Al Napoli manca un Ancelotti in campo, un esperto navigato campione che porga le pacche sulle spalle e sguaini il pungo quando serve.
Il caos, che poi è l’anagramma di caso è ciò che è stata ieri la fine della stagione azzurra, tradotta in una disperata, quanto proibitiva rimonta ai danni dei Gunners, che per festeggiare hanno giocato con il termine Gomorra. Diciamo che non ce la saremmo aspettati da una società inglese, ma si sa che l’humor anglosassone è dei peggiori. Tuttavia un accostamento al re della sceneggiata sarebbe stato più logico, visto l’anti-calcio poco british che hanno proposto. Detto questo analizziamo il Napoli, provando a spaziare dall’esagerazione alla logica delusione.
Mi è mancato Marek Hamsik
Mi è mancato perché lui, sebbene non lo lasciasse trasparire, aveva il termometro dello spogliatoio, era un silenzioso uomo squadra, un usato affidabile, garanzia di equilibrio.
Mi è mancato perché siamo rimasti in tre a centrocampo, e i fischi a Fabian Ruiz (fermo a piangere a fine partita per l’errore di Londra) e a Piotr Zielinski sono incomprensibili. Cantano e portano la croce da soli, da mesi. Questa critica la società la deve assorbire e accettare: non si può lasciare una squadra di vertice con solo tre in mediana e dichiarare di voler alzare un trofeo. Malgrado ciò Ancelotti è stato bravo ad ottenere il massimo ottenibile con una rosa esigua e propriamente non indicata per la sua proposta di gioco. Un allenatore-gestore che ha sposato la linea della modernizzazione e valutazione degli effettivi. Gli è stato chiesto questo e ciò lui ha raggiunto, compreso il non scontato secondo posto e l’ennesima partecipazione consecutiva in Champion’s League.
Il pubblico del San Paolo è diventato esigente, è cresciuto in ambizioni ed è lecito aspettarsi che il presidente assecondi la loro idea di vittoria, che manca da anni nonostante ci si arrivi sempre ad un passo. L’eterna incompiuta, una Sagrada Familia a cui è stato sottratto il suo Gaudì e il cui restauro è affidato ad un professionista tra i migliori d’Europa con un materiale di seconda fascia.
Il pubblico ha sbagliato a fischiare
Il pubblico però sbaglia a fischiare Insigne, come a qualunque altro. I fischi non sono accettati, non sono plausibili, poiché tutto si può dire a questo gruppo tranne negare la loro dedizione alla causa azzurra. Non è colpa loro, è un caso o un caos di un’annata particolare, di una giostra dove a turno sono finiti il gettone del circo-Ronaldo, del sogno Cavani, e quel miracolo di Allison ad Anfield, dove probabilmente il Napoli aveva riposto tutte le reali energie della stagione.
Questo Napoli non ha fallito, ha tenuto botta nel miglior modo possibile, arrangiando per ripartire con le idee più chiare. Siamo tutti delusi dopo ieri sera, ma la Europa League è stato un obiettivo di ripiego, e l’Arsenal è uno squadrone rispetto agli standard italiani, dove solo la Juventus spende come una big europea, ma raccoglie come una capolista russa.
Al Napoli manca un Ancelotti in campo, un forte trentenne che sappia indicare il coraggio ai compagni, un esperto navigato campione che porga le pacche sulle spalle e sguaini il pungo quando serve. Un uomo-ordine capace di accollarsi le responsabilità che gli altri si dividono. La società deve tendere una mano ai tifosi raggiungendoli a metà strada, tra il loro sogno di vittoria ed il suo senso di successo, solo così potremmo andare lontano. Siamo secondi, ai quarti di Europa League, e rispetto agli anni scorsi fuori da un tunnel pauroso che ad inizio anno faceva temere il peggio.