Montalbano non ce la faceva più: erano sei misi che non vedeva la zita e non si faceva un giorno di festa da altrettanti e gli era piombata tra capa i colli quest’altra camurria della Siwatche
Montalbano era in un periodo un po’ accussì ed il suono del telefono rappresentò per lui un’ennesima rottura di cabasisi.
Livia: “Caro, scendo per qualche giorno. Ci vediamo tra qualche ora a Marinella, vieni a prendermi Mimì…. “.
Montalbano: “Sì, cara… Io sono al molo di Vigata: aspettiamo una nave olandese che porta dei povirazzi dall’Africa. Poi ti dico tutto”.
In primisi questo fatto che quando scendeva da Boccadasse la sua ragazza Livia si facesse accompagnare dal suo vice Mimì Augello era qualcosa che andava monitorato (“Poi, lo aggiusto io per le feste quel cornutazzo di Mimì…”).
(Sera. Marinella splendeva nelle sue onde diseguali che non riuscivano a vincere il ciglio del bagnasciuga dove sorgeva la villetta che il commissario Montalbano aveva affittato a Vigata).
L: “Salvo, mi sei mancato tanto… “.
M: “Anche tu Livia… “.
L. “Ma ti trovo stanchissimo… “:
M; “Vengo ora dal molo di Vigata: il questore ci aveva ordinato di ricevere quella nave olandese con 42 africani che loro chiamano ‘clandistini’ ed io avevo il compito di arrestare la picciotta che era al comando della Siwatche che aveva forzato il blocco per portare a terra i povirazzi”.
L: “Sì, sembra che in Italia non si parli di altro: mentre siamo sotto il pericolo di procedura d’infrazione europea, buttano giù il Morandi, tolgono soldi alla Scuola, possono aumentare le clausole dell’Iva… “.
M; “Livia, politica è, anche se io ad arrestare una ragazza di ventinovi anni provai virigogna… “.
L: “Si, ho letto anche che Feltri è intervenuto di nuovo per dire che a suo giudizio l’avrebbero dovuta mettere in galera”:
Montalbano non ce la faceva più: erano sei misi che non vedeva la zita e non si faceva un giorno di festa da altrettanti e gli era piombata tra capa i colli quest’altra camurria della Siwatche.
M: “Feltri può dire quello che voli ma non mi sembra che sia un piemme né un gippee”.
L: “Ma cosa è successo al nostro Paese, Salvo?”.
M: “Nenti successi Livia: stiamo solo peggiorando per eccesso di benessere non percepito”.
L: “Salvo, se puoi parlare ‘più latino’, come ami dire tu, perché non ti ho compreso”.
M: “Va beni, Livia, ecco: cos’è che cummanda oggi giorno il nostro tempo? La communicazioni”.
L: “Sì, è tristemente vero”.
M: “Questa communicazioni è commo quel mostro che studiavamo al liceo, il Liviatano: che per inteso Livia cu tia non ci trasi nenti”.
L: “Ah, volevo ben vedere… “.
M. “Babbiavo Livia, se non ci facciamo du risateddre tra noi morimo di troppa rialtà”.
L: “Va bene, Salvo, ma ora vai avanti con la tua analisi”:
M: “Ma quale analisi Livia, io qua constato, vado a tintoni… Facendo il mio misteri sono spalla e spalla con la famosa genti che è sempre meno pirsona”.
L. “Cioè Salvo, non incomincerai con le tue astrazioni?”.
M: “Ma qualichi astrazioni Livia: io ti parlo di cose cotidiane, che vido tutti li juorna. Allora, purtroppo il nostro popolo si è accucciato su si stisso. Le cause? Facili: c’è molto meno travaglio e la genti non riesce ad arrivare alla fine del misi perché poi il tinori di vita è rimasto lo stisso. Si ha paura di farsi vedere più poviri perché si teme di essere tagliati fora dalla vita sociali”.
M: “E allora Salvo?”.
M. “Allura quando guardiamo negli occhi questi che venino dall’Affrica e che poviri sono veramente la maggioranza di noi ne havi paura pirchi gli ricorda qualcosa che avevamo espunto dalla nostra mimoria collittiva. Ma basterebbe farsi una camminata nel Duomo di Montelusa dove si trovino eccsevoti di ringraziamento per salvataggi operati dalla Madunna nel 1905 quando sui barcuni ci stavano i nostri bisnonni che andavano alla ‘Merica”.
L: Vero è Salvo… “.
M. “Che fai parli anche tu siciliano? Sì, e con i ‘sociali’ dove chiunqui pote commintari si ricreano quegli scontri dialettici che la mia generazione ha vissuto in Piazza, ma che ora determinano flussi di voti oltreché l’economia: due facci della stessa medaglia, “la lunga marcia del dinaro” come scrisse quel litterato piemontesi, Cironetti”.
L. “Ma allora andremo sempre peggio?”.
M. “Forsi, finché la genti non si trasformerà di nuovo in pirsone. Ma ora dormiamo che dimani voglio portarti a vedere la Scala dei Turchi. Ho bisogno di un po’di billizza e di pinsari a ripulirmi il criveddro”.