Il sostegno negli ambienti neofascisti della Curva Nord. Al funerale ha ricevuto lo stesso tributo di Stefano Delle Chiaie

Sul Messaggero la seconda parte del racconto a puntate della storia di Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik.
Diabolik è stato bravo a trasformare in lucrosa fonte di guadagno una passione, scrive il quotidiano. Agevolato dalla gloria della Lazio negli anni della sua ascesa come capo ultras. Nel momento di splendore del club il merchandising della squadra e dei gadget, collegati alla curva, volava alle stelle. E Diabolik si era inserito a perfezione nel business della promozione dei prodotti legati al tifo.
Il ricatto a Lotito
Fu agevolato dalla gestione di Cragnotti che non esitava a foraggiare gli ultras. Cosa che invece smise di fare Lotito quando diventò presidente della Lazio.
Il cambio di registro destabilizzò Piscitelli, Fabrizio Toffolo, Yuri Alviti e Paolo Arcivieri, che così iniziarono a ricattare il presidente insediatosi nel 2004. Un’estorsione che si concluse con l’arresto dei quattro.
Tutto aveva avuto inizio nel 2006, spiega il Messaggero.
“Quando un fantomatico gruppo ungherese, capitanato dall’ex stella biancoceleste Giorgio Chinaglia, pretendeva la vendita delle quote del club. Uno pseudo-gruppo imprenditoriale la cui consistenza economica — come emergeva dalle carte — era nulla: «producevano (il gruppo ungherese ndr) alla Consob tre modelli di bonifico per un importo di 24milioni di euro, falso». Ma il gruppo d’acquisto più che a pagare puntava, a suon di minacce, a convincere Lotito a cedere la società”.
Il braccio armato era costituito proprio dai 4 ultras. Furono tutti condannati. Ma negli anni passati tra carcere e domiciliari Diabolik non si mise sulla retta via, anzi. Nel 2009, appena tornato libero, si dedicò allo spaccio.
La droga
Nel febbraio 2011 importò dalla Spagna una partita di hashish di un quintale. Voleva riversarla sulla piazza romana ma non sapeva di avere sul collo il fiato della Finanza. A settembre riuscì a sfuggire alle manette ma in ottobre fu beccato a casa di amici mentre guardava un match della Lazio di Europa League. Finì di scontare la pena a luglio del 2017.
Ma l’ennesimo arresto non indebolì il suo prestigio, anzi.
Nel frattempo, a luglio del 2014 e del 2016, la procura aveva messo i sigilli al suo immenso patrimonio: più di due milioni di euro, tra case conti correnti e marchi.
“Ma ciò che per gli inquirenti aveva rappresentato la prova del nove, erano state le indagini di Mafia Capitale”.
I picchiatori albanesi
I più pericolosi criminali, racconta il Messaggero, parlavano o facevano affari con Piscitelli. Era in affari dal 2010 con Michele Senese e aveva a sua disposizione una batteria di “picchiatori” albanesi.
Tra questi c’erano Arben Zogu, condannato nel 2013 per associazione di tipo mafioso e Orial Kolaj (un pugile), oltre a Yuri Shelever e Adrian Coman.
La banda controllava, per conto della camorra, la piazza di spaccio nel fortino di Massimo Carminati: Ponte Milvio. Sotto la benedizione di Senese aveva preso il controllo di molti locali commerciali, tra cui il pub “Coco loco”. Dalle intercettazioni di Mafia Capitale emerge che quello era il loro punto di riferimento.
L’arresto di Carminati e Diabolik
Carminati e Piscitelli vengono arrestati a quasi un anno di distanza.
“L’ultras biancoceleste però, nel frattempo era anche uscito di galera, a luglio del 2017. Tuttavia la giungla criminale romana si era radicalmente modificata rispetto a quando, quattro anni prima, era finito in cella. I punti di riferimento erano saltati, Il Cecato al 41 bis come l’amico e protettore, Michele Senese e il picchiatore albanese Zogu. Con la mappa della malavita squadernata, Piscitelli aveva trovato sostegno nella solita curva e negli ambienti della destra estrema. Altro territorio su cui Diabolik poteva sempre contare. I neofascisti nella Nord erano di casa, avevano fornito una presunta base ideologica, fondata sulla violenza, che aveva sempre rappresentato il carburante per gli ultras. D’altro canto un riconoscimento da vero camerata, a Piscitelli, era stato concesso al suo funerale il 21 agosto. Il feretro aveva sfilato sotto una foresta di braccia tese, tra i saluti romani di vecchi neofascisti come Maurizio Boccacci e Bruno di Luia. Un simile “tributo” era stato concesso, lo scorso 12 settembre dopo le esequie, solo al fondatore di Avanguardia Nazionale, Stefano Delle Chiaie”