena il Napoli
Ma, chiediamo, come funziona una giornata tipo dei calciatori del Napoli?
«Quando si parla di allenamento, da noi viene interpretato come “metto le scarpe, vado sul campo, e una volta finito torno a casa e ho chiuso”. Non è così. C’è un lavoro prima e dopo la seduta sul campo, che noi consideriamo fondamentale. La seduta dura un’ora e un quarto, il picco è stato un’ora e venti. Non facciamo doppi allenamenti perché ogni allenamento è come se fosse doppio.
Il calciatore arriva al campo alle 9-9.30, fa colazione e inizia la sua routine. Va dal fisioterapista, oppure se ha bisogno della fasciatura o di qualsiasi altro trattamento. Dopodiché c’è una preparazione all’allenamento, che viene svolta in palestra. Ed è una preparazione su cui abbiamo lavorato tantissimo. In Italia c’è la concezione che io preparatore atletico devo farti lavorare. Invece noi abbiamo cercato – e ci siamo riusciti alla grande – di responsabilizzare i giocatori. Di far capire loro cosa fosse importante per la propria condizione atletica. Ogni calciatore ha una scheda di prevenzione personalizzata, scheda che ovviamente cambia anche in funzione della stagione, degli infortuni eccetera. Le schede sono esposte in palestra e ogni mattina siamo lì, in due, a guidare il giocatore nei suoi esercizi. E se all’inizio abbiamo dovuto insistere un po’ nel farli abituare, adesso quasi quasi avremmo bisogno di una persona in più per gestire il gruppo perché sono tutti contenti, disponibili, e si presentano tutti i giorni».
«Perché vengono? Perché hanno capito che c’è un’utilità per loro nello svolgere questo lavoro. La stessa cosa accade dopo. Un tempo, a fine allenamento c’era il defatigante. Un po’ di corsa lenta e il preparatore atletico in mezzo al cerchio, e tutti a fare stretching. Qual era il risultato? Che l’unico che faceva stretching era il preparatore atletico. Se venti persone svolgono gli stessi esercizi, il beneficio non sarà uguale per tutti. Oggi questo lavoro viene svolto in palestra, sempre personalizzato. C’è chi ha bisogno di esercizi di riequilibrio della schiena, chi dello psoas, chi di respirazione. Ci sono giocatori che fanno mezz’ora prima e mezz’ora dopo, anche di più. E poi ci sono il fisioterapista, altri trattamenti manuali, il bagno caldo bagno freddo, il bagno turco. Abbiamo cercato di organizzare il centro sportivo in funzione del fatto che ogni giornata di lavoro non duri solo quell’ora e un quarto lì sul campo, ma duri quattro-cinque ore. Il giocatore fa colazione e pranzo al campo, la sua è una vera mezza giornata di lavoro».
L’atleta ideale è l’atleta senza divano
E poi è libero?
«Certo. Però lo abbiamo educato. Cerchiamo sempre di far capire al giocatore che il tempo libero è importante. Se fai la passeggiata coi cani, va bene; se vai a prendere i bambini a scuola, va bene perché ti muovi. Se stai cinque ore sul divano, vai a casa che sei pulito dal punto di vista della postura e il giorno dopo torni che sei tutto incriccato. Baudelaire diceva che il divano è la tomba degli amanti, ecco lo è anche degli atleti. L’atleta ideale è l’atleta senza divano».
«La verità – prosegue Mauri – è che se volessimo spremere come delle spugne i giocatori, potremmo allenarli di più. Potremmo fare un volume maggiore, potremmo fregarcene di tante cose. Invece, sia ai fini della prestazione della squadra sia ai fini della valorizzazione dell’uomo in termini di benessere dell’atleta e della sua carriera, pensiamo che allenarsi bene sia più importante di allenarsi tanto.
Nelle differenziazioni, teniamo conto anche della cultura dei calciatori. Ci sono atleti come i polacchi che sono atleti eccezionali e hanno una mentalità di lavoro incredibile. Come tutti quelli dell’Est Europa, perché lì la mentalità dell’allenamento è rimasta quella stile ex Unione Sovietica.
Il calciatore latino, invece, ha bisogno della competizione. Agli spagnoli puoi proporre qualsiasi esercizio ma sempre con una competizione. È un fattore culturale. In Italia il cinquantenne fa jogging, in Spagna gioca a padel».
“I pesi hanno creato più danni della grandine”
«I pesi li abbiamo tolti. Alcuni macchinari superstiti li faremo portar via quest’estate. Non è vero che Cristiano Ronaldo è un palestrato. Usa pochissimi pesi, fa quasi tutto a carico naturale. Quella dei pesi è una moda nata in Italia negli anni Novanta. Ha creato più danni della grandine, soprattutto nel calcio. Se io faccio i pesi, uso un muscolo che poi utilizzerò in maniera diversa sul campo di calcio. È lo stesso discorso della corsa lenta. Faccio la corsa lenta per sviluppare capacità aerobiche ma in realtà abituo il muscolo a movimenti che in partita che non ci saranno. Adatto il muscolo a stimoli diversi da quelli che avrà in partita. Così, dopo aver svolto corsa lenta, vai a sprintare in campo e ti stiri».
Potremmo continuare ancora a lungo, avremmo da scriverne, ma ventimila battute sono abbastanza.
Facciamo un’eccezione per una citazione di Bangsbo fatta da Luca Guerra: «Disse: “il calcio non è una scienza” e aveva ragione. Ma la scienza può aiutare il calcio. E oggi lo fa. Ci sono ritrovati tecnologici incredibili che forniscono valutazioni oggettive di tutto quel che avviene sul campo. A livello fisico e anche a livello tattico. Poi, ovviamente, e questo è un passaggio molto importante, ciò che avviene sul campo è diverso dal risultato finale. Il risultato finale dipende da tantissime variabili».
Ancelotti e il futuro del calcio
La chiosa non possiamo non lasciarla ad Ancelotti: «Sa cosa succederà in futuro? Che le loro figure – riferendosi ai tre – non esisteranno più, o comunque non esisteranno più in un club. Il calcio somiglierà sempre più all’Nba dove l’atleta va al campo e svolge 45 minuti di allenamento ad alta intensità e poi si arrangia. L’atleta avrà il suo preparatore personale, il suo nutrizionista personale, il suo fisioterapista personale. Non ci saranno ritiri. Del resto nel calcio ci sono già tanti giocatori che hanno il preparatore personale che a volte è in contrasto col lavoro che fanno i preparatori della squadra».
In realtà le ultime parole sono ancora di Mauri: «Non perché è presente e non perché lavoriamo con lui, ma nel calcio è rarissimo trovare un allenatore e un allenatore importante come lui che ha l’umiltà di ascoltare e di cambiare i propri metodi di lavoro perché si convince della bontà delle proposte dei propri collaboratori».