Ieri ha imposto al potere di assumersi la responsabilità di spiegare i reali processi attraverso cui si prendono le decisioni arbitrali durante le partite
L’intervento di ieri di Carlo Ancelotti davanti ad una platea zittita (perché sentiva e riconosceva l’autorevolezza della persona) ed ammutolita (perché consapevole che si stavano ponendo domande nell’interesse comune, e che tuttavia nessuno osava fare per paura di ripercussioni arbitrarie e mediatiche od anche solo per la vergogna dell’ovvietà) ha una valenza ed una portata storica nel mondo del calcio, sia per come è stato fatto, sia per i fini a cui mirava.
Ridotto ai minimi termini di analisi, il Potere è la possibilità che un determinato soggetto od un determinato organismo prenda decisioni in grado di interferire nella vita dei soggetti a cui esso si rivolge.
È essenziale alla vita organizzata delle persone, perché necessario ai processi decisionali con cui queste si dotano di regole; ma è potenzialmente, anzi moralmente lesivo perché è per ciò solo in grado di rovinarne la vita o quanto meno peggiorarne le condizioni di esistenza.
È per ciò che Il Potere è ciò che deve essere spiegato, secondo Michel Foucault, perché essendo dotato di una forza così potenzialmente dannosa che deve spingere ognuno di noi ad indagare i motivi per cui esso viene attribuito ed esercitato; è per ciò che Il Potere ha l’onere della prova della sua stessa legittimazione, secondo Noam Chomsky, perché per giustificare la sua esistenza deve ogni volta ed in qualsiasi momento gli venga richiesto dimostrare che serve ed è funzionale al raggiungimento di interessi comuni (di tutti), è altrimenti è soltanto “forza” nelle mani di pochi.
Ed allora, non ci sono storie.
Quello di Ancelotti è un intervento che ha imposto al Potere, ed a chi in quel momento lo rappresentava:
di spiegarsi, e cioè di obbligarsi a fornire in modo esplicito e senza mediazioni il perché delle sue decisioni;
di esporsi al pubblico ludibrio di accollarsi la responsabilità dell’errore, scusandosene (perché il Potere è in difficoltà ogniqualvolta deve ammettere il suo cattivo auto-funzionamento);
di manifestarsi, e cioè obbligarsi alla trasparenza, disvelando se e come quello in mano agli arbitri, che appaiono in quanto direttori di gara, è l’effettivo potere decisionale, o se altrimenti l’effettivo potere decisionale è quello assegnato a chi sta dietro le quinte;
di assumersi la responsabilità di spiegare a tutti gli sportivi quelli che sono i reali processi attraverso cui si prendono le decisioni arbitrali durante le partite, e quindi di rischiare di essere da un lato sbugiardato rispetto a ciò che fa apparire, e dall’altro lato per ciò solo di perdere credibilità agli occhi di tutti gli sportivi interessati;
ha proprio posto l’accento sul rapporto invertito arbitro/VAR, rimettendo al centro di tutto l’uomo, e cioè appunto il direttore di gara, e rimettendo in periferia, quale solo elemento di ausilio, lo strumento meccanico; significato, quest’ultimo, di per se rivoluzionario perché in un contesto sociale che scivola verso il predominio del volere della “macchina” sull’essere umano, si chiede che questa venga invece subordinata al volere umano.
È, dunque, stato un intervento cha ha chiesto ed ottenuto democrazia, quel meraviglioso fenomeno umano che esiste e può esistere solo e soltanto quando chi esercita potere nei confronti di qualcun altro si ricorda che non lo fa per promanazione divina, ma solo in quanto delegato (dagli altri ? dai cittadini a cui si rivolge ?) a farlo.
Un intervento che ha spinto e deve spingere tutti i noi a mantenere la guardia alta nel pretendere quella trasparenza che prima ancora che essere obiettivo dell’esercizio del potere, è un indice inalienabile che quel potere viene esercitato, al netto del possibile errore umano, senza alcun terzo o recondito fine.
Viva Carlo Ancelotti, che nel nome di tutti noi è intervenuto a gamba tesa contro tutti quelli che stando zitti acconsentono che il Potere ancora una volta si trasformi da giusto strumento in obiettivo, scorretto, di pochi.