“5 è il numero perfetto” è a Venezia (e ora in sala). il film è un piccolo gioiellino, lontano dai Manetti Bros. Può essere un film-capostipite
Che film è “5 è il numero perfetto” in queste ore alle Giornate degli autori di Venezia, ed in sala dal 29 agosto, tratto dalla graphic novel (Coconino Press) del maestro Igort (Igor Tuveri) che ne cura anche la regia? Un film con una bella novel – nel senso drammaturgico del termine – e con ritmo da fumetto e con una Napoli piovosa, notturna ed enigmatica.
Napoli, settembre 1972, Peppino Lo Cicero – un Toni Servillo con naso rifatto e capelli rasati a zero – è un killer in pensione della famiglia Guarino che come unica aspirazione ha da badare alla carriera da sicario del figlio Nino (Lorenzo Lancellotti), Ma in un’esecuzione di un rockabilly, Mister Ics, Nino viene ucciso da quella che sembra un’esecuzione ordita dal suo stesso clan camorristico. Peppino si trasforma in un giustiziere ed insieme al suo amico di sempre Totò ‘o Macellaio (Carlo Buccirosso) ed alla sua amante Rita (Valeria Golino) mette a ferro e fuoco il centro storico partenopeo.
La guerra di camorra diviene esiziale e Peppino si scontra – per uno scambio di prigionieri – con l’altra famiglia egemone dei Lava ed è costretto alla fuga da Napoli, come in un romanzo di Ferrandino.
Il film è un piccolo gioiellino nel suo nuovo (?) genere e nulla ha a che vedere con le ultime due pellicole dei “Manetti Bros” – “Song ‘e Napule (2014)” e “Ammore e malavita (2017)” – cui era stato avvicinato anche da Carlo Buccirosso in un’intervista. La fotografia del danese Nicolaj Brüel, il vincitore del David di Donatello 2019 con “Dogman” di Garrone, è riuscita, ma una menzione la meritano anche i facitori della musica – D-Ross & Startuffo – con il loro “Suono killer”, una colonna sonora che accompagna le sparatorie ed i solipsismi di Don Peppino, con acribia musicale dell’inizio degli anni ’70 e tanta elettronica. La scenografia del maestro Nello Giorgetti è un tuffo sempre in quegli anni con ancora gli orologi a transistor appesi ai muri. Belle quelle strips dei dettagli che intervallano i momenti narrativi: unica vera eccezione da balloon d’autore insieme ai ralenti delle sparatorie. Queste contaminazioni di linguaggi (fumetto-cinema) sono vincenti quando c’è il mix giusto: un film senza drammaturgia appropriata vanificherebbe qualsiasi tavola raffinata. Film-capostipite che forse segnerà un nuovo genere.