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Dialogo tra Camilleri e De Crescenzo

“Ma guarda un po’ tu: ieri a sera stavamo commentando la sua dipartita ed ora ci ritroviamo qua, Maestro”

Dialogo tra Camilleri e De Crescenzo

….è di luglio
la più cupa speranza di riuscire
a fare della morte un’abitudine.
Elio Pagliarani

Una figura distinta vestita in un completo coloniale bianco ed un panama dello stesso colore emerse dall’ombra.

Camilleri: “Ed ura a chi è tuccata questa cammuria della murti?”.

De Crescenzo: “Ma guarda un po’ tu: ieri a sera stavamo commentando la sua dipartita ed ora ci ritroviamo qua, Maestro”.

C: “Ma è na muria de litterati: vabbé che luglio è un mise in cui tutti li anziani morono, ma chista mi pari un signo nefasti”.

DC: “Disse bene Maestro, non solo per gli scrittori ma per il nostro Sud”.

C: “Una cosa mi fice sempre specie ‘ngegneri, come mai lei che è napulitano non parli il su dialetta?”.

DC: “Ma caro Camilleri io sono figlio di una generazione di giovani nel dopoguerra che studiarono nella Napoli della Ricostruzione: è la nostra aspirazione era quella di diventare dei buoni borghesi”.

C: “C’ira in voi quella spiranza di fare di Napoli un loco normali, al di là delle folcloriche apparinze, Ma voi poi vicolaste la veri Napoli”.

DC: “Del resto anche lei Maestro fu corrispondente dalla Sicilia di quel giornale Sud che vide in La Capria ed altri letterati di talento una speranza di cambiamento”.

C: “Io comunqui la secutai nella mia spirinzia in Raie: che tilivisione faciste cu Arbori e la sua Bande”.

DC: “In effetti, al di là delle mie esperienze cinematografiche ed i miei libri di foto e di filosofia che mi hanno dato popolarità, quel lavoro come autore televisivo è quello che mi diede più soddisfazione”.

C: “ ‘Ngegneri, commo si spusava la sua binaria cumpetenzia che ha parturito homini comm’ a Catarella con la sua voglia di fari pilosofie?”.

DC: “Maestro per me l’Ibm fu un punto di arrivo professionale, ma la nostra vera vocazione era raccontare Napoli cercando di migliorarla: fare del divertimento che partendo da Napoli arrivasse al di sopra della linea della palma”.

C: “Ma ppoi a nui come a vui – Sudde diversa ma fratilla; nota del ridatturi – ci ha fottuto la pulitica e le maffie”:

DC: “Vero, ma almeno abbiamo fatto la vita che volevamo in mezzo a questo torpore mediano che è dimentico dell’eredità greca che ha fatto Napoli”.

C: “In funno aldilà della nostra divirsa identità terricola nuie ‘na cosa l’havimo in comuni”.

DC: “Quale Maestro?”

C: “Omnes noia havimo amato la vite”.

DC: “Sì, abbiamo allargato le nostre vite, e non le abbiamo allungate – mi scuso per l’autocitazione”.

C: “Citarsa eccitarsa uaie notte (traduzione in siciliano del brocardo, ‘citarsi eccitarsi why not?; nota del ridatturi – ?”.

DC: “Avrei voluto conoscerla di più Maestro, ma in quella Roma che entrambi frequentavamo per lavoro ci siamo solo sfiorati”

C: “Ruma è granna e ‘spersiva, ma homina commo a nuia si fiutavvano da luntana e si pesavana”.

DC: “Così è”

C: “Nelli ultimi timpa malata fu?”

DC: “Sì, e sono rimasto un po’ appartato, ma io ho un cuore napoletano e dei comportamenti un po’ british; come molti napoletani sono la summa di tante cose. Non esiste invero un napoletano uguale agli altri. Siamo un popolo di individualisti-comunitari”.

 

 

 

 

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