Le sue dichiarazioni sono state un saggio di comunicazione. Ha smontato l’architrave di menzogne che da giorni infestava Napoli. E ha fatto decisamente chiarezza
Quando hai tempo da perdere, sei molto rilassato, guardi il mondo con particolare gaiezza, puoi persino inoltrarti in una conversazione con uno dei tanti papponisti – detrattori di De Laurentiis, che lo apostrofano col termine pappone – e divertirti a smontare una a una le scempiaggini che compongono l’architrave del suo pensiero (definiamolo così). Ma proprio quando lui è alle corde, come Alan Minter contro Marvin Hagler, con il volto grondante sangue, senza nessuno all’angolo che getti la spugna, sai cosa fa? «Sì ma non sa comunicare». Ahhhhhhhhhhhhhh, gaberianamente ahhhhhhhhh.
Teorici della comunicazione, titolari del magistero della comunicazione. Napoli gronda di insigni (termine non casuale) comunicatori, che analizzano e discettano delle diversità tra McLuhan e De Kerkhove. Uomini – e donne – che Alastair Campbell se lo mettono in tasca persino con senso di sufficienza.
Ebbene, oggi Aurelio De Laurentiis ha offerto una saggio di comunicazione. All’uscita da Palazzo San Giacomo e prima di un pranzo – appunto – di comunicazione, il presidente del Napoli ha maciullato l’ennesimo castello di menzogne di cui Napoli si stava avidamente nutrendo. Alimentando ulteriormente il proprio già debordante masochismo. In una battaglia, Napoli ama infierire sui propri compagni, schernendoli anche, per poi consegnarsi all’avversario invece di provare a combattere il nemico e rischiare di perdere. Le Quattro giornate sono lontane, ecco. Così capita sistematicamente.
L’ultima è che Ancelotti era diventato il peso di questo Napoli. De Laurentiis non lo voleva più. Sì, perché a Napoli Ancelotti è un allenatore qualsiasi, uno che ha vinto soltanto con i benestanti. Avrebbero vinto anche loro col Real Madrid, col Milan, il Psg, il Chelsea, il Bayern. Dimenticavamo: i comunicatori sono anche grandi allenatori. Non va dimenticato. Nonché navigati capitani d’impresa. Gestiscono centinaia di dipendenti, relazioni internazionali, sanno cosa vuol dire guidare un gruppo. Poi sono modesti, un filo timidi, e nella vita hanno scelto di dedicarsi ad altro. A incarichi apparentemente meno soddisfacenti. Ma quando uno è in pace con sé, si sente adulto dentro, non ha bisogno del consenso.
Ancelotti dicevamo. Rottura prolungata, come nel trotto. Noi ve lo avevamo anche scritto che non era così. Ma ascoltarlo dalla bocca di De Laurentiis, diciamolo, è stata un’altra cosa. «Per me, può rimanere anche dieci anni». E uno.
Ma lo spogliatoio è spaccato, dicono. Insigne, il capitano, non ama l’allenatore. De Laurentiis ciacca e medica? Non proprio. «Insigne deve capire cosa vuole fare da grande. Non può avere atteggiamenti di sfida verso Ancelotti». Se c’è qualcuno aveva insinuato o pensato che potesse mantenere un profilo ambiguo – peraltro a lui poco adatto – è rimasto deluso. L’allenatore è Ancelotti, il presidente è De Laurentiis, Insigne è il benvenuto ma deve capire l’abc della vita. Deve imparare “a fare buon viso a cattivo gioco, perché il cattivo gioco esiste”. Un discorso da comunicatore e da buon padre di famiglia. “Figlio mio, se capisci è bene sennò pazienza”.
Non ha mai sbracato De Laurentiis. Lo ha fatto soltanto in una circostanza. Sarà stato casuale? Crediamo di no. Quando ha risposto alla domanda su Mertens e Callejon. Evidentemente la situazione lo richiedeva. Il mezzo è il messaggio. Ma anche il messaggio è il messaggio. «Se uno vuole fare le marchette in Cina per vivere due o tre anni di merda, è un problema suo». Non da Buckingham Palace ma efficace. Diretto. Sicuramente è stato recepito. Anche loro: se vogliono rimanere, sono i benvenuti. Di certo a 32 anni non si è considerati un calciatore da sei milioni di euro netti l’anno. In Europa non te li dà nessuno. In Cina sì, e le frontiere sono aperte.
Ha detto che Koulibaly lo venderà. Perché i giocatori vanno venduti. Perché è così che le squadre si finanziano. Poi, si reinveste. Altrove, in Europa, è un sistema virtuoso. Il Napoli – come abbiamo già scritto – vende poco.
Si è tolto il sassolino dalla scarpa quando ha risposto alle domande su Fabian Ruiz: «Se ho speso 30 milioni, vuol dire che qualcosa ne capisco».
Ah sì, perché De Laurentiis oltre a non capire nulla di comunicazione, non capisce niente nemmeno di calcio. È solo fortunato. Sapete chi lo ha detto? I comunicatori di casa nostra. Non sappiamo se tra questi ci siano anche gli opinionisti delle tv di casa nostra, del territorio. «Quelli che devono fare ammuina per 300 o 500 euro a puntata, che devono recitare la loro parte. Sono abituato a frequentare Eduardo De Filippo, certe cose le capisco e le accetto». Per oggi è tutto, la lezione è finita. Ci risentiamo al prossimo castello di menzogne da smontare. Perché a comunicare, i papponisti non sanno comunicare. Ma a costruire castelli sono bravi. Impiegano pochissimo tempo.