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Sarri spieghiamolo con Flaiano, non con Che Guevara

Quanta confusione a Napoli su Maurizio che alla fine ha addebitato il frutto proibito in ottemperanza al “tengo famiglia”

Sarri spieghiamolo con Flaiano, non con Che Guevara

E alla fine, come ormai era chiaro da qualche tempo, è arrivata l’ufficialità.

Sarri è il nuovo allenatore della Juventus.

Maurizio ha deciso di addentare il frutto proibito.

Ha deciso di mangiare la mela. L’unico frutto che la sua storia, il suo percorso esistenziale, le sue radicate convinzioni non gli avrebbero mai permesso di mangiare.

Di frutta delle più varie, rigogliose e saporose specie ne aveva tanta da poter masticare, ma ha deciso di afferrare l’unica che non avrebbe mai dovuto nemmeno prendere in considerazione.

Non avrebbe dovuto prenderla, quella mela, non per ottemperare a un’imposizione venuta dall’alto, ma, molto più semplicemente, per non contraddire una linea di condotta che lui stesso si era imposto: quella della Bellezza contro il cinismo del risultato-ad-ogni-costo; quella della Gioia e Rivoluzione contro le nefandezze del potere costituito, per arrivare fino alla sperata e inseguita conquista del Palazzo.

Certo, queste affermazioni, quella della “Bellezza”, della “Gioia e Rivoluzione”, della “conquista del Palazzo” e via dicendo, sono state e sono, vorrei sottolinearlo, soltanto una giocosa, ma anche gioiosa, metafora.

E lo stesso “gioco” del calcio – che si sostanzia, alla fin fine, nel far rotolare una palla all’interno di uno spazio delimitato da due pali e una traversa e chiuso da una rete di spago – cos’altro è se non una metafora?

E tuttavia – metafora per metafora – in molti, a Napoli, si erano innamorati dell’idea di aver trovato un Comandante che avrebbe potuto (sempre in linea di metafora) condurli fino alla conquista del Palazzo.

Sarri si chiama Maurizio

Ma purtroppo Sarri si chiama Maurizio.

Non si chiama Ernesto, come invece quei molti, a Napoli, avevano creduto si chiamasse.

Ma quale “Gioia e rivoluzione”. Macché “Fino al Palazzo”.

Non scherziamo, ragazzi.

Finché si è trattato di divertirci con queste parole virgolettate, va bene.

Ma quando poi si fa sul serio, si fa sul serio e basta.

E così, Maurizio Sarri ha scelto di abiurare.

E ha abiurato.

E fin qui, niente di straordinario. Di abiure ne abbiamo visto tante.

Per esempio quelle, per mantenerci alti, di Galileo Galilei e Alessandro Manzoni.

Solo che per Galileo la non-abiura avrebbe comportato la morte sul rogo, mentre per Maurizio avrebbe comportato solo “qualche dollaro in meno” e forse nemmeno quello.

Non osiamo nemmeno azzardare il paragone con Manzoni la cui “Bella, immortal, benefica Fede ai trionfi avvezza…” rischierebbe di scadere nella “Bella, immortal, benefica Juve ai trionfi avvezza…” accostamento che suonerebbe come pura pornografia.

Sarri al Palazzo

E così Sarri, “fino al Palazzo” ci è arrivato sul serio.

Ma non come in tanti avevano immaginato.

Non con i cosacchi a cavallo che sfondavano i cancelli e li aprivano alle masse che accorrevano urlando e invadendo giardini e stanze.

No, Maurizio ci è entrato da un’auto di lusso che è andata a prenderlo all’aeroporto, da un volo proveniente da Londra, e lo ha condotto fino al Palazzo dove un maggiordomo gli ha aperto la portiera posteriore per farlo scendere e farlo entrare dalla porta principale a ricevere tutti gli onori e gli assegni concordati.

Ennio Flaiano sosteneva che occorresse, nella bandiera italiana,  inserire la scritta “Tengo Famiglia” quale vero, unico e patriottico motto che accomuna tutti gli italiani, dal Monviso all’Etna.

Fu così anche quando, fedele al motto nazionale, il buon Maurizio confessò, in un’intervista di qualche anno addietro, di avere l’obbligo morale “di far arricchire la mia famiglia”.

Non conosciamo il suo stato di famiglia, ma deve trattarsi sicuramente di una famiglia numerosissima.

Fin qui tutto secondo norma e tradizione.

Una guerra virtuale sotto il Vesuvio

Il fatto sconvolgente e surreale, invece, viene dalla constatazione che su questa normale, forse anche banale, vicenda di un allenatore di calcio che passa da una Società ad un’altra, si stia scatenando sotto il Vesuvio (o, forse, si è già scatenata) una guerra che, quanto a furore e veemenza – ma anche per altri aspetti – ha molte affinità con quella combattuta tra i rivoluzionari giacobini del 1799 e i lazzari della Santa Fede del Cardinale Ruffo (al netto, ovviamente, del fatto che, essendo trascorso quasi un quarto di millennio dall’epoca della Repubblica Partenopea, le conseguenze della guerra odierna non avranno, per fortuna, gli esiti cruenti di quella precedente).

Ci saranno, in ogni caso, delle vittime virtuali così come virtuale è la guerra che si sta combattendo.

Il tutto causato, a mio parere, da un macroscopico scarto semantico.

Tutto quello che – in uno stralunato miscuglio di realtà e finzione, di gioco e sogno, tra sberleffo avanguardistico e trovatina goliardica – era fiorito intorno alla figura del Comandante, è stato inteso come vera e propria narrazione realistica.

La nascita di siti social e club dai nomi echeggianti altri e più densi contesti riferiti, oltretutto, ad altre e diverse epoche storiche: “Soviet sarristi”, “Sarrismo: gioia e rivoluzione”, “Fino al Palazzo” e finanche articoli scritti ‘a la maniere de…tirando dentro Zdanov e il ‘realismo socialista’, sono stati presi come moneta valida e circolante oggi, generando, nello stranito dibattito che ne è seguito, delle inconsapevoli, ma anche gustose, pieces  che non sfigurerebbero in una rassegna da Jarry a Jonesco.

E nessuno ha gridato: “il Re è nudo” e nemmeno: “Signori, attenzione, si tratta di metafora. Soltanto di metafora”.

La finzione al posto della realtà

La finzione e la “rappresentazione della realtà” sono state scambiate e hanno preso il posto della realtà vissuta.

Anche perché, diciamocelo, la realtà nuda e cruda sarebbe, nel nostro caso, abbastanza povera e squallida, oltre ad essere priva di qualsiasi appeal in grado di suscitare, da una parte e dall’altra, agitazioni dialettiche.

Che se poi c’è qualcuno il quale ha realmente pensato che un allenatore di calcio può offrire riscatto sociale a una città, si tratta di un problema che riguarda esclusivamente quel qualcuno e il suo psicanalista.

Così come se c’è, sull’altro lato delle barricate, qualche altro che, prendendo spunto da enunciazioni metaforiche di quel qualcuno, ne approfitta per definirle, tout-court, “sporche operazioni ideologiche di massa”, si tratta, anche in questo caso, di un problema che riguarda, specularmente, quel qualche altro.

Vi risparmio, in chiusura, il pistolotto sull’allenatore che è un professionista e che perciò può andare dove più gli conviene o gli aggrada. O quell’altra sulla “maglia” che è l’unica cosa per la quale tenere.

Stiamo parlando, per restare con Flaiano, de “l’ovvio dei popoli” al quale, disciplinatamente, mi aggrego e mi attengo.

 

 

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