Una domenica pomeriggio alla mostra di Caravaggio a Napoli. Perché questa fortuna di Caravaggio ancora così forte nel mondo odierno?
Una domenica pomeriggio alla mostra di Caravaggio a Napoli – fino al 14 luglio in Sala Causa a Capodimonte – approfittando di una giornata primaverile che il Meteo aveva celato in pioggia intensa.
Il biglietto costa 14 euro per la sola mostra – o 15 per approfittare dell’intera offerta museale. E con il ticket della mostra si ha diritto ad una navetta che ti porta fino al Pio Monte della Misericordia dove si può godere, con sovrapprezzo, della visione de le “Sette opere di Misericordia corporale” che fu la prima opera di Caravaggio a Napoli: ma attenzione la domenica il Pio Monte chiude alle 14.30 (le ragazze alla concierge della mostra non informavano su questa evenienza, perché a nostra domanda dimostravano impreparazione). La mostra invece – nata da un’idea del direttore Sylvain Bellenger e di Cristina Terzaghi – che cerca di porre in rilievo l’influenza che Caravaggio ebbe nei confronti dei proximi sui (Battistello Caracciolo, Massimo Stanzione, Finoglio, etc…) è una buona idea ed è ben strutturata nelle informazioni e nelle presenze pittoriche.
Perché i pochi mesi – 28 mesi, tra il 1606 al 1610, con 20 opere realizzate- trascorsi dal genio Merisi a Napoli dovrebbero costituire eccezionalità? Perché Michel Angelo portò nelle sue opere l’intera Napoli: non è forse il vicolo del Cerriglio protagonista delle “Sette opere”? E quei volti così veraci che animano le sue tele così teatrali? Non sono forse molto napoletani? E quelle mani che accusano, sostengono, aiutano la Santa Orsola nel suo Martirio (1610, oggi a Palazzo Zevallos dopo una storia affascinante ed itinerante)? C’è solo una luce artificiale nelle opere di Caravaggio: è quella delle “Sette opere”. Per il resto Merisi trae dall’ombra delle campagne del Bergamasco dove visse la sua adolescenza, la sua luce della rivelazione della dolente umanità barocca. Facendo emergere questi volti così veri dal solo colore senza un preventivo disegno. Non hanno recato un buon servigio ai copisti (Finson) ed ai suoi epigoni napoletani (Caracciolo, Stanzione) gli organizzatori della mostra: perché Caravaggio da vero innovatore di tecnica, luce, progetto teatrale, e visione umana, li devasta quando si avvicinano alla sua grandezza copiando – o reinterpretando – il disegno di una Salomè o la “Flagellazione di Cristo” (presenti nella mostra). Così come per la “Crocifissione di Sant’Andrea” proveniente dal Cleveland Museum of Art.
Chissà se frequentando il Cerriglio Michel Angelo aveva conosciuto il nostro genio misconosciuto Basile e ne avesse tratto un qualche insegnamento. Vero è che Merisi ebbe – dopo l’uccisione romana – la spada di Damocle della condanna capitale sospesa sul suo collo e quella disperazione lo spinse a farsi Giovanni Battista nella Salomè. Perché questa fortuna di Caravaggio ancora così forte nel mondo odierno? Perché il genio lombardo s’intrise di quel barocco che secondo studiosi come Schifano rappresenta oggi nella sua versione “esistenziale” la vera cifra di questa globalizzazione odierna che tiene assieme i destini di tutti gli uomini del globo.