Sono le tre di notte e il commissario non può dormire per la calura
Si era arrisbigliato assamarrato di sudore. Erano le tri di notta: chiffare? Forse poteva liggiri l’ultimo giallo – che gli aveva regalato Livia – di quello scrittore in voga che faciva moriri il suo personaggio triste e desolato. Ma doppo picca Montalbano non riusci più a dare adenzia al romanzo: una lingua troppo semplice e diseducativa per il littori: eppoi questa enfasi sulla tristezza del munno, come se non bastasse la cronaca nira china di omicidi di criaturi e fimmine.
Vabbuono! , meglio prepararisi il primo caffè della jurnata che si apprisintava longa e camurriosa. Anche il fischio della moka casalinga pirò inondava la cocina non dell’effluvio magico del café ma di una culunna di caluri che neanche i gyser islandesi. Ma almeno il cafè riusci a portarlo per pochi secondi al ritmo di quella notte che non faciva alcuna rumorata: neanche il rumore del mare.
Ora Montalbano capiva pirchì nelle centenarie case dei Gattopardi siciliani si costruivano le case dello scirocco: era come avere in testa una langella che ti faceva firriare la capa. Aprì allura la tilivisioni e si sintonizzo su Televigata: solite sciarriatine condominiali dove non erano neanche intervenuti i colleghi, incendiii non troppo spontanei, nuovo programma della stagione al Teatro greco di Siracusa dove quella sera ci sarebbe stata la Lisistrata recitata da quell’attore romano calvo che Fazio diciva gli somigliasse un po’. Ninta, non riusciva a ripigliari sunno: nuttata pirsa e figlia femmina, dicivano i vecchi suoi. Adelina, la sua fimmina di casa sarebbe arrivata alle sei ed aora erano appena le quattro della mattinata.
Meglio infilarisi i boxer del custuma e farsisi una bella natata mari mari. Montalbano aveva quasi scanto di entrarici in acqua ma subito si accorse che anche quella del pilago era un brodo primordiale che voleva scottarlo come si faci per le aragoste che vinivano da Pantelleria. Non resistette a longo e decise di infilarisi sutto la duccia. “Maledetta la sucietà dell’acqua di Montilusa!”, si senti parlare il commissario, “ma è possibili che in un Paese occidentali ci stava l’acqua calda e non quella fridda?”.
Ma forse la su beddra Sicilia un paisi occidentali proprio nun’era. Chi fari? Montalbano continuava a sudari le sitte camici senza camici. – Ora – nel pinsero – spirava in una tilifonata di Catarella: chè almeno gli dessero un bell’omicidio mattutino in modo che isso potesse farsi iuoco di chillo cavudo che lo stava minando dintra.
Ora tambasiava casa casa, sinsa sapiri pirchì… Ma il cavudo con il pinsari aveva un suo rapporto diretto? Come mai in quella parte della Sicilia erano nati filosofi presocratici di tutto rispetto con quel clima? , all’ebbricca non c’ira ancora il riscaldamenti globali? Ora la cosa stava assumendo dei contorni anche psicoanalitici preoccupanti: era proprio vero che il ciriveddro era una sfuglia di cipuddazzu. Tilifonari a Livia? Nonsi: edda era capaci di mandarisillo a quel paisi luntano!
Provare a mettere ordini in quei cascitta dell’armuar in salone? Ma doppo picca di sintì di nuovo assamarrato di sudori. Altra doccia calda e la sinsazioni che lo sporco entrasse e non uscisse dal suo corpo. “Sta facenna è laida assai”, si scoprì a dire Montalbano in un’altra affermazione assolutamente non spintanea come se ci fussi anche un algortimo virbali del caluri. Da questo vasu di Pandori involontario principiarono a saliri anche biastime di notivoli entità: e Salvo – ora si dava del tu – cerco di ricacciarle giù. Ma proprio come nel mito di Esiodo la spiranza di una picca di friscura rimaneva dintra al vasu, ammucciata come un clandistino su una tolda di un barcuna. C’era allora un senso all’afa che sospendeva pensiero, dolore, vita? Chissà – pinsò Montalbano – forse il senso sta proprio qui: “C’è un tempo per tutto: ora arriposati. Tempo bona verrà”.