Da un lato la costruzione mediatica del personaggio (cui lui, volente o nolente, si è prestato), dall’altro la realtà e la trattativa con la Juventus (comunque vada)
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La reazione a Napoli
Un santino della rivoluzione
Sarri è uno che s’è costruito negli anni – più nolente che volente – questa immagine da santino della rivoluzione, la più difficile da cancellare, la più facile da rovinare. La sua spontanea strafottenza per ogni tipo di convenzione o diplomazia, la sua retorica del ribaltamento dello status quo (“i diciotto uomini che possono fare il colpo di stato”), il suo pedigree da uomo della gavetta, hanno precipitato un mondo imbalsamato nei cliché in una dimensione vintage. Il pallone d’un tempo e i suoi personaggi immortali, il calcio pane e salame, Mazzone che corre sotto la curva ostile, quella roba lì che rompeva i cuscinetti mediatici e che oggi per i media stessi è una manna venuta dal passato. E l’ha fatto a Napoli, la Capitale dell’ottimismo patologico che si incarognisce in orgoglio coatto, che non aspettava altro che un messia minore calasse a rivendicare per la città un patrimonio di diversità senza distinguo. Siamo diversi, siamo belli… un’overdose di autostima logorante che infatti brucia tutto, soprattutto i suoi eroi.
Contro la Juve
Sarri a gennaio del 2016 arringava sui bilanci e sulla “Juve di un’altra categoria”, “il fatturato pesa”, diceva. E quando Higuain se lo prese proprio la Juve, in quel modo, per mesi, oltre ogni vittoria o sconfitta, quella era una domanda fissa con risposta fissa: “Sì, mi manca. Chissà dove saremmo ora con Gonzalo”. Disse, testualmente: “A me sono davvero girati i coglioni quando esponenti della Juve parlavano di Higuain mentre era un nostro calciatore, e io non farò quello che loro hanno fatto”.
E il 21 gennaio 2018, dopo la gara contro l’Atalanta, eccolo a prendersela con la Lega che avrebbe fatto “un errore mastodontico” favorendo la Juve nella costruzione del calendario. Il 29 aprile 2018, a scudetto ormai sfumato, spunta pure la classica frecciata sugli arbitri: “La gente non ha più fiducia nel calcio italiano? Nella vita tutto finisce, quindi prima o poi finirà anche quello che vediamo in Italia. Il rischio di perdere tanti appassionati che hanno la sfortuna di tifare squadre che sanno di non vincere mai. Impoverendo il sistema, si impoveriscono anche i più ricchi”.
Ora c’è la Juventus
Ora i più ricchi lo vogliono, e basta il rumour a scatenare il reflusso delle vecchie dichiarazioni, ad affratellare un popolo che ci tiene proprio ad auto-definirsi tale. Troppo goloso il copione, perché il core ‘ngrato sarà pure un classico ma siamo a giugno, il campionato è finito e ognuno di noi ha il suo bel dossier di ipse dixit da rinfacciare qua e là. E non è un problema solo di Sarri, vale per tutti. Zitti, solo se restassimo zitti, solo se ci ritraessimo – ma come si fa? C’è un tutorial? – dal commentare tutto, se avessimo la pudicizia di trattenerci dal farlo quanto meno in pubblico, ovvero sui social, forse potremmo salvarci da quel ricatto che incombe sulle nostre possibilità lavorative, sui nostri futuri rapporti sociali.
Nel nome di una coerenza ormai tagliente, che non ammette mezze misure, e che cristallizza posizioni anche sceme vita natural durante. Sarebbe ovviamente una faticaccia, e infatti ormai nessuno se l’accolla più. Sarri, con tutto il suo sovraccarico di spontaneità, è oggi stretto in quella piegatura mediatica che è il Sarrismo. Ma la cosa bella è che forse, coerentemente col personaggio, lui degli “ismi” se ne sbatte. Fare i conti con le parole, incastrate in una rete di like e poco più, è diventata una gran perdita di tempo. “Il rapporto con i tifosi del Napoli non cambierà”, e se lo dice lui…