La presunta città dell’amore sta dando il meglio di sé. La colpa del tecnico? Aver detto che si poteva e si può competere per lo scudetto. Invece di rifugiarci nel vittimismo. L’abc di un uomo di sport, di un vincente. Qui è ritenuto un inganno.
Lunedì mattina, scrivo nella mia chat rossonera, chat ovviamente ancelottiana. A tutti i milanisti che conosco, brillano gli occhi quando parliamo di Carlo. Qualcuno ogni tanto chiede notizie, qualcun altro – Michele Fusco – osserva: “certo che si è intristito”.
Ecco lo scambio: “Non dico ai livelli di Giampaolo, ma Carletto è in difficoltà”.
Pronta la risposta: “Scambiamoceli, dai”. Firmato Jacopo Tondelli. Lo scambio lo farebbe a occhi chiusi, anche col nuovo allenatore. Non lo sanno a Milano, non possono saperlo, e noi non glielo diciamo, che a Napoli un bel po’ di persone avrebbe voluto Giampaolo sulla panchina del Napoli. Per una serie di ragioni che qui non stiamo ad approfondire perché sennò ci intristiamo più del dovuto. Ma insomma ha a che fare con quella questione della bellezza.
Napoli è uscita segnata da un week-end micidiale. Vittoria della Juventus di Sarri, gol decisivo di Higuain e pareggio del Napoli a Torino con brutta prestazione. Gli argini si sono rotti. È riapparso persino Bargiggia nuovo idolo di parte della tifoseria. Deve rivendicare che lui – sigh – lo aveva detto prima di tutti che Ancelotti era venuto a Napoli a prendere la pensione. E a Napoli a Bargiggia srotolano i tappeti rossi. Mentre ad Ancelotti – uno che aveva tutto da perdere a venire a Napoli, che lo ha fatto con grande entusiasmo, tra l’altro anche per i ricordi che aveva del tifo che aveva vissuto da avversario – vengono riservati i giorni del livore cieco. Quanta incommensurabile tristezza.
Si assiste a fenomeni meravigliosi. Sui social i tifosi mostrano con orgoglio il gol di Higuain. “Così si gioca a calcio”. Manca poco che nasca ufficialmente il club “ex tifosi del Napoli, ora juventini”. Ufficiosamente esiste già, eccome se esiste. La città dell’amore – non ce ne voglia la buonanima di Luciano De Crescenzo che ha tanti meriti ma ha lasciato in eredità anche una castroneria senza pari – da giorni sta riversando fiele su Carlo Ancelotti. Commenti biliosi, livorosi, finanche compiaciuti. Perché, al fondo, c’è un concetto: Napoli è consapevole di vivere nello sconfittismo, di abitare quella parte del mondo dove un certo sole non batte e non batterà mai. E allora, quando di speranze non ne hai, l’unico aspetto che può regalarti un minimo conforto è sapere o constatare che in quel baratro può cadere anche un uomo unanimemente riconosciuto come vincente. E quando succede, festeggi: perde come noi.
È il darsi di gomito dei beoni senza speranze che credono di saperla lunga. “Ehhhhhh, è facile vincere a Madrid (sì, come no, aggiungiamo noi), oppure col Chelsea, col Milan. È a Napoli che si vede quanto vali”. Napoli come unità di misura del mondo. E qui rendiamo il giusto omaggio a Luciano De Crescenzo e alla sua citazione di Protagora di Abdera in “Così parlò Bellavista”: «L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono”. E a Napoli l’unità di misura è Napoli. E, si badi bene, il darsi di gomito vale per il grande manager, per il giornalista affermato, come per il piccolo delinquente: ragionano tutti allo stesso modo.
Due settimana fa, il Napoli ha battuto il Liverpool 2-0. Una delle vittorie più importanti ed emozionanti della storia del Calcio Napoli. Completamente rimossa, come se non fosse mai avvenuta. Eppure questa è una piazza che ha magnificato per settimane partite perdute in Europa contro Manchester City, Real Madrid: di volta in volta, sono state definite i primi trenta o quaranta minuti più belli della storia del calcio. Secondo loro, ovviamente (non c’era nemmeno bisogno di aggiungerlo). Poi, puntualmente e comprensibilmente si perdeva – perché eravamo più deboli – ma andava benissimo così. La sconfitta è in fondo l’abito cui Napoli è abituata. È la nostra comfort zone.
In questo, Ancelotti è straniero. Così come lo fu Benitez oggi incredibilmente riabilitato dopo essere stato sommerso da vagonate di letame nel biennio azzurro. E qui ricordiamo per inciso che l’ultimo trofeo del Napoli risale ancora a lui.
Quali sono le colpe di Ancelotti? Di aver detto che il Napoli avrebbe potuto competere per lo scudetto. Eh cattivone, avrebbe dovuto dire: «Con la rosa che abbiamo, è già un miracolo se arriviamo nelle prime quattro». La piazza lo avrebbe osannato, come già successo a qualcuno più furbo di lui. Avrebbe potuto ricordare che nella classifica degli ingaggi, il Napoli è quinto. Sarebbe stato incoronato. E invece, come ogni uomo di sport che si rispetti, Ancelotti non ha dato per perduta una competizione ancora prima di cominciarla. E ancora oggi, a sei punti dalla Juventus, non si dà per vinto. A Napoli non si può fare. A Napoli se dici che competi per lo scudetto, poi devi vincere. Sennò, stai prendendo in giro i tifosi.
In questi giorni va in scena tutto. Si rimpiangono tutto e tutti. Manca poco al rimpianto per Calaiò. Un capitolo a parte meriterebbe la preparazione atletica e gli infortuni muscolari. Il Napoli è improvvisamente diventato il secondo club in Italia per infortuni muscolari. Ma dove? Il Napoli, per lesione muscolare, ha perso Maksimovic. Lesione. Mario Rui si è fermato per un’elongazione. Milik non ha avuto un infortunio muscolare propriamente detto.
L’altra balla è quella relativa al peggior Napoli degli ultimi sette campionati. Semplicemente, non è vero. Ha 13 punti dopo sette giornate. Il primo anno di Sarri ne aveva 12. Il secondo anno di Benitez 11. Tanto per continuare, il secondo anno di Sarri il Napoli aveva 14 punti. Uno in più. È a sei punti dalla Juventus che ieri sera ha vinto in casa dell’Inter. E, en passant, ricordiamo che né il primo Napoli di Sarri né il secondo di Benitez erano in testa nel girone di Champions (non la giocarono proprio).
Un’altra delle perle che ci è toccato ascoltare è quella relativa al vantaggio che Ancelotti aveva rispetto a Sarri e a Conte: la conoscenza del gruppo già da un anno e invece è dietro. Che cosa dovrebbero dire i tifosi del Manchester City – che ha Guardiola in panchina da quattro anni – che oggi è a otto punti dal Liverpool? Ma poi, con questo ragionamento, Wenger con l’Arsenal avrebbe dovuto vincere almeno quindici campionati. Più semplicemente, nello sport – e non solo nello sport – ci sono i momenti difficili. Ovviamente starà ad Ancelotti e al suo staff, così come ai giocatori, superarlo. Affrontarlo. Ma qui non ci inoltriamo in una disamina tecnica.
Ci sarebbe anche Lozano già definito il nuovo Vargas o il nuovo Calderon. Dopo un mese. Per dirne una, alla prima stagione in Italia – peraltro proprio nel Parma di Ancelotti – fino alla fine di febbraio Hernan Crespo segnò un solo gol in Serie A: a Milano contro l’Inter. A Napoli Lozano è già stato processato e condannato. E con lui, ovviamente, Ancelotti.
Scriviamo queste righe ben sapendo che a nulla serviranno. Ma servono come testimonianza. Napoli, per fortuna, non è solo quella bargiggiana (sì, qui gli idoli ce li scegliamo col lanternino). Un giorno, il ricercatore su google del tremila – sempre per restare a De Crescenzo – scoprirà che a Napoli il tifo non era solo quella tristezza che va in scena in questi giorni.
Notiamo infine che orwellaniamente Napoli e il suo ambiente hanno sostituito il nemico De Laurentiis col nemico Ancelotti. In fin dei conti, non ce ne voglia il presidente, lo straniero è il leader calmo. Ha troppi trofei da esibire (seppur vinti agevolmente a Madrid, Milano, Londra, Parigi, Monaco di Baviera, che ci vuole), parla da uomo di sport. Potrebbe persino affermare concetti rivoluzionari e cioè che nello sport si vince e si perde, che nelle difficoltà si può crescere. Insomma: un provocatore.
Concludiamo con un estratto bellissimo che abbiamo letto su Facebook. La dice lunga, lunghissima, su cosa è diventato il tifo a Napoli.
Niente di meno che con questi due pareggi ho scoperto che ci sta un sacco di gente che tifa Napoli. Manco quando abbiamo vinto la Coppa Italia o la Supercoppa italiana me ne ero accorto. C’erano alcuni che pensavo tifassero Milan, Lazio, Inter. Si erano comprati pure le magliette qualche anno fa. Ce ne stava uno che mi disse: “io non lo guardo manco il calcio, non mi piace” e ora l’ho visto esprimersi sulle rotazioni e i movimenti del 4-4-2.
Aggiungiamo, per un segnale di speranza, che quando il pubblico fa il pubblico, trascina la squadra alla vittoria. Come successo contro il Brescia, anche contro il Liverpool. Così come contro il Chievo, il Genoa, l’Udinese ai tempi di Sarri.