Rimarrà l’ispiratore del più bel Napoli degli ultimi anni. Ma ora non ci appartiene più. Anzi, io non voglio neppure rivederlo: “preferisco ricordarlo da vivo”
Non me l’aspettavo
Non me l’aspettavo, non l’avrei voluto. Ho amato Sarri profondamente e perdutamente perché amavo e amo perdutamente il grande Napoli. E lui, Sarri, ha reso bello il mio grande Napoli, lo ha reso vivo e degno di essere amato e ammirato, riempiendomi di orgoglio. Perciò gli ho voluto molto bene. Perciò ho sofferto sinceramente quando è andato via. Perciò ho perso più di un inutile pomeriggio persino a seguire una squadra di Londra di cui, per i primi 57 anni della mia vita, nulla mi era importato.
Fino a tre ore fa ho continuato a escludere che finisse a Torino. Non ne aveva bisogno, pensavo, mentre per me era proprio necessario che non ci andasse. Per non rassegnarmi a dover credere che nel pallone di oggi contino solo “i fatturati”. Perché proprio lui, il comandante, ci aveva illuso e quasi convinto che con la bellezza si potesse salvare il mondo, almeno quello del calcio, e destabilizzare la logica dei numeri, l’arroganza dei prepotenti, la sicumera degli ingiusti. Non parlo di politica, non nel senso banale del termine, ma di passione. Anche e soprattutto per la maglia.
“Preferisco ricordarlo da vivo”
Come non detto. Sarri ha scelto di passare “dalla parte dei ragionieri Casoria”, di entrare in una banda che non è mai stata degli onesti (“Signor Lo Turco, lei ha mai stampato scudetti falsi?” Eh sì, almeno due…). Personalmente spero davvero si sia trattato, per Sarri, solo di una questione di soldi – quelli che, però, gli avrebbero dato anche altrove – e spero di non sentir tirare in ballo, adesso, concetti come “stimoli”, “lustro” o “tradizione”, che suonerebbero impropri per lo spessore e la natura dei soggetti coinvolti.