Hanno dominato in finale ad Avellino (palazzetto bello pieno) la coriacea Ucraina. Giocatori che si conoscevano pochissimo, sono migliorati grazie al lavoro di Brad Brownell. Da seguire in NCAA
Ieri sera, in un Pala Del Mauro di Avellino bello pieno, gli Stati Uniti hanno vinto la medaglia d’oro alle Universiadi di Napoli 2019 nel basket maschile, dominando in finale (85-63) la stessa coriacea Ucraina che nel girone di primo turno li aveva impegnati allo spasimo perdendo di un solo punto. Ma quella di Team USA nel torneo è stata tutto tranne che una vittoria scontata (gli americani non erano nemmeno campioni uscenti, perché due anni fa vinse la Lituania).
Squadra più giovane tra le sedici al via (con tre diciottenni e sei diciannovenni nel roster e un’età media di 19.4 anni contro, per esempio, i 22.3 degli ucraini), Team USA è cresciuto impetuosamente di partita in partita, grazie al miglioramento della chimica tra giocatori che il 3 luglio si conoscevano pochissimo tra di loro e grazie al grande lavoro di coach Brad Brownell e del suo staff (nel quale c’è anche l’ex stella di Siena Terrell McIntyre!).
Va precisato che la nazionale americana, in pratica, era la Clemson University, scelta dalla federazione a stelle e strisce per rappresentare gli Stati Uniti a Napoli 2019 (tra le donne c’era la Mississippi State University, sconfitta in finale dall’Australia). I Clemson Tigers fanno parte della Atlantic Coast Conference, la più prestigiosa e competitiva tra quelle del campionato universitario NCAA (nella ACC, per intenderci, giocano Duke e North Carolina!). E nei mesi scorsi hanno dovuto affrontare un violento processo di ringiovanimento del roster, dopo aver perso ben quattro quinti del quintetto titolare per il termine degli studi universitari, più altri due atleti trasferitisi altrove.
Ma coach Brownell – da dieci anni sulla panchina dei Tigers e fresco di rinnovo milionario fino al 2024 – ha fatto i miracoli, assemblando un nuovo gruppo in tempi record, costruendolo intorno al totem emotivo e capitano (appena ventenne) Aamir Simms.
Un gruppo così rinnovato e poco rodato, dunque, aveva inevitabilmente bisogno di tempo per trovare quel minimo di equilibri che trasformano un insieme di individualità in una squadra vera. E, in tal senso, l’esperienza italiana tornerà utilissima ai ragazzi di Clemson anche durante la stagione NCAA 2019-2020. Non a caso, i due match migliori degli americani (che, comunque, hanno chiuso le Universiadi imbattuti, con un record di 6-0) sono stati proprio la semifinale vinta con Israele e, soprattutto, la finale stradominata fin dal primo quarto contro un’Ucraina annichilita dalla feroce pressione difensiva degli americani e dai continui cambi di coach Brownell, che ha impiegato una rotazione vera di dieci uomini con un tourbillon di uomini e quintetti che ha tolto qualsiasi punto di riferimento agli avversari.
Tra le fila di Clemson si sono messe in luce alcune individualità decisamente interessanti, come il tiratore bianco Tyson, l’atletica ala all-around Mack, il giovanissimo play Dawes, il centrone di 2.08 Jemison, ma soprattutto le due stelle della squadra: la guardia sophomore di 1.95 John Newman (ieri top scorer con 20 punti e 14 di media nel torneo) e la spettacolare ed elegante ala forte e capitano al terzo anno Aamir Simms (2.03, 15 punti e 10 rimbalzi di media, 12 ieri sera), che a tratti mi ha ricordato il Chris Webber dei tempi di Michigan. Inutile dire che da oggi, seguendo il torneo NCAA, avrò ben più di un occhio di riguardo per i Clemson Tigers, dopo essermi affezionato a loro durante questa calda estate napoletana delle Universiadi 2019.