Devono essere azzurri, identitari, tema fondamentale. La squadra raggiunge i quarti in Europa per la quinta volta nella storia, eppure non va bene
È un tema caldo
Le fatiscenze dello stadio passano in secondo piano rispetto al tema fondante dell’identità della struttura: di che colore dobbiamo dunque avere i famosi seggiolini? È un tema caldo, che appassiona tutto il mondo. “Immaginiamo uno stadio azzurro, i colori del cielo e della città” sentenzia l’Assessore allo Sport. All’ombra del Vesuvio, anche i mattoni e il calcestruzzo, infatti, hanno una loro storia identitaria, che non si piega alle esigenze televisive di un calcio malato di business. I seggiolini partenopei rivendicano i propri diritti, organizzano flash mob. Vogliono essere azzurri. Vogliono portare al centro dell’agenda politica il loro colore. Se ne discuta.
Vade retro Juventus
La squadra, intanto, passa ai quarti di una competizione europea per la quinta volta in soli novantatré anni. Lo fa andando in vantaggio dopo una manciata di minuti fuori casa, giocando senza Koulibaly, senza Albiol, senza Hamsik, senza Insigne. Ma pare che, come i seggiolini succitati, manchi di identità, di quella granitica coesione psicologica tipica di noi uomini e donne del Golfo. Dov’è quella voglia di vincere, sempre e comunque, su tutti i campi e a qualunque costo? Dio non voglia si prenda anche noi la china della Juventus, che si illude di lavare l’onta delle sconfitte contro Manchester e Young Boys con una banale rimonta contro l’Atletico.
Stamattina mio figlio, scolaro di prima elementare in Germania, è andato in classe con pantaloncino e maglietta del Napoli (comprati su Amazon con scarsa vis identitaria), vestiti su pantaloni e felpa, in doppio strato. Quando ho osservato che non fosse propriamente alla moda, mi ha risposto secco: “Non è importante”. Largo ai giovani, dunque. Ha avuto ragione lui e, forse, anche Carletto, con mezzo sopracciglio alzato, gli avrebbe dato una pacca sulla spalla.