Dal ct Campagna all’argentino Echenique. Messi e la tessera del Recco. I napoletani Velotto e Renzuto. Il caso morbillo. Dove lavora oggi Gandolfi
L’Italia ha vinto per la quarta volta il titolo mondiale di pallanuoto. La Nazionale allenata da Sandro Campagna ha battuto la Spagna per 10-5. Una partita dominata. I tre titoli li ha vinti nel 1978 a Berlino, nel 1994 a Roma e nel 2011 a Shanghai. Ha perso due volte in finale. L’ultimo oro olimpico degli azzurri (1992) arrivò proprio battendo la Spagna dopo tre coppie di supplementari.
Uno per uno: chi sono i ragazzi italiani che alle 11.30 ci provano
Marco Del Lungo, portiere, 29 anni, laziale di Tarquinia, gioca nel Brescia. Due anni fa, a pochi giorni dai Mondiuali, dovette rinunciare per una forma di morbillo contratta nonostante fosse vaccinato. È il più assiduo frequentatore delle lezioni di Francesco Scannicchio, il video analyst che con il software “Grande Fratello” acquisisce immagini di partite da tutto il mondo.
Gianmarco Nicosia, portiere, 21 anni, enfant prodige. Gioca da quando ne aveva 10. Per contrastare la diffidenza dei professori di scuola, per anni è andato ad allenarsi alle 7 del mattino prima di entrare in classe. Romano, gioca a Busto Arsizio.
Gonzalo Echenique, attaccante mancino, 29 anni, argentino di Rosario con cittadinanza spagnola e naturalizzato italiano grazie ai nonni di Castiglione di Sicilia. Ha giocato per tutt’e tre le nazionali. Porta tatuato dietro la schiena il nome della squadra per cui fa il tifo: il Newell’s. Per lui Messi, rosarino, ha preso la tessera di socio della Pro Recco. La numero 1010.
Edoardo Di Somma, 23 anni, genovese, fratello minore dei pallanuotisti Roman e Alessandro. È del Recco che lo ha dato in prestito al Busto Arsizio. Tre anni fa lo shock per essere rimasto coinvolto in un incidente stradale fra scooter con una vittima.
Stefano Luongo, 29 anni, ligure, anche lui con un fratello pallanuotista, Michele. È rientrato nel giroe della Nazionale vincendo la classifica cannonieri quest’anno. È stato squalificato ad aprile per una giornata per aver criticato un arbitro sulla sua pagina facebook.
Matteo Aicardi, 33 anni, ligure. A febbraio in una intervista a Sky raccontò la dura vita da centroboa: dalla gomitata che gli spaccò il naso alla prima partita olimpica ai morsi. Uno al collo per il quale dovette prendere l’antibiotico e uno sventato ai testicoli.
Niccolò Figari, 31 anni, ligure. A giugno ha lasciato dopo 11 anni la Pro Recco per giocare di più a Brescia in previsione delle Olimpiadi.
Vincenzo Dolce, 24 anni, salernitano. Gioca a Busto Arsizio nel ruolo di difensore.
Vincenzo Renzuto Iodice, 26 anni, napoletano, con l’azzurro delle giovanili campione del mondo e d’Europa. Nel 2017 si è regalato l’esperienza di fare un anno da straniero nel campionato croato, giocando per lo Jug Dubrovnik e vincendo lo scudetto.
Alessandro Velotto, 24 anni, napoletano, difensore. Ha lasciato la sua città per il piacere di andare a lavorare a Recco con Ratko Rudic, ex ct della Nazionale italiana. Anche lui prese il morbillo alla vigilia dei Mondiali di due anni fa.
Francesco Di Fulvio, 26 anni, abruzzese, centrovasca. Gioca nel Recco dopo essere stato a Roma, Firenze e Brescia. Anche Andrea e Carlo, fratelli maggiori, giocano in Serie A. Sono tutti figli di Franco, 9 tornei in serie A, uno dei protagonisti del grande Pescara che si aggiuidicò scudetto e Coppa dei Campioni con Manuel Estiarte.
Pietro Figlioli, brasiliano di Rio, 35 anni, figlio di José Sylvio Fiolo, ex nuotatore brasiliano vincitore di due medaglie d’oro ai Giochi panamericani ed ex detentore del record del mondo dei 100 rana. ha iniziato la sua carriera in Australia, prendendone la cittadinanza e giocando in nazionale fino al 2009 quando ha optato per l’Italia. Gioca nel Recco.
Michaël Bodegas, 32 anni, marsigliese di nascita, un bisnonno piemontese e una nonna emigrata bambina da Rivalta Bormida. Bodegas possedeva una galleria d’arte moderna a Marsiglia e un bar a Parigi. Suona la batteria, il piano e il basso. Studia composizione. Campiona suoni al computer. Nel suo locale organizzava eventi e serate, offrendo il palco a musicisti esordienti. Ha venduto tutto per concentrarsi sulla pallanuoto. Quando smetterà, farà il produttore musicale. Sa giocare da difensore centrale e da centravanti nel corso della stessa azione. Sua moglie è galiziana, lui l’anno prossimo giocherà a Barcellona.
Il ct Sandro Campagna, siracusano di Ortigia, 56 anni, oro olimpico e mondiale da giocatore negli anni 90, in panchina dal 2000 a oggi con una parentesi (2003-2008) da ct della Grecia, dove ha costruito da zero un movimento.
“I miei d’estate affittavano una cabina a Mondello. Accanto a noi c’era Cestmir Vycpalek, l’allenatore della Juve. Giocava a scopone con papà e nonno. Io me ne stavo lì davanti con il pallone e con i suoi nipoti, spesso veniva Zeman, ogni tanto Cestmir si voltava verso di me, col vocione grosso prometteva: Sandrino, Sandrino, un giorno ti porto con me alla Juventus”.
“Senza lo sport, forse avrei avuto problemi. Per questo mi piace allenare due tipi di giocatori, quelli con cui basta uno sguardo e quelli che hanno il coraggio di dire: non ho capito”.
Il nome della Nazionale era inizialmente riservato alla Rari Nantes Napoli. E’ nato nell’estate del ’37, quando la squadra campione d’Italia stava rientrando da una trasferta a bordo di una carrozza ferroviaria di terza classe. Nei pressi di Viareggio, salirono alcune ragazze tedesche e nel tentativo di far colpo uno dei giocatori, Mimì Grimaldi, spettatore l’anno prima ai Giochi di Berlino, dice loro: “Wir sind sieben”, siamo sette. “Schon”, belli. “Sieben schon”, sette belli. Un paio di giornalisti adottano il soprannome: Arturo Collana e Gino Palumbo. Una parola concorrente viene partorita dai rivali della Florentia: il Settefiori. Ai Giochi di Londra del ’48, tre napoletani della Rari chiamati in Nazionale (Arena, Buonocore, Bulgarelli) incontrano Niccolò Carosio e gli chiedono di essere chiamati Settebello alla radio per Italia-Francia. La medaglia d’oro darà popolarità a quel nome giunto fino a noi.
La musica che piace a Bodegas
Lei fa anche il produttore musicale, che cosa ascolta qui?
«Mi hanno fatto scoprire un po’ di rap napoletano, non male. Ma riprenderò al ritorno, qui bisogna scegliere altre colonne sonore, la mattina coreana è soul: tutti titoli Motown».
Pallanuoto e musica, due mondi che nella sua carriera si mescolano.
«In quella di tutti. Lo sport e la musica sono due flussi di emozioni e in entrambi i settori serve ritmo giusto».
Il Settebello che ritmo ha?
«Non scontato, in crescendo: jazz direi, perché cambia spesso».
Nel jazz si improvvisa e ognuno va per conto proprio.
«No, ognuno fa il suo e da lì esce… speriamo un capolavoro».
Che cosa ascoltare per festeggiare la medaglia che sarà.
«L’inno di Mameli».
Intervista con Giulia Zonca, la Stampa