Eseguire i monitoraggi era troppo pericoloso. Se si dovesse dimostrare che il crollo è dovuto al cedimento dell’impalcato ci sarebbe l’accusa di omicidio
Alcuni controlli sul Ponte Morandi – per nulla marginali nell’inchiesta sul crollo – non venivano effettuati dal 2013.
Lo scrive Il Secolo XIX. Viene fuori dalle mail acquisite dalla Guardia di Finanza che riguardano scambi tra Spea, Autostrade e Aspi.
Si tratta dei controlli nei cassoni del viadotto, le gallerie costruite appositamente per verificare lo stato di salute dei cavi strutturali sotto l’impalcato. Eppure, nei report, i controlli erano dati per fatti e avevano anche un punteggio rassicurante.
Alcuni supertestimoni dipendenti di Spea hanno confermato che ignorare queste ispezioni fosse diventata ormai una sorta di prassi. Non solo. Nelle mail intercorse tra Autostrade e Spea risulta che tra le due società c’era una sorta di contenzioso su questi controlli.
Nei documenti acquisiti dai finanzieri, Spea evidenzia la difficoltà ad eseguire gli accertamenti. In alcune occasioni le due società discutono sull’opportunità di
“fare effettuare agli incaricati delle verifiche nei cassoni dei viadotti speciali corsi in materia di sicurezza”.
E poi ci sono anche le intercettazioni ad avvalorare quanto emerge dai documenti.
I controlli potrebbero diventare fondamentali, nell’inchiesta. Se l’incidente probatorio che si concluderà a dicembre dichiarerà che a cedere, il 14 agosto 2018, è stata prima la parte alta del ponte, cioè un tirante o l’antenna, la questione cassoni avrebbe un’importanza relativa.
Se invece, come sostiene la commissione ministeriale, a crollare per primo è stato l’impalcato, cioè il piano strada su cui passavano auto e camion, allora i mancati accertamenti dentro le gallerie sotterranee potrebbero portare chi ha firmato quelle relazioni alla contestazione di omicidio.