L’ex rettore: “Non è vero che il Napoli non ha un progetto. E’ che non lo spiega. Il vero problema da affrontare è la disaffezione del pubblico”
Guido Trombetti è uno storico professore di analisi matematica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Il libro che ha scritto in tandem con Angelo Alvino, ‘Elementi di Matematica 1’, è stato un must per chiunque abbia dovuto sostenere l’esame di Analisi 1.
Trombetti è stato rettore, politico, sportivo. Tifosissimo del Napoli, firma un elzeviro su Repubblica il martedì, che spesso dedica ai temi dell’azzurro. Abbiamo voluto coinvolgerlo nel dibattito sul Napoli di De Laurentiis.
Cosa c’è alla radice dell’odio verso De Laurentiis?
«Diciamo la verità: il presidente non ha il dono della simpatia. Questa però è anche la sua forza, perché è riuscito ad isolare la squadra da una serie di influenze negative che in città ci sono sempre state».
Intende dire che l’ha protetta?
«In un certo senso sì. Il suo negarsi al rapporto fisico con i tifosi, lo scegliere di stabilire la sede a Castel Volturno, il non vivere a Napoli, sono tutti emblematici. Tra i suoi meriti ce n’è uno spesso trascurato: De Laurentiis ha allontanato da Napoli, uno alla volta, i calciatori che avevano frequentazioni discusse o discutibili, magari anche inconsapevoli, perché parliamo di ragazzi che in media non sono granché acculturati, che piombano in una realtà sconosciuta… Questa cosa denota una cura della società e della squadra. Ecco perché il presidente cerca l’isolamento. E poi il suo carattere è quello che è».
In tanti lo accusano di non saper comunicare. Che ne pensa?
«Non è un buon comunicatore. Prendiamo tutti gli annunci che ha fatto quest’anno sul combattere su tre fronti fino all’ultima giornata: sono stati completamente sbagliati. La prudenza suggerisce di giocare a nascondersi e invece lui è un po’ guascone. Forse mi è simpatico proprio per questo. Fatto sta che ha suggestionato anche il tecnico e quegli annunci, alla resa dei conti, li hanno pagati».
È stata una stagione negativa?
«Sul piano dei risultati questa è una stagione più che sufficiente. Chiudiamo al secondo posto a tre giornate dalla fine, grazie alla Coppa Uefa siamo saliti nel ranking europeo, negli ultimi dieci anni siamo arrivati secondi e terzi, siamo andati sempre in Europa. Meglio di noi c’è solo la Juve. Cosa si può volere di più? Lo scudetto? Anche io lo voglio, ma la stagione è sufficiente. Non dico buona, però, perché il modo in cui siamo usciti dalla Coppa Italia non me lo spiego e mi lascia l’amaro in bocca».
E De Laurentiis imprenditore?
«Vorrei tanto che mi si facessero degli esempi di aziende che, a Napoli e in Campania, funzionano come funziona il Napoli».
Ma esiste un ‘progetto Napoli’?
«Spesso si dice che il Napoli non ha un progetto. Non è vero: il Napoli semplicemente non lo spiega e questo è un errore di comunicazione. Il progetto del Napoli è semplice: non facciamo più di quanto siamo in grado di fare. Prima o poi, con un po’ di fortuna, vinceremo anche il campionato. In fondo, quello che è mancato a De Laurentiis è solo un pizzico di fortuna. Vede, a Torino e a Milano funzionano meglio le scuole, le università, i trasporti: perché ci sorprendiamo che anche il calcio funzioni meglio? Si chiama dato di contesto. Nello sviluppo dei fenomeni sociali è fondamentale: è il brodo di cultura che fa crescere le cose o costituisce, per loro, un freno. Cosa vorrebbero Napoli, un presidente che invece che a Roma abitasse a Pechino? O uno sceicco sconosciuto? Sarebbe possibile governare una squadra che insiste in una città come Napoli stando a tremila chilometri di distanza? La mia paura è che De Laurentiis, che è un uomo di impresa, possa prima o poi fiutare un grande affare e vendere il Napoli. Non sarei in grado di dire che cosa ci accadrebbe, perché questo periodo così glorioso sarebbe difficilissimo da ripetere».
Il clima di contestazione dipende anche da una trasformazione del calcio?
«Certo. Il mondo intero è cambiato. C’è stata la rivoluzione informatica, che è la più grande rivoluzione della storia dell’umanità. Pretendiamo che il calcio sia ancora quello di settant’anni fa, ma non è più così. Ormai il calcio è televisione, business, è un’altra cosa rispetto al passato. Il mondo del calcio ha un problema: è governato dalla passione. Ma poi bisogna sempre razionalizzare. Purtroppo c’è una completa assenza di cultura sportiva, si vive di Masanielli. Non riesco a capire questa idolatria per Sarri. Apro Facebook e leggo esultanza perché Sarri è terzo. E allora? Noi siamo secondi, non siamo meglio?».
Quindi il suo giudizio sul primo anno di Ancelotti è positivo?
«Il Napoli, nella sua storia, fatta eccezione per i due scudetti di Maradona, non ha mai vissuto un periodo così glorioso. Lo dicono i numeri e quelli non si possono mettere in discussione. Se invece mi chiede se questo campionato mi ha emozionato meno del precedente, allora le rispondo di sì. Ma questo non mi deve impedire di razionalizzare. Diamo ad Ancelotti il tempo di lavorare. Qualcosa l’ha già capita del posto in cui è arrivato: ha cominciato a frenare sui giocatori da 10 milioni…».
Nella generale freddezza con cui è stato accolto Ancelotti c’entra il fatto che sia venuto dopo Sarri?
«Bisogna riconoscere a Sarri il merito di aver preso la squadra e aver costruito un gioco spettacolare. Solo per un fenomeno di destino cinico e baro non è riuscito a vincere lo scudetto. Che resti nel cuore e negli occhi delle persone è normale. Quello che però io ripeto sempre è che Sarri se ne è voluto andare. Si dice che si era già messo d’accordo con gli inglesi a gennaio. È un’ambizione legittima quella di guadagnare di più. A questa ci aggiungo che sapeva che la squadra era arrivata al capolinea, che aveva dato il massimo. I giocatori di primo piano sono tutti ultratrentenni, come Mertens e Albiol. Questa è una squadra da rifondare e Sarri lo aveva capito. Queste due considerazioni lo hanno spinto ad andarsene. Che dovevamo fare: sciogliere la società e stare due anni a piangere per l’addio di Sarri? Lo avessero cacciato, ma se ne è andato da solo!».
De Laurentiis ha rilasciato delle dichiarazioni contro la Superlega di Agnelli. Ne emerge l’immagine di un presidente proiettato verso il calcio europeo e internazionale, verso scenari molto più ampi. Che ne pensa?
«Per quanto mi riguarda sono legato ai miei piccoli grandi amori: il campionato, la coppa. Faccio fatica ad abituarmi all’idea che potrei non fare più il campionato e non incontrare più il Frosinone perché devo incontrare il Bayern Monaco. Capisco anche, però, che il calcio prenda altre strade. Le cose che dice De Laurentiis a volte sono molto fantasiose, io dico di andare avanti ma con giudizio, un po’ alla volta. Anche perché se si mette contro Agnelli e tutti gli altri, la sua rischia di diventare una battaglia contro i mulini a vento, rischia di isolarsi. Credo che i tempi non siamo ancora maturi per questi scenari. A volte le sue esternazioni rispondono a un moto istintivo e non ad una politica organizzata. Belle idee, il business che diventa più importante, ma del pubblico che ne facciamo?».
Il pubblico non va nemmeno più allo stadio…
«Questo è il vero elemento emergenziale a Napoli, qualcosa su cui riflettere. Qui si è sempre andati allo stadio, con qualsiasi condizione atmosferica e di classifica. Questa disaffezione va affrontata e solo De Laurentiis può farlo».
Lei come la interpreta?
«Come un pericoloso momento di incomunicabilità tra il presidente e il pubblico. E guardi che il pubblico non sono i facinorosi di Frosinone, che hanno interessi inconfessati e inconfessabili e che lui fa bene a tenere a distanza, ma i tanti che allo stadio non vanno perché il presidente ha dato l’impressione – che non è la verità – che per lui il pubblico è irrilevante. Questo ha creato un baratro e il problema va affrontato. Perciò lasciamo stare i voli pindarici, la coppa e la supercoppa: per qualche anno ancora il calcio sarà quello che si fa negli stadi, con la gente che va a vedere la partita. Credo che un uomo intelligente come lui debba inventarsi qualcosa per riavvicinare il pubblico e farlo sentire protagonista. Bisogna far capire al pubblico che resta un grande tesoro e patrimonio del Napoli. Perché il valore delle società si definisce sulla base del pubblico: se improvvisamente i tifosi del Napoli nel mondo crollassero, crollerebbe anche il valore della società. De Laurentiis lo sa bene e deve provvedere».
Ma il pubblico dovrebbe andare allo stadio per vedere la squadra, indipendentemente dalla politica o dalla simpatia del presidente, no?
«Il pubblico va allo stadio se si sente in qualche modo protagonista e nell’atteggiamento della società questo non si coglie. Poi c’è anche un fatto contingente: l’anno dopo il secondo scudetto in tanti non andavano più allo stadio. La stessa cosa adesso: l’anno scorso c’è stato un tale momento di pathos, con la percezione di poter vincere, che quest’anno c’è stato il rinculo. È una cosa fisiologica. L’ultima cosa a cui credo è che nell’abbandono dello stadio contino i prezzi: quando uno è appassionato, il prezzo non è un problema. E neppure c’entra la scomodità dello stadio. Il San Paolo ha sempre fatto schifo. Ora almeno ci sono le coperture e non ci si bagna con la pioggia».
Per riportare la gente allo stadio ci vogliono grandi acquisti?
«La campagna acquisti non è sconnessa dall’affezione del pubblico. Se domani mattina viene fuori che il Napoli ha comprato Messi, secondo lei lo stadio si riempie o no? È un insieme di cose. Qualche colpo di mercato importante ci vuole. L’effetto Ancelotti si è esaurito e io sono molto preoccupato per l’anno prossimo. Si immagina cosa potrebbe succedere se la squadra non funzionasse? Sono convinto che non sarà così, dobbiamo augurarcelo».
In realtà Ancelotti non è stato accolto granché fin dall’inizio…
«È come se fosse vittima, da parte di una certa opinione pubblica, di un fenomeno di invidia. Ha vinto tantissimo, arriva qua dopo il povero cireneo venuto dall’ufficio di bancario che ha fatto i miracoli, e viene accolto freddamente, poi ora vedo un accanimento insulso. E anche su questo si falsifica la storia. Si dice che è uno che sa allenare solo grandi campioni, ma non è vero: Pirlo lo ha inventato lui. È arrivato ad allenare grandi campioni, ma è partito dal basso, ha fatto gavetta. E poi guardiamo alla squadra: è stata costruita da Benitez, i calciatori che hanno reso di più sono quelli che ha portato lui. Non so se ad Ancelotti lo lasceranno fare. Resto alla finestra a guardare la campagna acquisti. Gli uomini da 10 milioni all’anno non verranno, ma ci sono ottimi giocatori che costano meno e che bisogna attrarre. In fondo, quelli arrivati con Benitez facevano le riserve: penso a Callejon, a Higuain, a Mertens. Benitez non ha portato Messi e Ronaldo».