Il film è leggero e ben studiato nei reciproci sfottò religiosi ed etnici. La Francia pur nelle sue molteplici criticità sociali ha nella satira un baluardo forte
I coniugi Verneuil
In questi tempi di sovranismo democratico impersonato da Lorella Cuccarini consiglio di andare a Cinema a vedere “Non sposate le mie figlie 2” il sequel del campione di incassi del 2014 scritto da Philippe de Chauveron con lo straordinario attore Christian Clavier: una sorta di Lino Banfi francese.
I Verneuil – Claude (Clavier) e Marie (Chantal Lauby) – sono una coppia conservatrice della provincia francese, con un buon conto in banca, che hanno contribuito a dare alla Francia il loro obolo di integrazione. Le loro quattro figlie femmine sono andate in sposa a quattro francesi di origine cinese, africana, ebrea, magrebina. Già questo per un personaggio come Claude, che sembra la reincarnazione sociale di De Gaulle, è stato un brutto rospo da ingoiare, anche perché si è trovato in famiglia un suocero ivoriano, André, con cui è in perenne competizione.
La satira è un baluardo
Sembra che tutto ora vada per il meglio ma i quattro generi – Chao (bancario), David (imprenditore di insuccesso), Rachid (avvocato di donne in burqa), Charles (attore con particine) – convincono le figlie di Claude, che hanno sposato, a partire rispettivamente per la Cina, Israele, l’Algeria, l’India. Lamentano che la Francia pur essendo il loro Paese li ostacoli nelle loro aspirazioni di progresso lavorativo. Claude – ora in pensione e scrittore di una biografia di un poeta del Pireinismo – e Marie – che di dedica alla Nordic Walking – non potendo sopportare un tale smacco s’inventano una campagna per dare ai generi lavoro ed una nuova concezione della Francia.
Il film è leggero e ben studiato nei reciproci sfottò religiosi ed etnici che non integrano mai blasfemismo o ingiuria verso l’altra etnia. Ma la Francia pur nelle sue molteplici criticità sociali ha nella satira un baluardo forte. Ciò che emerge nitido, invece, alla fine della fiera, è un’altra idea della cittadinanza: uno ius soli basato sull’affetto e sul legame con la propria terra che non cancellando le differenze le fa proprie corroborando una nuova nazionalità. I nostri digitali governanti lo apprezzeranno?